Il copywriting e l’autopsia di un merito

Non farlo. Anche se la parola ti fa venire in mente qualcosa di poco allegro. Non farti impressionare subito dal titolo. Autopsia in realtà è una parola viva, molto viva. Molto più viva di tutte quelle parole morte che fanno la bella vita nella scrittura delle aziende. A ben guardare non è proprio una vita […]

Non farlo. Anche se la parola ti fa venire in mente qualcosa di poco allegro. Non farti impressionare subito dal titolo. Autopsia in realtà è una parola viva, molto viva. Molto più viva di tutte quelle parole morte che fanno la bella vita nella scrittura delle aziende.

A ben guardare non è proprio una vita bella quella che fanno. Soprattutto non è una bella vita quella che ti fanno fare quando leggi i testi delle aziende nei siti internet, nelle brochure, nei blog. Nei comunicati stampa.

Osservare con i tuoi occhi: questo significa – in ogni sua lettera – la parola autopsia. È un po’ come quando qualcuno ti apre gli occhi e ti dice cammina con le tue gambe, pensa con la tua testa, parla con la tua voce. E fatti sentire. Se ti metti dentro a un coro farai solo gli interessi di quello che il coro dice. Se scrivi come la maggioranza la tua scrittura diventa inutile. La tua scrittura muore.

È per questo che la comunicazione delle aziende è popolata di cimiteri. Per ripopolarli come città piene di vita c’è un mestiere. Si chiama copywriter. Pochi giorni fa se ne è andato uno vero. Il suo nome è Pino Pilla. Probabilmente non ti dice nulla. Ma se ti dico “O così o Pomì” forse qualcosa ti viene in mente. Pino Pilla, insieme a Emanuele Pirella e ad Anna Maria Testa, ha fatto la storia di questo mestiere in Italia. E lo ha fatto con merito, perché conosceva i due ingredienti di cui è fatta questa parola: i fondamentali e la fatica.

Se togli a Lionel Messi i 5 fondamentali che fanno di un calciatore un campione – e la fatica di ogni giorno per tenerli allenati – togli alla parola Messi tutte le immagini che sul campo ci ha regalato. Sapere stoppare la palla, tenerla attaccata al piede in corsa, colpirla nel punto migliore per non svirgolarla, inventarsi qualcosa tra i piedi in mezzo a 4 avversari, farlo per la squadra e non per se stesso.

Se togli a un copywriter i 5 fondamentali che fanno di un copywriter un vero copywriter – e la fatica di ogni giorno per metterli sulla pagina – togli a questo mestiere i meriti che solo un’autopsia è capace di riconoscere. La scelta di parole vive, non di parole morte. L’uso di una lingua semplice, non burocratica. La costruzione di frasi brevi, non lunghe. La vicinanza del verbo al suo soggetto. La scrittura che fa chiarezza e non perde il lettore per strada.

Il merito ce l’hai se ogni giorno coltivi quei 5 fondamentali perché ti aiutino a mantenere la corrispondenza tra quello che dici di essere e quello che sei capace di fare. Troppi invece sono i copywriter Wanna Marchi e i copywriter Sim Sala Bim in giro. La scrittura non è un giro di giostra, ma è la fatica dei giri di pedale che producono i giri di ruota. Sa stare in sella alla buona scrittura solo chi dimostra di essere padrone della lingua, non vittima dei linguaggi.

Scrivere non è come tirare giù una mela dall’albero. Scrivere bene è dura. Tanto dura quanto per l’albero fare la mela. Hai mai chiesto a un albero quanto è dura fare una mela? Se non lo sai, diventa poi facile ridurre il problema a un bicchiere d’acqua. Invece, di fronte alla spiaggia c’è un mare inquinato dai pifferai magici della comunicazione che ti promettono una vita comoda quando scrivi. Quelli dei 5 grandi segreti per scrivere in modo efficace, come diventare uno scrittore in 10 mosse, 7 consigli per titoli ipnotici, 3 dritte furbe per farsi leggere.

Il punto non è sollevare la questione con qualche esercizio di culturismo. Ma mettere le virgole nei punti giusti per avere la forza di buttare giù nel burrone tutta questa social-promozione della scrittura da imparare in 5 minuti. E di tornare a pesare il vero merito, e non a fare pesi con quello finto. Pesare i giri delle lancette, quindi: dalla più grande alla più piccola. Alla buona scrittura non si arriva con le scorciatoie ma camminando la strada più lunga.

C’è un testo morto che cammina nel web. È questo: http://www.amadori.it/area-stampa/comunicati-stampa/position+paper+POST+report. Racconta della difesa istituzionale di un’azienda coinvolta da una trasmissione televisiva in un grosso guaio di immagine. Qualcuno con la sua penna ha montato e messo in scena su LinkedIn un elogio di quel comunicato stampa. Lo trovi qui: https://www.linkedin.com/pulse/amadori-analisi-del-comunicato-stampa-ufficiale-valentina-falcinelli?trk=hp-feed-article-title-ppl-follow. I tentativi di rianimarlo hanno solo il merito di avere fecondato questa autopsia.

Il comunicato stampa dell’azienda Amadori è pieno di parole morte. Sconcertata, al suo operato, ritiene pertanto doveroso, hanno in oggetto, ribadiamo comunque: sono solo alcuni esempi. Ci sono frasi burocratiche come questa: E solo nei casi ove sia strettamente necessario, individuati in accordo coi veterinari, secondo i limiti e i vincoli imposti dalla vigente normativa. La frase più lunga ha 96 parole prima di finire con un punto. C’è anche una frase con 35 parole che separano il soggetto dal suo verbo. In alcune frasi il lettore si perde per strada, nei labirinti della forma istituzionale.

Non credo che siano le due palle dell’istituzionalità, fonte della comunicazione nostrana, a determinare la forza che differenzia un’azienda da un’altra. Credo invece che sia la palla dell’originalità, luogo convesso della gestazione umana, a fare chiarezza su quello che può o non può fare un imprenditore, e su quello che è chiamata a fare la sua azienda.

Invece di continuare ad alimentare le pari opportunità dentro al coro della concorrenza, bisognerebbe darsi più da fare a diffondere le disparità opportune. Senza le quali la buona scrittura si estinguerebbe. E verrebbe a mancare quel luogo ospitale dove il lettore trova un’azienda che finalmente parla con le parole che scrive.

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