Conflitti profondi: la svolta della geotermia

È una di quelle storie emblematiche che legano in maniera indissolubile economia, territorio ed energia, quella della geotermia in Toscana, ma con un risvolto inedito. Oggi, infatti, in questo caso la transizione non riguarda il passaggio dai fossili alle rinnovabili, come in tutto il mondo, ma da una “rinnovabile” ad un’altra. Ciò che sta succedendo […]

È una di quelle storie emblematiche che legano in maniera indissolubile economia, territorio ed energia, quella della geotermia in Toscana, ma con un risvolto inedito. Oggi, infatti, in questo caso la transizione non riguarda il passaggio dai fossili alle rinnovabili, come in tutto il mondo, ma da una “rinnovabile” ad un’altra. Ciò che sta succedendo in Toscana in materia di geotermia, infatti, è un conflitto tra una “rinnovabile” e la sua evoluzione tecnologica, con tutta una serie di risvolti in termini di scontri sociali, occupazionali e ambientali.

Però per capire è necessario inquadrare il contesto energetico, geografico e sociale. Prima di tutto la geotermia. Questa fonte, assieme all’idroelettrico, è una delle fonti rinnovabili più antiche, ha una storia di oltre un secolo, il primo utilizzo per la produzione di energia elettrica è avvenuto proprio in Toscana nel 1904, ed è stata appannaggio di questa regione per lungo tempo, visto che necessitava di terreni ad alto contenuto energetico – calore – e a quote poco profonde.

Erano i primi anni del secolo scorso, quelli della prima industrializzazione, fatta attraverso interventi industriali “pesanti” che non tenevano assolutamente in conto le questioni ambientali e che andavano a sostituire, in buona parte, l’economia agricola che tra Larderello e il Monte Amiata era quella di una sussistenza in buona parte derivante dal quella medioevale “del bosco”. Questi erano lo sviluppo e la logica che hanno attraversato tutto il ‘900, arrivando fino a oggi.

In questo quadro la geotermia, e l’attività mineraria sul Monte Amiata, hanno rappresentato un volano di sviluppo economico e di riscatto sociale non indifferente, ma hanno lasciato anche un’impronta industriale di un certo peso, che è poi quella che alimenta l’antindustrialismo che oggi impera in Italia a livello d’opinione pubblica.

Geotermia ora

Oggi la geotermia in Toscana vede 795 MWe installati nella zona di Larderello e 121 in quella del Monte Amiata, ma i dubbi che sia una vera rinnovabile ci sono. Se da un lato, infatti, non utilizza combustibile, dall’altro è stato verificato che (Riccardo Basosi, 2015) le emissioni di CO2 dello sfruttamento energetico dei terreni geotermici non sono paragonabili a quelle emesse naturalmente dagli stessi. Protocollo di Kyoto e Ipcc, infatti, non hanno considerato il fatto che c’è una certa differenza nell’emettere la stessa quantità di CO2 in trenta o in 100mila anni. Ma ciò che crea tensione e conflitto tra la popolazione e le imprese non è la CO2 ma l’inquinamento diretto.

Uno studio epidemiologico del 2010, realizzato dall’Osservatorio di Epidemiologia dell’Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, mette in rilievo un aumento della mortalità nella popolazione maschile del 6% nella zona di Larderello e del 13% in quella dell’Amiata, che però non dovrebbe essere correlato, secondo gli autori, alle emissioni in atmosfera di arsenico, idrogeno solforato, ammoniaca e mercurio, dovutI agli impianti, visto che quest’aumento è assente nella popolazione femminile.
Pertanto si tratta di un aumento di mortalità, sempre secondo gli autori, dovuto agli stili di vita e non all’inquinamento. Versione quest’ultima, ovviamente, messa in forte dubbio dai comitati locali che si oppongono alla geotermia di tipologia “Flash” – ovvero quella dei grandi impianti in uso oggi – mentre si registrano delle timide aperture, sempre da parte dei comitati stessi, a quella a ciclo binario che ha una sostenibilità molto maggiore, poiché reinietta totalmente nel sottosuolo i fluidi prelevati dai pozzi, non disperdendoli così nell’ambiente.

C’è geotermia e geotermia

«Le due geotermie hanno due approcci diversi sul fronte della concezione energetica – ci dice Alessandro Murazzu, tra i fondatori della Rete Geotermica Nazionale – Quella classica è concentrata, mentre quella a ciclo binario è fatta di impianti più piccoli e che quindi che possono avere una diffusione maggiore nel territorio, cioè caratterizzati da un utilizzo più capillare».

I piccoli impianti, infatti, oltre a produrre energia elettrica, possono fornire calore che può essere utilizzato nelle serre, nelle attività industriali che utilizzano calore a bassa temperatura, nel turismo termale e per il teleriscaldamento. «Sul fronte occupazionale il bilancio è a favore della nuova geotermia, visto che ogni impianto da 5 MWe lavora 24 ore su 24 e necessita di 10-15 addetti fissi – ci dice Fabio Roggiolani, tra i fondatori del Gruppo Informale Geotermia e Ambiente (GIGA).  Senza contare tutto ciò che è possibile sviluppare a livello occupazionale sul fronte dell’indotto». Già, perché molti piccoli impianti, a ridotto impatto ambientale, se non addirittura a zero, possono ritracciare la geografia economica e sociale, messa a dura prova dalla crisi.

La logica è quella della generazione distribuita che appartiene anche ad altre fonti rinnovabili. Piccoli impianti distribuiti sul territorio sono in grado di attivare delle filiere economiche e sociali “brevi”, creando benefici non indifferenti sotto il profilo sociale. «Certo per fare ciò è necessario che le autorizzazioni dei nuovi impianti premino e privilegino chi mette questi plus nei progetti – conclude Roggiolani – e per fare ciò sono necessari due ingredienti. Il primo è una visione allargata dei contesti di riferimento da parte sia delle industrie, sia della politica, mentre il secondo è la redazione di precise politiche sociali/industriali che traccino la strada».

E i primi sintomi di cambiamento si sono osservati qualche mese fa in occasione di un appuntamento che si è tenuto ad Abbadia San Salvatore per la stesura della “Carta della buona geotermia” durante il quale si sono viste delle aperture tra mondi distanti quali quelli dei comitati e delle imprese. Certo il lavoro per eliminare incrostazioni da entrambe le parti è ancora lungo, così come la definizione di un piano industriale e sociale per i territori geotermici è ancora tutto da costruire a partire dai numeri delle economie. Sarà fondamentale, infatti, acquisire un preciso bagaglio di conoscenze economiche e sociali, per poter usare al meglio quello fatto di tecnologia e scienza che già esiste. E il caso geotermia in Toscana allora potrebbe diventare un laboratorio per decine d’altri territori in Italia, dove conflitti analoghi sono un vero freno alle economie.

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