“Sulla parola talento una certezza ormai ce l’abbiamo: se non ci lavori sopra, emergono più facilmente quelli che ne hanno meno, ma che lavorano di disciplina e spirito di sacrificio. Così come è tempo di smetterla di parlare di ricerca di talenti, acquisizione: è una logica che ha saturato qualsiasi livello di discussione in cui si parla di sviluppo. Adesso bisogna lavorare fortemente su come non perderli.”
Il pensiero è di Carlo Bisi, AD di Carriere Italia nonché coach certificato ICF di lungo corso. Parla dando voce a un’esperienza più che trentennale di conoscenza dei modelli organizzativi del lavoro maturata da punti di vista interni, esterni, laterali.
“Sono anni che fatichiamo per ridurre il concetto di gerarchia, ma lo facciamo da una prospettiva di disciplina e non di concretezza pratica: il discorso del talento diventa centrale perché più l’azienda è gerarchica, più sarà sempre un capo a dirti cosa devi fare e come. Un atteggiamento simile annienta del tutto lo sviluppo dei talenti e, di conseguenza, la capacità di farli restare”.
L’organizzazione dovrebbe aiutarti a capire cosa si aspetta da te, lasciandoti discrezionalità su come farlo. “È sul come fare che si riesce a esprimere una propria personalità, un pensiero, uno stile, una soluzione. Se ti dicono come fare, è sottinteso anche il controllo per valutare se ti sei mosso bene oppure no rispetto a come la vede l’azienda”.
Incide anche il fatto che un talento di solito lavora sul proprio concetto di autonomia, sia nel fare che nell’andarsene. “Se ti lasciano libero sul come, l’azienda può anche valutare che livello di autonomia il talento sente di poter raggiungere. Il concetto di autonomia è utile sia al collaboratore che all’impresa, perché un capo dovrebbe sempre capire in quale area del come è il caso di delegare. Se parliamo di giovani talenti, tutto questo discorso vale ancora di più”.
Eppure le aziende non sempre si chiedono se si può essere talenti a tutte le età. “Se non lo fanno, fanno un grande errore dato che la persona cresce e la somma delle esperienze somma anche le consapevolezze. Una recente indagine sui livelli di produttività colloca ancora l’Italia in una posizione molto arretrata rispetto alla media europea. Perché si lega a questo discorso su come trattenere i talenti? Perché quando non sai qual è lo scopo del tuo lavoro e il contributo che dai alla tua organizzazione, non sai neanche come lavorare e far lavorare gli altri. Infine: in azienda non si deve aver paura che una persona faccia le cose in una maniera diversa dagli altri o da come vorremmo; l’importante è che me lo spieghi e che faccia nascere un confronto. La somma tra confronto e feedback è alla base di tutto. In aziende sane, si arriva anche a dire alla persona – qualsiasi età abbia – che quell’azienda non è il posto giusto”.
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Photo credits: hannahwasileski.com