Chi ha paura di Tito Boeri?

C’è una bomba ad orologeria che il governo Renzi ha innescato la vigilia dello scorso Natale: quando scoppierà, la discussione sull’articolo 18 a confronto sarà ricordata come un petardo. Parliamo della nomina da parte del Governo dell’economista bocconiano Tito Boeri alla presidenza dell’INPS, poltrona che vale più o meno come quella di un ministro di […]

C’è una bomba ad orologeria che il governo Renzi ha innescato la vigilia dello scorso Natale: quando scoppierà, la discussione sull’articolo 18 a confronto sarà ricordata come un petardo. Parliamo della nomina da parte del Governo dell’economista bocconiano Tito Boeri alla presidenza dell’INPS, poltrona che vale più o meno come quella di un ministro di seconda fascia. Boeri è un apprezzato accademico che gli addetti ai lavori descrivono come decisionista, dai modi spicci, fissato con la misurazione dei risultati, poco propenso alla mediazione con i politici ed estraneo ai maneggi dei palazzi romani. Sull’argomento pensioni si fa precedere dai suoi scritti su laVoce.info (sua creatura) che possiamo riassumere così: chi è andato in pensione col metodo retributivo (in base cioè all’ultimo stipendio, spesso furbamente aumentato poco prima della dipartita) è un privilegiato. Quest’iniquità mina il sistema complessivo e occorre quindi porvi un freno. Ci vuole una tassa, progressiva, per le pensioni col retributivo superiori ai 2000 euro lordi. Secondo Boeri con questo sistema si ricaverebbero 4,2 miliardi di euro per contrastare la povertà assoluta, in particolare per i giovani e gli esodati. Giova ricordare che è anche grazie a questo sistema di pensioni generose che si deve l’esplosione del debito pubblico negli anni ’70 e ’80.

Boeri deve ancora avere l’OK – non vincolante – delle commissioni lavoro di Camera e Senato (ieri la prima audizione). Con molto fair play ha detto che in caso di mancato gradimento si ritirerà. C’è poi la bizzarra questione della legge di nomina che prevede, per il nuovo presidente dell’INPS, capacità manageriale e qualificata esperienza nelle funzioni attinenti al settore operativo all’Ente. Boeri non ha esperienza manageriale, lo sa e si rimette alla clemenza delle commissioni: a fargli superare quest’ostacolo basterà il suo brillante curriculum.
In pochi dubitano che Renzi abbia scelto il professore bocconiano per rompere il tabù dei diritti acquisiti sulle vecchie pensioni e fare una manovra di redistribuzione generazionale. Ci sono però tre ostacoli di cui bisogna tener conto.
Il primo è tecnico: fare un’operazione del genere è complicatissimo. Una cosa è enunciare il principio generale da una cattedra universitaria con vista sui Navigli, altro è avere a che fare con la realtà quotidiana fatta da tanti casi particolari quanti sono i pensionati italiani. Si tratta insomma di aprire il cofano dell’INPS e mettersi a lavorare a mani nude nel suo bollente motore per smontarlo e rimontarlo nella speranza di avere prestazioni più brillanti ed eque. Per far questo ci vuole una notevole potenza di fuoco tecnica ed informatica se si vuole evitare di ripetere il pasticcio degli esodati.
Il secondo problema è di carattere giuridico. I ricorsi dei pensionati fioccheranno a migliaia e prima o poi si arriverà al domandone se sia costituzionale o no toccare i diritti acquisiti. Boeri ha sempre detto di avere buoni argomenti per contrastare questa minaccia.
Il terzo ostacolo sono i sindacati. Cosa faranno con i quasi sette milioni di pensionati iscritti? Cosa farebbe la CGIL? Prima di prendere posizione i tecnici della Camusso si metteranno a calcolare quanti dei loro pensionati rientrano nelle maglie dell’eventuale piano Boeri. Dal punto di vista ideologico la CGIL dovrebbe essere a favore di una redistribuzione del reddito a favore degli esclusi ma in realtà è altrettanto forte il timore che una misura del genere scoraggerebbe i contribuenti più abbienti dall’aderire all’INPS minandone quindi il bilancio.
Quel che farà la politica di fronte ad una concreta proposta Renzi-Boeri è come al solito impossibile da prevedere. I partiti si accapigliano giornalmente per questioni effimere e spesso di fronte a scelte strategiche per il futuro hanno comportamenti bizzarri e imperscrutabili.
Riteniamo invece che una discussione i media dovrebbero aprirla, seriamente e pacatamente. La prima domanda dovrebbe essere: è giusto e opportuno fare una scelta redistributiva del genere in base ad un patto di scambio tra generazioni? La seconda è forse più importante della prima: come usare i soldi di questa tassa? Nella sua principale operazione di redistribuzione – gli 80 euro – Renzi finora ha premiato chi un lavoro ce l’ha già. Si tratterebbe invece ora di concentrarsi sugli esclusi: disoccupati, inattivi e chi lavora in nero (per le partite IVA sono all’orizzonte sgravi fiscali). Concedere 80 euro anche agli esclusi forse non è una buona idea anche perchè – come sostiene il Financial Times – parte di questa somma finirà in spese fuori dall’Italia e non farà da moltiplicatore per i consumi. Tantomeno creerà posti di lavoro.
Come usare allora questo ipotetico tesoretto? Di sicuro occorre creare un incentivo agli imprenditori per assumere visto che gli sgravi fiscali concessi alle imprese da Renzi – come ricorda Luca Ricolfi (e anche Camusso) – verranno usati principalmente per rimpiazzare chi va in pensione senza creare posti aggiuntivi. Sarebbe bello che proprio i lettori di SenzaFiltro, che il mondo del lavoro un pochino lo masticano, si esercitassero sulla questione…

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