Cooperazione, collaborazione, co-cosa?

Nel tempo che stiamo vivendo il tema del lavoro e della gestione delle persone nelle imprese sta cambiando e assumendo forme nuove. In un momento in cui il paradigma economico predominante è in forte discussione a causa della crisi economico-finanziaria e della riduzione delle risorse pubbliche, si osservano nuove forme di mutualismo attivate da legami […]

Nel tempo che stiamo vivendo il tema del lavoro e della gestione delle persone nelle imprese sta cambiando e assumendo forme nuove. In un momento in cui il paradigma economico predominante è in forte discussione a causa della crisi economico-finanziaria e della riduzione delle risorse pubbliche, si osservano nuove forme di mutualismo attivate da legami deboli che hanno nella reciprocità il proprio meccanismo generativo. Ciò che accade è che le persone si aggregano e si alleano sulla base di istanze individuali e collettive nuove per dare risposta a bisogni emergenti, soprattutto di tipo relazionale: la dimensione relazione assume un valore in sé (sense making).

Co-cosa?

È ormai ampiamente noto che lo star-bene (well-being) delle persone è associato non solamente ai bisogni materiali, ma anche ai bisogni relazionali e cioè alla loro capacità di entrare in relazione in modo genuino con altri. Ecco che ci troviamo circondati da progetti di tipo collaborativo come i Co-working, i Co-housing, le forme di co-produzione di beni pubblici: tutte forme che rappresentano le diverse declinazioni di un paradigma del vivere in cui condivisione e collaborazione sono il principio della relazione.

Ovviamente la collaborazione non è sufficiente a definire la cooperazione perché la cooperazione prevede non solo la condivisione degli strumenti (pensiamo all’economia collaborativa dove si condivide una piattaforma o un passaggio auto o una casa) ma anche la condivisione dei fini, dei valori e dell’obiettivo ultimo del col-laborare. Collaborare è infatti indispensabile per attivare logiche di alleanza tra lavoratori e imprese mentre co-operare vuol dire allearsi per condivisione di un fine comune.

Case history sulle forme di collaborazione

É di bene comune che si sono occupate aziende come Alessi con il progetto “Buon Lavoro – La Fabbrica per la Città” nato dall’esigenza di gestire un momento di sovracapacità produttiva dello storico stabilimento di Crusinallo, conseguenza della scelta strategica di Alessi di mantenere una parte rilevante della produzione in Italia. La decisione dell’azienda è stata quella di provare a valorizzare “diversamente” il lavoro dei dipendenti, impiegando il loro tempo in attività socialmente utili a favore della comunità in cui vivono e lavorano.

Tra giugno e novembre 2013, circa 300 dipendenti della sede di Omegna (l’86%) hanno volontariamente accettato di destinare una parte del loro tempo (da 1 a 8 giornate di lavoro ciascuno) ad attività sociali quali la ritinteggiatura della scuola elementare, la pulizia delle aree verdi, l’accompagnamento di anziani e disabili. In questo progetto, la dinamica relazionale tra gli attori attinge al principio del cooperare e ridisegna il ruolo degli attori nella società.

Diversi sono i casi di welfare aziendale presenti in Italia, casi spesso legati a pratiche di conciliazione vita-lavoro connesse con la produttività delle imprese più che con le competenze e le aspirazioni dei lavoratori.

Se le imprese si preoccupassero non solo della produttività ma anche di investire sulla capacitazione dei propri lavoratori, per esempio interrogandoli sui loro bisogni, coinvolgendoli nelle decisioni aziendali e rendendoli protagonisti e co-produttori di nuovi servizi, riuscirebbero a mettere a valore le relazioni e a rendere i lavoratori più felici e più produttivi. Nel caso delle cooperative di comunità, per esempio, i lavoratori sono accomunati dal dare valore ad un’azione comune che molto spesso è legata alla rigenerazione di un luogo per farlo tornare in vita e generare impatto sociale attraverso un’economia diretta, un attività commerciale.

La cooperativa Valle dei Cavalieri è nata a Succiso (Reggio Emilia) grazie al recupero del bar del paese dove una minoranza di persone si sono attivate con l’obiettivo comune di restituire il luogo alla comunità creando un’associazione la cui adesione è del tutto volontaria e in cui il bene è di proprietà comune.
La ricerca di uno spazio di relazioni è ciò che accomuna tanti lavoratori odierni, non solo quelli di Valle dei Cavalieri, perché il vero bisogno coincide con l’alimentare un flusso di scambi attraverso cui generare nuove opportunità di lavoro e di senso, ossia fare cose in modo diverso per cambiare e trasformare la società in cui tutti ci muoviamo.

Serve però un alleanza nuova fra profit e not for profit: una piattaforma che superi le tradizionali logiche di scambio, cercando invece di stimolare percorsi di generazione del valore in cui il capitale umano diventi, intenzionalmente e non strumentalmente, attivatore e generatore di soluzioni cooperative prima inesistenti.

 

Articolo redatto in collaborazione con Francesca Battistoni (Social Seed).

 

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