Colletti bianchi e camicie strappate

Abituato a bruciare le tappe, Pierre Berger, presidente e direttore generale di Eiffage, ha inspiegabilmente e prematuramente lasciato questo mondo il 23 ottobre scorso, stroncato da un infarto a soli 47 anni. Indipendentemente dalle cause vere o presunte che hanno fermato così presto questo cuore devoto al mestiere, appena appresa la notizia la mia e […]

Abituato a bruciare le tappe, Pierre Berger, presidente e direttore generale di Eiffage, ha inspiegabilmente e prematuramente lasciato questo mondo il 23 ottobre scorso, stroncato da un infarto a soli 47 anni.

Indipendentemente dalle cause vere o presunte che hanno fermato così presto questo cuore devoto al mestiere, appena appresa la notizia la mia e la vostra (non provate a negarlo) diagnosi é già là, chiara come un’insegna al neon che lampeggia sulla corteccia cerebrale e non necessita né autopsie né tantomeno ulteriori investigazioni:  é lo stress che l’ha fatto secco.

Quando lo scorso settembre il nuovo amministratore delegato di Bmw, Harald Krueger, è svenuto su un palco del Salone dell’Auto di Francoforte mentre stava commentando gli ultimi modelli della casa di lusso tedesca, non é certo alla cattiva digestione che abbiamo, in cuor nostro, dato la colpa.

Questa nuova e diffusa consapevolezza che di stress lavorativo ci si possa ammalare e si possa morire, merita, secondo me, una piccola riflessione, da un lato come dall’altro delle Alpi. Quand’é che la sofferenza legata al lavoro ha smesso di essere, nell’inconscio collettivo prerogativa esclusiva dei mestieri più pericolosi e usuranti ?

Se lo stress non è affatto un fenomeno nuovo, i Rischi Psico-Sociali (secondo il termine utilizzato in Francia) sono invece entrati solo recentemente nel vocabolario corrente, segno che qualche cosa, nel sentire comune, sta cambiando.

Proprio la Francia del resto ha pagato un prezzo molto alto, in tempi recenti, la mancanza di una politica di prevenzione dei RPS. Basti pensare ai 35 suicidi occorsi tra il 2008 e il 2009 in seguito alla ristrutturazione che ha portato alla nascita del gruppo Orange dalle ceneri di France Telecom. L’inchiesta, che si é chiusa nel gennaio di quest’anno potrebbe portare alla condanna per mobbing dell’ex PDG, del direttore delle risorse umane dell’epoca e di altri due dirigenti.

Nel Plan Santé au Travail 2010 – 2014pubblicato dal Ministero del Lavoro, la prevenzione dei RPS compare ormai tra le priorità insieme a quella del rischio chimico o delle patologie muscolo-scheletriche, per citarne solo un paio. In questo piano quadriennale, al paragrafo RPS si legge: «I cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e le ristrutturazioni aziendali fanno pesare sui lavoratori vincoli crescenti. Questi rischi possono causare gravi danni alla salute fisica e mentale e portare a termine ad alterazioni irreversibili».

E ancora: «In Francia, i RPS sono la causa del 10% delle spese legate a infortuni sul lavoro e malattie professionali sostenute dalla Sécurité Sociale e il loro impatto sulla performance economica globale delle imprese è notevole».

Tra le azioni previste dal PST 2010-2014 compaiono le raccomandazioni del cosiddetto rapporto Lachmann, Larose et Pénicaud del febbraio 2010. Di che si tratta?

Il decalogo per il miglioramento della salute psicologica al lavoro

Nel 2009, su richiesta esplicita del capo del governo di allora François Fillon una commissione composta da Henri Lachmann(presidente del consiglio di sorveglianza di Schneider Electric), Christian Larose (Vice Presidente del Comitato economico, sociale e ambientale) e Muriel Penicaud (Direttrice Risorse Umane del gruppo Danone) ha lavorato a un rapporto dal titolo «Benessere e efficienza sul lavoro- 10 proposte per il miglioramento della salute psicologica al lavoro», pubblicato poi agli inizi del 2010:

1. Il coinvolgimento della direzione e del Consiglio di Amministrazione é essenziale.
La valutazione delle prestazioni deve includere il fattore umano, e quindi la salute dei dipendenti.

2. La questione della salute dei dipendenti è in primo luogo affare del management, non puo’ essere esternalizzata.
I manager di prossimità (i famosi « N+1 », [NdA]) sono i primi attori della salute dei collaboratori.

3. Dare ai dipendenti i mezzi per realizzarsi al lavoro.
Ripristinare spazi di discussione e di autonomia nel lavoro.

4. Coinvolgere le parti sociali nella costruzione di condizioni di salute.
Il dialogo sociale all’interno dell’azienda e all’esterno, è una priorità.

5. La misura induce il comportamento.
Misurare le condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro è una condizione per lo sviluppo del benessere in azienda.

6. Preparare e formare manager per il ruolo di manager.
Affermare e concretizzare la responsabilità del manager nei confronti dei team e degli uomini.

7. Non ridurre il collettivo di lavoro a una somma di individui.
Migliorare la performance collettiva per rendere le organizzazioni del lavoro più motivanti e più efficienti.

8. Anticipare e prendere in considerazione l’impatto umano dei cambiamenti.
Ogni proposta di riorganizzazione e ristrutturazione deve misurare l’impatto e la fattibilità a livello umano del cambiamento.

9. La salute sul lavoro non termina ai confini dell’azienda.
L’azienda ha un impatto umano sull’ambiente circostante, in particolare sui suoi fornitori.

10. Non lasciare il dipendente solo con i suoi problemi
Accompagnare i dipendenti in difficoltà.

Senza voler azzardare il paragone tra il trio di guru d’oltralpe e i nostri padri costituenti, nel leggere questi dieci punti si ha un po’ la stessa sensazione di vertigine mista a scoramento che si prova nel ripercorrere i principi fondamentali della Costituzione italiana. Se é tutto limpidamente semplice, qual é il meccanismo perverso che rende tutto così complicato?

Ma, soprattutto, che distanza c’é tra il dire e il fare se in tv si vedono ancora direttori del personale di Air France scavalcare cancelli con la camicia strappata? Le domande sono volutamente retoriche. Sul cancello sventola camicia bianca.

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