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Connessioni e collegamenti
Nel mondo digitale si sono contaminati i significati di alcune parole che comunemente utilizziamo anche nella vita reale; le “amicizie” di Facebook oppure i “seguaci” di Twitter sono un esempio di cosa intendo con il termine contaminazione. È una fortuna che si siano fermati a questo e non abbiano iniziato ad utilizzare termini come gregario, […]
Nel mondo digitale si sono contaminati i significati di alcune parole che comunemente utilizziamo anche nella vita reale; le “amicizie” di Facebook oppure i “seguaci” di Twitter sono un esempio di cosa intendo con il termine contaminazione. È una fortuna che si siano fermati a questo e non abbiano iniziato ad utilizzare termini come gregario, adepto o discepolo. Aspettate a ringraziare il cielo, potrebbe accadere in una piattaforma futura.
Di fatto, queste piattaforme di comunicazione stabiliscono tra gli utenti delle relazioni. In alcuni casi sono molto blande, perché ci limitiamo a seguire gli aggiornamenti informativi di qualcuno che riteniamo interessante, ma in altri casi questi collegamenti diventano più complessi perché daremo la possibilità al collegato di contattarci privatamente e di leggere contenuti che riserveremo solo alle persone più vicine a noi.
Per come la vedo io, la differenza tra connessione e collegamento sta nel fatto che la prima prevede una relazione di interdipendenza su idee, progetti, scopi comuni o interessi, mentre il secondo è costituito da una relazione più debole, aperta, in cui l’aspettativa è minore ma che coltiva al suo interno una forma di speranza di elevarsi a connessione.
Vi sono piattaforme in cui questa connessione è sincrona, cioè solo la reciproca autorizzazione consente di scambiarsi una serie di informazioni, come ad esempio LinkedIn e Facebook, oppure asincrona che non implica nessun obbligo di ricambio e in cui cederemo o acquisiremo informazioni dalla persona emittente.
“Amicizia” è la parola che sta alla base di tutta l’azione comunicativa di Facebook ed è proprio su questa piattaforma che sono nate le più grandi difficoltà interpretative del suo significato. Alcuni interpretano amicizia alla lettera e si circondano solamente di persone che conoscono effettivamente, atteggiamento che ho avuto anche io per un lungo periodo. Ci sono altri secondo i quali la quantità è meglio della qualità/profilazione e sostengono che quando si cercano like e consenso tutto fa brodo. Fortunatamente, non esiste una regola unica ed univoca alla quale attenersi per valutare le connessioni e ognuno fa quello che ritiene corretto. Questa è la ragione per cui vediamo profili blindatissimi, altri che concedono o meno le amicizie in modo strategico e altri ancora che accordano l’amicizia sempre.
Anche su LinkedIn ci sono diverse scuole di pensiero. C’è chi accetta collegamenti esclusivamente inerenti alla propria professione e chi, come faccio io, accetta quasi tutti ritenendo un collegamento un ulteriore pezzo di un network che potrebbe espandersi fino a trovare l’opportunità lavorativa giusta. Secondo l’antropologo britannico Robin Dunbar, un individuo non è in grado di avere più di 150 amici per un limite strutturale: “questo limite è funzione diretta della dimensione relativa della neocorteccia, che a sua volta limita la dimensione del gruppo“. Giunse a questa conclusione dopo aver studiato molti primati, gli esseri umani e le loro relazioni. Condivido anche io questa tesi e ritengo che il motto, “chi è amico di tutti non è amico di nessuno” sia valido e ben riscontrabile nella realtà.
Se però ci lasciamo andare al lato romantico di questo aggiungere pezzi di network alla nostra attività quotidiana sui social è facile prevedere che, tra le migliaia di persone collegate, alla fine arriverà quello a cui potremo attribuire quella rara connessione che da sempre si chiama Amico.
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