Competenza richiesta: disabilità

Vorrei porre due riflessioni nate dalla mia esperienza di contatto con l’impresa e con il mondo del lavoro a proposito delle opportunità professionali. La prima nasce dall’universo variegato e riccamente corredato della statistica, una dimensione che racconta delle posizioni che le aziende riservano “tradizionalmente” alle persone con disabilità o con svantaggio: la postazione di centralino, la […]

Vorrei porre due riflessioni nate dalla mia esperienza di contatto con l’impresa e con il mondo del lavoro a proposito delle opportunità professionali.

La prima nasce dall’universo variegato e riccamente corredato della statistica, una dimensione che racconta delle posizioni che le aziende riservano “tradizionalmente” alle persone con disabilità o con svantaggio: la postazione di centralino, la reception, i servizi generali, ruoli di supporto negli uffici amministrativi, scaffalista e supporto alla cucina e pulizie.

Molta più prudenza e riserva all’interno delle attività prettamente manifatturiere. Le selezioni spesso partono dalla necessità di voler adempiere all’obbligo di legge nel modo meno traumatico ed impattante per l’efficienza dell’organizzazione aziendale, e spesso si tengono in equilibrio tra budget per la Legge 68, previsioni sanzionatorie per gli eventuali inadempimenti, ambiente di lavoro in cui le persone dovrebbero essere inserite.

La seconda riflessione nasce invece dal rapporto con le persone. Tutti i giorni conosco persone con disabilità o in situazione di difficoltà che si vogliono approcciare al mondo del lavoro con passione, competenze, motivazione. La disabilità è una condizione a volte transitoria, a volte sopravvenuta.
Lo svantaggio è invece figlio di ostacoli ad entrare nel mercato del lavoro derivanti da discriminazioni, barriere, stereotipi. Qualunque sia la loro natura, disabilità e svantaggio non annullano i fattori che la persona può mettere in gioco nel proprio ingresso in una realtà aziendale. Le aziende che approcciano il tema “assunzione obbligatoria” cercando di entrare nella dinamica della persona, prima ancora che della condizione, hanno inevitabilmente dei vantaggi.

Ogni anno escono ricerche (e bilanci) che dimostrano l’attenzione sempre crescente delle persone, dei consumatori, dei potenziali acquirenti, degli aspiranti candidati, nei confronti di organizzazioni attente agli aspetti di responsabilità sociale. Ma non solo.
Si realizzano anche esperienze organizzative e soprattutto umane in grado di produrre effetti sorprendenti rispetto al quadro dipinto dal mero dato statistico: persone con disabilità inserite in ruoli importanti, strategici, a volte persino nuovi.

Nel tempo ho conosciuto persone sorde assunte come addetti alle vendite, persone con disabilità intellettiva e mentale in ruoli a contatto con il pubblico e persone non vedenti in attività di formazione. Fino a citare il bellissimo caso di una realtà di riferimento nel mondo della ristorazione che ha inserito all’interno della propria rete una persona con disabilità acquisita in un precedente infortunio sul lavoro per sensibilizzare e formare il proprio personale dipendente sull’importanza dell’uso dei dispositivi di sicurezza e sull’osservanza delle norme.

Ogni volta che incontro un direttore del personale, l’invito che gli rivolgo è quello di discriminare sempre e solo sulle competenze. Questo dovrebbe essere il punto di partenza anche nei confronti della selezione di persone con disabilità. Comprendere cosa siano in grado di fare, quali competenze potrebbero mettere a disposizione dell’organizzazione, in quali attività potrebbero esprimere il proprio valore, esattamente come ciascun lavoratore “normale”. Un approccio che non dovrebbe essere prerogativa del dipartimento HR, ma appartenere a tutti noi, affinché non sia per noi una sorpresa avere un capo con disabilità.

CONDIVIDI

Leggi anche