Mobbing tuo, vita mea

Ogni giorno centinaia di persone cercano un nuovo lavoro. Le motivazioni sono le piu’ varie. Crescita professionale, desiderio di aumentare il proprio compenso, affrontare nuove sfide. A volte, però, la spinta al cambiamento cela qualcosa di più intimo ed è quindi piu’ difficile da ammettere. Forse davvero pochi confesserebbero di voler lasciare l’attuale lavoro perché ogni […]

Ogni giorno centinaia di persone cercano un nuovo lavoro. Le motivazioni sono le piu’ varie. Crescita professionale, desiderio di aumentare il proprio compenso, affrontare nuove sfide.

A volte, però, la spinta al cambiamento cela qualcosa di più intimo ed è quindi piu’ difficile da ammettere. Forse davvero pochi confesserebbero di voler lasciare l’attuale lavoro perché ogni giorno il solo pensiero di recarsi in ufficio provoca ansie e angosce. È una condizione più diffusa di quel che si può pensare.

La motivazione determina la spinta nel trovare qualcosa di migliore e nei casi in cui il malessere è la ragione primaria, il bisogno di cambiare diventa qualcosa di assolutamente necessario per andare lontano da un luogo che fa viver male.

Il bisogno in psicologia è identificato come l’assenza, la mancanza di uno o più elementi che costituiscono il benessere della persona. Abraham Maslow, psicologo statunitense vissuto tra il 1908 e il 1970, definisce una gerarchia dei bisogni umani. Una piramide, alla cui base sono associati i bisogni più basilari di ogni persona, le sue necessità fisiologiche come respirare, mangiare, dormire e via dicendo. Man mano che si sale verso il vertice, i bisogni aumentano di complessità, diventano stimoli più complessi, come il bisogno di protezione, di appartenenza, di stima, dignità, prestigio, fino ad arrivare all’autorealizzazione, stato in cui è coinvolto l’intero essere di un individuo.

Naturalmente Maslow delinea un profilo ideale a cui un uomo deve aderire per poter star bene ma è universalmente riconosciuto come alcuni bisogni espressi nella sua piramide debbano davvero essere soddifsfatti per vivere in un reale stato di benessere.

 

Mobbing, il vero ostacolo alla dignità

Nel mondo del lavoro il mobbing rappresenta la causa primaria della privazione della dignità umana. Nella scala dei valori la dignità non è certo esperessa come fondamentale alla sopravvivenza ma è una condizione imprescindibile per il benessere di ogni individuo.

Con mobbing si intende una forma di terrore psicologico, attuata dal capo o dai colleghi attraverso atteggiamenti aggressivi ripetuti: l’assegnazione di attività dequalificanti, il sottodimensionamento, lo spostamento in luoghi lavorativi non salubri. Lo scopo è quello di spingere la persona a dimettersi, in modo da eliminare il problema, eliminare una persona scomoda la cui voce non vuole più essere ascoltata, inducendola a dimissioni volontarie o a volte spostandola altrove, presso altre sedi, in modo che non possa più prendere parte direttamente all’attività professionale dell’azienda.

Come si può capire se si tratta di mobbing o di una seplice situazione di stress momentaneo?

La persona vittima di mobbing ricopre spesso una posizione inferiore di livello aziendale rispetto a chi esercita questa pratica coercitiva. In circa l’88% dei casi infatti il mobber è un superiore: di questi, circa il 58% dei casi è proprio il capo, nel 30% il capo è affiancato da altri colleghi della vittima, il restante 10% è rappresentato dai colleghi, il 2% da persone di grado inferiore in azienda. (Studi e Ricerche del Dr. Harald EGE, Psicologo, Fondatore e Presidente di PRIMA -Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale – Fondatore e Presidente dell’A.P.E.M. (Associazione Periti ed Esperti di    Mobbing)

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I colleghi che si trovano vicini a persone vittime di mobbing sono a loro volta in grande difficoltà nonostante il loro desiderio di voler prestare aiuto, perché un loro intervento potrebbe portare a diventare essi stessi un bersaglio. Se ne deduce come la ribellione sia problematica per il ruolo di inferiorità e di importanza aziendale che si riveste. Il più forte vessa il più debole.

I segnali di allarme sono diversi e spesso giungono progressivamente nel tempo in relazione al protrarsi della pratica vessatoria, influenzando profondamente lo stato psicologico e poi fisico della persona.

In azienda il suo ruolo perde progressivamente importanza, gli altri cominciano a non dimostrare più rispetto nei suoi confronti, viene escluso da ogni attività decisionale, gli vengono assegnate attività di basso profilo, possono inoltre cominciare a manifestarsi problemi di salute, cala la fiducia in se stessi e la passione nel lavoro, viene meno la stessa dignità personale.

Secondo alcuni sondaggi condotti nei Paesi Europei riferiti al 2015, il 17 % delle donne e il 15 % degli uomini testimonia di essere stato oggetto di comportamenti sociali negativi, e il 7 % di tutti i lavoratori riporta di aver vissuto qualche tipo di discriminazione. (Eurofound – Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Sesta indagine europea sulle condizioni di lavoro: primi risultati – 2015/ European Working Conditions Surveys (EWCS) 2015, Published on: 23 Novembre 2015)

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Un’indagine effettuata dall’EU-OSHA nell’estate/autunno del 2014, su un totale di 49.320 imprese dei maggiori settori di attività, con almeno 5 dipendenti, ha riportato l’esito di interviste nei 36 paesi interessati. L’evidenza è come il problema del rischio psico-sociale nel posto di lavoro sia largamente diffuso e soprattutto noto alle classi dirigenziali.

Gli incentivi a combattere questo fenomeno sono certamente legati al rispetto delle norme legali ma il dato incoraggiante mostra come alcuni paesi, soprattutto quelli entrati nell’EU nel 2004 e alcuni di quelli candidati, agiscono poiché la salute e la sicurezza rappresentano l’immagine e la reputazione dell’azienda: “mens sana in corpore sano”.

In molti casi rimangono però i fantasmi dell’omertà e della disconoscenza. Il non voler affrontare tali problematiche (30% delle Imprese, sempre su scala europea) insieme alla mancanza di consapevolezza di questi fenomeni (26% delle imprese) rappresentano gli ostacoli più grandi alla cura delle risorse umane.

(EU-OSHA – European Agency for Safety and Health at Work. ESENER-2: Second European Survey of Enterprises on New and Emerging Risks (ESENER-2) – Overview Report: Managing Safety and Health at Work. Publication into EU-OSHA portal on 30/03/2016)

L’autolesionismo delle aziende e i virtuosi del rispetto

Assenze dal lavoro per malattie provocate da condizioni di profondo malessere incidono radicalmente non solo sulla qualità di vita della persona ma anche sulla sua produttività. Nonostante quindi l’azienda sia fortemente influenzata delle condizioni psico-fisiche dei propri dipendenti, non vengono spesso attuate pratiche per prevenire o per reagire a fenonemi di questo tipo ma colpisce che di frequente siano gli stessi datori di lavoro a provocare situazioni altamente negative.

L’autolesionismo di queste aziende è dimostrato dai ricavi nettamente superiori di imprese che al contrario pensano al benessere e alla valorizzazione della professionalità dei propri dipendenti.

Top Employers, l’ente che certifica l’eccellenza delle condizioni di lavoro delle imprese e HRCI hanno valutato stime ricavate negli ultimi cinque anni, dal 2011 al 2015, su aziende certificate Top Employers e quotate in borsa, evidenziando come abbiano superato gli indici azionari nei loro rispettivi Paesi in media del 51%, registrando inoltre una crescita del fatturato del 14%, rispetto alle aziende dello stesso settore. (Study and Research of the Top Employers Institute and HRCI – HR Certification Institute)

Il consiglio che si può dare a chi si trova in questa condizione è quello di cercare lavoro altrove. Rivolgersi a legali per denunciare tali situazioni è una possibilità, che rimane a discrezione unica della vittima, poiché battaglie legali mettono sempre a dura prova l’intera vita delle persone coinvolte.

Per un’azienda perdere un dipendente poichè non si è saputo garantire una condizione primaria, quella del benessere lavorativo, è a dir poco squalificante. Non è facile governare un’impresa, far quadrare il bilancio e gestire centinaia di impiegati, quindi è comprensibile come sia arduo gestire situazioni che coinvolgono lo stress del lavoratore e il suo conseguente malessere. Ogni capo d’impresa, in quanto tale, deve però sapere cosa accade, avere le capacità giuste in termini di valore personale ed esperienza professionale per agire nel bene dei propri impiegati e dell’azienda: servirebbe sempre una visione obiettiva e sincera del presente e uno sguardo ispirato del futuro, con la consapevolezza che il valore di una compagnia sono le persone.

Chi si ritrova a fare il capo per percorsi di carriera, o perché direttamente associato alla proprietà dell’azienda, dovrebbe avere l’umiltà di capire se è davvero in grado di affrontare una sfida del genere.

Serve essere consapevoli e degni del capitale umano di cui si è responsabili.

Non rimane quindi che restare al proprio posto di lavoro se si è soddisfatti o migrare verso lidi migliori dove sperare di trovare un capo che sia anche un essere umano.

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