Ci vediamo sotto la pubblicità Martini – anzi no, è cambiata (si, la pubblicità è cambiata)

Secondo un sito che vende spazi pubblicitari, “gli esperti dicono sia la migliore forma di pubblicità”. Ok. “Gli esperti dicono” potrebbe anche non sembrare troppo convincente, ma ci sono diversi fatti che invece possono confermarlo. Nel 2014 – non un secolo fa – per esempio è stata addirittura la polizia municipale a testimoniarlo. Erano stati […]

Secondo un sito che vende spazi pubblicitari, “gli esperti dicono sia la migliore forma di pubblicità”. Ok. “Gli esperti dicono” potrebbe anche non sembrare troppo convincente, ma ci sono diversi fatti che invece possono confermarlo.

Nel 2014 – non un secolo fa – per esempio è stata addirittura la polizia municipale a testimoniarlo.
Erano stati i residenti di Corso Buenos Aires, a Milano, a invocare il loro intervento, spaventati da un cartello pericoloso per tutti. E i vigili confermarono: le persone che arrivavano all’incrocio guardavano il cartellone anziché la strada. Se non state guidando mentre leggete, il cartellone era il seguente.

cartellone in Corso Buenos Aires con Belen Rodriguez

Però sono passati quattro anni, e il mondo cambia velocemente. Fare pubblicità per strada ha ancora senso?

Probabilmente sì, ma non è oggetto di queste righe. Le cose interessanti sono invece altre: l’evoluzione della pubblicità per le strade, il fatto che anche nell’era degli smartphone possa avere un senso. Ma andiamo per ordine.

Come è cambiata la pubblicità nelle città?

Il marketing – anzi: chiamiamola proprio pubblicità – e, se vogliamo, anche la comunicazione, raccontano molto su di noi. È passato un po’ di tempo dai cartelloni che invitavano ad “acquistare prodotti italiani”, ma non così tanto. Una notizia recente ad esempio è la campagna no vax, addirittura sugli autobus a Rimini. Sì, è successo davvero.
Ecco un paio di cose che possono farci sentire ancora nei vecchi tempi:

  • le pubblicità abusive in concomitanza delle elezioni. E, appiccicati sopra, i tardivi cartelli comunali che dicono “pubblicità non autorizzata” (per la serie, ci fanno spendere soldi prima ancora di essere eletti);

  • le pubblicità così poco ambiziose da puntare sull’osceno e comunicare a colpi di tette, culi, e doppi sensi che neanche nel periodo della pubertà.

Per il resto è quasi tutto nuovo. Forse anche troppo

Quanto al nuovo e al bello, si possono ad esempio raccontare gli sforzi di contestualizzare i messaggi, di provare a essere utili anche solo strappando un sorriso. O vere e proprie opere d’arte che danno colore alle città.

Opere d’arte al posto della pubblicità è un’iniziativa dell’estate 2017, ideata da Felice Terrabuio e Roberto Spadea, che ha visto la luce nelle strade di Monza.

Com’era. Cioè com’eravamo.

Qualche mese fa, invece, si è tenuta a Firenze una festa in occasione dei 70 anni della storica Silvaneon, azienda specializzata in affissioni, tra le prime a regalare impianti luminosi di grandi dimensioni: pensiamo a Martini, Campari, Fiat. Inoltre è stata una delle prime aziende in Italia a parlare di arredo urbano.

Foto: silvaneon.it

Perché in fondo la pubblicità per le strade è anche arredo urbano, e diviene a volte un punto di riferimento. Quanti hanno usato un maxi poster per definire il luogo di un incontro? Capita anche oggi, sebbene con qualche novità – e qualche pericolo. In conseguenza al cambiamento del quale parlavamo prima, i cartelloni non sono più così statici: l’arredo diventa temporaneo e personalizzato. Si può anche dire “ci vediamo sotto la pubblicità del Martini”, ma probabilmente tra dieci minuti quella pubblicità non ci sarà più. E chissà se tra cinque o dieci anni vedremo tutti la stessa pubblicità, o ognuno vedrà una pubblicità fatta per lui. Fantascienza? Non proprio.

Ad esempio, nelle grandi stazioni tu pensi di guardare la pubblicità e invece è la pubblicità che sta guardando te. Anzi, ti sta proprio spiando.

Come scrive Repubblica, “il Garante della Privacy ha infatti imposto a Grandi Stazioni Retail – la società che si occupa degli spazi pubblicitari nei maggiori hub ferroviari italiani – di predisporre un’informativa da mettere nei pressi dei ‘totem spioni’. Sarà un messaggio semplificato che però potrà essere approfondito sul sito di Grandi Stazioni Retail o tramite smartphone con l’utilizzo di un Qr code”.

Lo chiamano digital signage e non promette niente di buono, ma i tempi sono questi. Ed ecco il punto: non è che la pubblicità sia così cambiata, non è che si sia affermata una nuova idea di comunicazione. Siamo cambiati noi. Parliamo di cartelli e di persone che camminano per strada, ma ci tocca ancora parlare di rete, di Internet e di come Internet abbia cambiato tutto e tutti.

L’entusiasmo degli inserzionisti, di quanti spendono online, non è solo per la gioia degli occhi, ma per occhi realmente concentrati sui prodotti. Per esempio, Google riesce a dire quanto un risultato sia interessante ancora prima che si effettui un click; lo stesso accade, anche a nostra insaputa, su tanti altri siti. La posizione del mouse, lo scorrimento della pagina e in quanto tempo avviene: tutto è un segnale decifrabile del nostro interesse.

Perché mai si dovrebbe rinunciare alla pubblicità per strada, tra l’altro a seguito di un investimento quasi sempre più oneroso? Avremmo tanti buoni motivi. Ma.

Perché ancora c’è la pubblicità per strada?

Ma cerchiamo di essere ottimisti: ci sono tante buone notizie in questa storia. Il solo fatto che tante aziende investano e colorino le nostre strade è un buon motivo per esserlo. Il fatto che anche i colossi del digitale, Google e Apple su tutti, ci investano tanti soldi, è un buon motivo per esserlo ancora di più.
Perché questo fatto ci racconta qualcosa di buono: le persone passano ancora oggi più tempo per strada che altrove. Ancora oggi è ciò che si può toccare che viene definito reale. Anche se lì in alto non ci arrivi.

È una buona notizia per noi persone. Significa che siamo ancora persone.

 

Photo by Simone Ramella [CC BY-NC-ND 2.0] via Flickr

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