Bolognina, il lavoro è figlio d’arte

Mi chiedo se vi sia mai capitato di girare per una città con un amico fotografo, architetto o artista, che a un tratto si ferma davanti a una parete spoglia e grigia, con niente intorno, e dopo averla contemplata un momento dice: che bel cemento! Ci sono sguardi che si appoggiano tanto più grati su […]

Mi chiedo se vi sia mai capitato di girare per una città con un amico fotografo, architetto o artista, che a un tratto si ferma davanti a una parete spoglia e grigia, con niente intorno, e dopo averla contemplata un momento dice: che bel cemento!

Ci sono sguardi che si appoggiano tanto più grati su certi paesaggi urbani quanto più ne colgono il senso di abbandono. O, meglio ancora, una cura che va in direzione contraria alla natura del luogo e lo rende, a vario titolo, anomalo. Poi ci sono tutti gli altri sguardi, quelli della gente comune, che nei quartieri popolari ci abita e si muove, convivendo o lottando con il degrado.

Bolognina: lavori in corso

“Che bel cemento”. L’ho sentito di recente all’inaugurazione di Voxel, co-working e società di consulenza per la produzione artistica, che ha appena aperto i battenti nel quartiere Bolognina, riportando in vita un coloratissimo e particolare edificio nel bel mezzo del rione.

La Bolognina è un quartiere bolognese di prima periferia. Si trova proprio alle spalle della stazione centrale di Bologna. Durante i lunghi anni di ristrutturazione della stazione, i commercianti che la fiancheggiano hanno subito interruzioni della viabilità, rumori, disagi. La stazione dell’alta velocità avrebbe attratto investimenti nell’area, nuove attività commerciali avrebbero creato un distretto vivace e produttivo con lo shopping di passaggio. Ma nel 2018 nulla di questo è ancora realmente accaduto, e la grande piazza soprastante i binari, con il suo imponente Memoriale della Shoah, è animata per lo più da skaters e passanti.

Lo stesso tipo di aspettative coinvolgeva l’avveniristica struttura che ospita il nuovo Palazzo del Municipio, tutto intrecci di vetro e metallo, ma intorno sono comparsi soltanto pochi bar che offrono pause pranzo agli impiegati del comune.

La Bolognina, i nodi e il pettine

Eppure la Bolognina è un quartiere densamente abitato e con la più numerosa popolazione giovanile della città. La presenza di immigrati cinesi è capillare: lì sono cinesi barbieri e parrucchieri, gli studi per le la cura delle unghie, bar e ristorantini, i negozi per le fotocopie e quelli che vendono “tutto a un euro”. Lì le botteghe di gastronomia tradizionali bolognesi convivono con le macellerie islamiche.

In Piazza dell’Unità, sotto gli alberi, c’è sempre un gran tramestio di gente e mamme con le carrozzine, ma la Bolognina non è un quartiere sicuro. Negli ultimi mesi si sono intensificati spaccio, furti e rapine, al punto che i negozianti hanno deciso di organizzarsi in ronde autogestite per segnalare le anomalie alle forze dell’ordine. Che li hanno prontamente dissuasi dall’iniziativa.

La Bolognina è un quartiere complesso, e la complessità – come dice Edgar Morin – è una parola-problema, non una parola-soluzione.

Alberto Felice De Toni, rettore dell’Università di Udine, proprio durante l’inaugurazione del Voxel, ci ricordava che “complesso” viene da cum plexus, “con nodi”: la complessità è anzitutto interdipendenza. E in questo quartiere tutti i nodi stanno venendo al pettine, ma non nel senso classico del termine.

Alla Bolognina i nodi sono le molteplici iniziative imprenditoriali e sociali che nascono dal basso, e il pettine è una forte volontà di collaborare per dare una direzione condivisa e partecipata allo sviluppo socio-economico.

Elisa Del Prete: “Qui un’umanità che in centro non c’è più”

“Se la foto non ti è venuta bene, vuol dire che non ti sei avvicinato abbastanza” usava dire il celebre fotografo Robert Capa. Per scrivere questo pezzo mi sono voluta immergere di nuovo in questo quartiere, che conoscevo molto bene qualche anno fa, e ho fatto una chiacchierata con Elisa Del Prete, partner fondatore del Voxel e art producer, che si è appena trasferita in Bolognina per vivere e lavorare. Il suo racconto del quartiere ha un tono entusiasta.

“La Bolognina rappresenta una boccata di ossigeno, la risposta a un centro oramai saturo di offerta culturale. Qui respiri un’umanità che in centro non c’è più. Devi mettere in conto una mezz’ora se passi in lavanderia, e il pasticciere ti dà consigli di acquisto che vanno contro i suoi interessi. È ancora un autentico spazio di relazione, con una popolazione composita di più di 30 diverse etnie. Questo luogo promette la possibilità di lavorare fuori dagli schemi in cui ci muoviamo abitualmente.”

“C’è un fitto tessuto culturale ancora genuinamente bolognese. C’è il desiderio di difenderlo, un senso di appartenenza che non è più scontato in città. C’è grandissima apertura e voglia di collaborare. All’inaugurazione sono venuti i vicini a presentarsi, e non solo dagli studi di architettura, ma anche i commercianti dai negozi delle strade accanto. Qui c’è tanto da fare. Servono persone che trasformino le idee in fatti.  Ci sono pochi precisi interlocutori, non c’è dispersione, c’è desiderio di convogliare le energie verso la rigenerazione del quartiere.”

Un cantiere di sperimentazione sociale

Bologna nel 2014 ha adottato il “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e rigenerazione dei beni comuni urbani”, che ha prodotto una forma inedita di collaborazione tra amministrazione, cittadini e altre articolazioni della comunità locale. La Bolognina è uno dei cantieri di sperimentazione di questa politica, che vede esperienze esemplari di innovazione sociale e culturale e si pone l’obiettivo di connettere tra loro le progettualità già attive.

Così, ad esempio, i commercianti della Bolognina sono riuniti in associazione e prendono collegialmente le decisioni di interesse comune, mentre presso la cooperativa sociale Arca di Noè si svolgono progetti di alternanza scuola-lavoro che portano i ragazzi dei licei bolognesi a collaborare con coetanei migranti, supportandoli in un laboratorio per la ricerca del primo impiego.

È significativo anche il progetto Migrantour: un’attività di turismo sostenibile che coinvolge persone che hanno vissuto l’esperienza della migrazione (immigrazione e migrazione interna). Qui diventano “guida migrante” e raccontano la Bolognina attraverso un percorso che intreccia la storia del quartiere e la loro storia personale, ed è rivolto a cittadini bolognesi, turisti, scuole e fasce deboli della popolazione.

Il co-working, un circuito di idee

La riflessione condivisa con i ragazzi del Voxel porta a domandarsi che cosa può rappresentare uno spazio di co-working in un quartiere come la Bolognina.

“Un famoso architetto diceva che, se nella città non continui a coltivare spazi di incontro, la città non serve più a niente. Se due persone si scambiano un euro, ciascuna dopo ha ancora un euro. Se due persone si scambiano un’idea, dopo lo scambio ciascuno ha un’idea in più. L’intenzione è quella di creare un circuito di idee in cui ogni competenza amplifica l’altra e genera occasioni e possibilità. La nostra professionalità si nutre di conoscenze, ognuno porta un pezzo. È un investimento: uno spazio di co-progettazione può creare opportunità.”

“Il lavoro di ciascuno di noi è tangente a quello dell’altro. Ciò che desideriamo è far dialogare: arte imprese, formazione e territorio, realtà virtuale e artigiani. Questa è una comunità che ha bisogno di essere ascoltata. Abbiamo scelto di mettere in discussione le nostre certezze lavorative per concederci il lusso di lavorare fuori dagli schemi. La produzione di innovazione non esiste senza rischio, ma genera possibilità nuove nei campi di ognuno, e anche per il territorio che ci ospita.”

L’arte che crea lavoro (e rigenera il territorio)

Sono molto curiosa di scoprire come i mestieri dell’arte possano creare occupazione nel territorio, e ho chiesto a Elisa di spiegarmelo.

“Per realizzare un festival, un evento, un’opera d’arte, sono necessarie decine di maestranze: fabbri, falegnami, ingegneri, architetti, camion, art director, comunicatori. Dietro l’opera d’arte oggi c’è complessità. L’unica risposta può essere quella di mettersi in rete. Fare network tra professionalità differenti serve a far sì che l’approccio artistico entri in dialogo con la società e la trasformi, creando opportunità. Il fabbro che collabora a un’opera d’arte, ad esempio, la prima volta potrebbe non comprendere il senso del suo contributo, ma la seconda volta saprebbe già dare un diverso valore al suo operato afunzionale e visionario; in questo modo vedrebbe valorizzata la sua maestranza. Oppure la realtà virtuale può raccontare il processo di produzione di un’azienda a 360 gradi, consentendo alle persone esterne immergersi in quella realtà.”

“Abbiamo scelto di diventare producer (una società di produzione di opere d’arte, N.d.R.) per dare una risposta alle necessità odierne dell’espressione artistica, ma poi il movimento che si è generato nel quartiere intorno al co-working ha coinvolto ogni genere di persona: dal neolaureato che ci propone il suo curriculum a persone immigrate che si sono rese disponibili per i servizi di mantenimento dell’immobile. L’unica difficoltà, ancora, è portare le persone (i fruitori) fuori dal centro.”

Nonostante le difficoltà, la Bolognina sembra interpretare perfettamente le più attuali indicazioni provenienti dalla ricerca sugli scenari sostenibili di sviluppo socio-economico, condivisi da Alberto F. De Toni in questi termini: “Quando la complessità aumenta non la si può risolvere al centro, occorre che venga gestita nella periferia e dalla periferia. Serve intelligenza distribuita, automotivazione, intra-imprenditorialità. Occorre passare dal controllo al presidio: il centro immagina il futuro mentre la periferia organizza, o meglio autorganizza il presente, creando in maniera autonoma lavoro e opportunità”.

 

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