Amo il microfono, non il cinema

La voce è uno strumento di lavoro come potrebbe essere oggi un software, richiede aggiornamenti costanti perché i costumi cambiano e pretende manutenzione perché l’usura è un rischio. Christian Iansante presta la voce al cinema da oltre vent’anni: non la vende, la presta e come tutti i prestiti gli torna indietro con gli interessi che […]

La voce è uno strumento di lavoro come potrebbe essere oggi un software, richiede aggiornamenti costanti perché i costumi cambiano e pretende manutenzione perché l’usura è un rischio. Christian Iansante presta la voce al cinema da oltre vent’anni: non la vende, la presta e come tutti i prestiti gli torna indietro con gli interessi che lui chiede e che sono le nostre suggestioni mentre lo ascoltiamo, la commozione, un fremito.
È la testa, però, il vero motore di questo cinquantenne fresco di compleanno e di nomination agli Oscar 2015 per il Bradley Cooper che ha doppiato in American Sniper.

“Più che bella, la mia è una capoccia dura. Vengo da genitori veneti e abruzzesi, sono nato e cresciuto tra Chieti e Pescara e fin da piccolo scalpitavo. In Abruzzo mi sentivo diverso perché non capivo come la gente potesse vivere senza amare un lavoro e soprattutto come potesse essere così impermeabile al senso di responsabilità e di dedizione al lavoro. Crescendo mi sono dato molte risposte perché alla fine ho capito che si lavora per mille ragioni e quasi tutte rispondono a un bisogno ma a me questa scusa non è mai bastata e ho passato una vita a lavorare sulla mia voce. Non mi sono ancora fermato.
Sono davanti al microfono da quando iniziai in radio a dodici anni e mezzo: da quel momento non c’è più stato un oggetto col quale abbia passato tanto tempo come con lui, nemmeno le ore trascorse in moto o sul divano, nemmeno quelle intorno alle pentole e in cucina che pure adoro. Se capisci per cosa sei fatto, non tirarti mai indietro.
Amo il microfono, non il cinema. Al cinema non ci vado mai e il doppiaggio ha fatto da colla. Nei tanti anni di radio era già stata forte la sensazione che non avrei avuto bisogno del cinema e di un corpo su cui poggiare la mia voce, emozionare gli ascoltatori non aveva prezzo ed era tutto. Soltanto quando a vent’anni incontrai Elia Iezzi, doppiatore dagli anni ’70 che aveva lavorato con Carmelo Bene, scattò la grande molla della mia vita e ognuno di noi, quando incontra un maestro che sa riconoscerti, ha il dovere morale di realizzarsi.

I primi anni di lavoro sono stati difficili, mi mancavano completamente le basi e senza quelle non costruisci nulla, il mondo del lavoro non sa che farsene dei tuoi sogni se non ci attacchi anche la determinazione e tanta formazione fatta bene. La formazione, in qualsiasi mestiere, ti permette di capire ciò che non ti serve ma tu devi essere disposto a metterci anche il cuore. A me era successo con un laboratorio del regista William Zola e la sensazione fu netta quando finì: non volevo essere così tecnico e perfetto, quello non ero io.
Quello del doppiatore è un mestiere che fa da termometro della società, di ciò che la gente vuole sentirsi dire e come vuole sentirselo dire. Il tipo di voce cercata da una radio dipende sempre dai tempi e dai modelli sociali. Venti anni fa la radio cercava la bella voce, quella esteticamente perfetta, proprio quella che io non avevo ma che compensavo con la capacità di scrivere i testi da leggere. Non avendo la voce calda e impeccabile ho dedicato una vita a valorizzare la mia e a renderla affascinante proprio perché diversa, a volte esuberante. Confesso che nel nostro mondo la mia voce non piace a tutti ma proprio questo mi ha permesso di costruirmi uno stile. Angelo Maggi è un doppiatore perfetto perché si permea dentro la parte e resta neutro. Questo è un lavoro in cui a volte ti viene chiesto di annullarti ma io non ce la faccio e, quando mi passano un attore moscio, non resisto e cerco di farlo vivere senza rubargli nulla.

Oggi ho 50 anni, la mia voce ha 50 anni. Posso dirlo, è difficile che ora toppi qualche personaggio da doppiare perché tutti gli anni dedicati alla tecnica adesso mi supportano e mi rassicurano. Semmai si tratta di sfumature e quando sei un professionista non puoi permetterti di sorvolare nemmeno sulle sfumature ed è esattamente lì che non bisogna mollare perché il lavoro ci serve anche per il nostro carattere e solo dai limiti, non importa quanti o quanto grandi, possiamo ogni volta ripartire.

Quando lavori l’età conta fino a un certo punto se ti permettono di valorizzare ciò che sei. Bradley Cooper ha dieci anni esatti meno di me, non è di certo l’attore a cui sono più legato ma lo doppio da sempre e l’ho fatto tredici volte in sei anni e mezzo cioè da quando Oreste Baldini mi mise nel 2009 sul suo personaggio in Una notte da leoni: era un film low budget su cui nessuno avrebbe forse scommesso e invece inaspettatamente funzionò. Il Bradley Cooper che amo di più è però quello di Limitless. Riesco a non stonare su di lui perché ho la fortuna di una grande freschezza di voce che mi aiuta ancora a coprire molti ruoli. Qualche sera fa hanno ritrasmesso Trainspotting in televisione e, accidenti, ero davvero un ragazzo. Per quel film, era il 1996, fui il doppiatore giusto al momento giusto, il film è poi diventato un cult e il monologo finale fu ascoltato da tutti i direttori di doppiaggio. Non c’è dubbio che mi aprì la strada anche se quando poi tocchi la notorietà il rischio è che da lì in avanti ti propongano sempre i soliti ruoli: per anni ho doppiato drogati al cinema (dopo Ewan Mc Gregor, appunto) o romanticoni dopo Shakespeare in love (Joseph Fiennes).

Chi di noi, se pensa alla sua professione, non ha un momento magico? Lo auguro a tutti. Per me è stato Will Hunting-genio ribelle grazie a Matt Damon. Poi sono arrivate tante serie televisive e di nuovo tanta radio che non ho mai voluto smettere e mai lo farò. Quando diventai la voce ufficiale di Radio 24, l’allora direttore Giancarlo Santalmassi un giorno mi disse: “Ah ragazzì, la devi fa’ impersonale perché vai in onda tutti i giorni” ma per me è impossibile non sfondare la radio con la mia voce e sempre continuerò a farlo. Gli spot coi finali sospirati sono diventati la mia fenomenologia e se il canale radio capisce l’unicità di una voce, quella voce crea uno stile e traccia il proprio modo di essere.
Oggi è tutto cambiato e tutto è diverso, le voci dei doppiatori in radio devono essere normali perché la gente in radio parla in modo normale ma io continuo ad essere come sono anche se è la radio di Confindustria. Posso prestare la voce ma non presto me stesso”.

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