BIC e Coworking: le nuove case dei freelance

Nell’immaginario collettivo la vita professionale dei freelance appare come una sorta di bohéme connotata dalla piena libertà se non dalla sregolatezza che la mancanza di orari e luogo di lavoro fissi potrebbe portare con se’. Se osserviamo da vicino i comportamenti professionali dei freelance, però, questa visione naive lascia presto il posto a una realtà […]

Nell’immaginario collettivo la vita professionale dei freelance appare come una sorta di bohéme connotata dalla piena libertà se non dalla sregolatezza che la mancanza di orari e luogo di lavoro fissi potrebbe portare con se’. Se osserviamo da vicino i comportamenti professionali dei freelance, però, questa visione naive lascia presto il posto a una realtà molto diversa dove tempo e spazio di startupper e creativi risulta connotato da un’impostazione e da un’organizzazione fatta anche da spazi come coworking e BIC (Business Innovation Center) che, al di là della libertà professionale, sono indispensabili per la buona riuscita dell’attività lavorativa.

Coworking e BIC: dimensioni a confronto

In entrambi i casi ci troviamo di fronte ai luoghi di lavoro privilegiati da innovatori, imprenditori digitali e freelance; la medesima utenza, però, non implica un’identità di funzioni delle due tipologie di spazi che hanno anche una storia tutta differente.
I coworking, intesi come spazi fisici condivisi da lavoratori indipendenti e dinamici, nascono nel 2005 a San Francisco dove Brad Neuberg fonda il primo di essi, la Hat Factory; i BIC, invece, trovano la loro origine nel progetto pilota “European Business & Innovation Centre” (EC BIC), avviato nel 1984 dalla Direzione Generale delle Politiche Regionali e di Coesione della Commissione Europea e diventano una realtà alla fine degli anni Ottanta. Differenti genealogie – professionalità private e iniziativa pubblica – ed età anagrafiche rivelano che i BIC, lungi dall’essere una derivazione o una copia pubblica dei coworking, hanno avuto, fin dalla loro origine, finalità diverse perché pensati come centri di innovazione territoriale, attivati su impulso di un’istituzione comunitaria.

Dai primi dati 2015 dell’ultima Global Coworking Survey, rilasciati da Deskmag, la più longeva e autorevole rivista dedicata al mondo cowo, apprendiamo che i coworking, diffusi soprattutto in Nord America e nel vecchio continente ma in rapida crescita anche nell’America Latina e in Asia, hanno visto, in appena 11 anni di vita, una crescita rapida poi divenuta esponenziale nel 2015 quando si è assistito a un vero e proprio boom sia degli spazi condivisi dai freelance (+36%) sia dei membri (+30%) che frequentano questi luoghi che, in media, hanno ormai quasi tre anni di vita.

Coworking e BIC: una crescita esponenziale

I coworking, mantenendo inalterata la volontà del loro fondatore, sono tutt’oggi spazi privati che, dietro pagamento di una tariffa giornaliera o mensile, mettono a disposizione di un freelance una postazione o un ufficio con i servizi indispensabili (prese di corrente, connessione a internet, stampanti) per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Anche se rispetto agli anni passati 2013-2014 diminuiscono i freelance che lavorano da soli (56%) e non in team, sono loro a costituire l’utenza principale dei coworking frequentandoli sempre più assiduamente (il 73% di loro 3-4 volte la settimana rispetto al 51% del biennio precedente, mentre il 44% ci va ogni giorno, pur continuando a volte a lavorare anche fuori dagli spazi di coworking nella quasi totalità – 84% – dei casi).

Coworking e BIC: le modalità di lavoro

Per quanto riguarda il solo caso italiano, (dati MyCowo, 2014) la maggior parte dei coworkers si ritengono freelance (53%) e solo dopo imprenditori e startuppers (39%): in entrambi i casi si considerano soprattutto dei lavoratori indipendenti (79%). Il coworking viene scelto come sede di lavoro non solo per la possibilità di fruire di servizi essenziali ma anche per la flessibilità dei tempi e dei modi di lavoro, per conoscere e interagire con altri professionisti, con i quali ricercare e ottenere nuove opportunità e, infine, per i bassi costi di affitto (in media 25 euro giornalieri e 263 euro mensili).

BIC, dove crescono le startup

Proprio perché centri per la creazione e lo sviluppo di imprese innovative i BIC, che dal punto di vista normativo sono società in house (società private, a totale partecipazione pubblica) o anche società private, non hanno mai invece inteso porsi in concorrenza con i coworking: hanno una finalità diversa e si rivolgono a un tipo di utenza, almeno in parte, differente.
Al centro dell’attenzione dei BIC vi è infatti la nuova iniziativa imprenditoriale, quindi le startup e le PMI: secondo l’Impact Report 2016 – Incubating Innovation, stilato dall’EBN – il network dei 150 BIC presenti sul territorio europeo – i Business Innovation Center hanno supportato, a vario titolo, 8775 startups, 18717 piccole e medie imprese e 485 industrie di grandi dimensioni.

Coworking e BIC: aziende supportate
Nella loro funzione primaria di incubatori di imprese hanno avuto a che fare con 73.262 idee innovative dalle quali, dopo un accurato processo di valutazione e selezione, sono nate 4.077 startup. I BIC forniscono supporto alle imprese incubate attraverso fondi pubblici e privati (un totale di 480 milioni di euro) erogati direttamente dai BIC attingendo a fondi pubblici (per 12.453 imprese) o ottenendo finanziamenti privati (per altre 7663 clienti). Un circolo virtuoso a tutti gli effetti dal momento che l’azione dei BIC ha creato nell’ultimo anno, in Europa, quasi 20.000 posti di lavoro (tra startup e piccole e medie imprese) e che, soprattutto, la quasi totalità delle startup sopravvive durante il periodo di incubazione nei BIC (90%) e nei tre anni successivi (87%).

coworking e BIC: fondi distribuiti

Come spiega Giulio Curti, responsabile dello Spazio Attivo di BIC LAZIO a Viterbo, la finalità di stimolare l’innovazione sui territori, favorendo la nascita e la crescita di imprese, si realizza attraverso molteplici azioni:

che vanno dal supporto a chi ha un’idea d’impresa per la definizione del business model fino alla incubazione della start up presso gli incubatori presenti nelle diverse province della Regione d’appartenza; per quanto riguarda il fundrasing, è possibile usufruire di un servizio di orientamento verso fondi regionali, nazionali o europei, ma anche verso le diverse piattaforme di crowdfunding. Una particolare cura è dedicata all’imprenditoria femminile, come dimostra il caso del Lazio dove, in ogni sede territoriale dei BIC, è attivo uno Sportello Donna Forza 8 per informare sulle opportunità offerte dalla programmazione regionale, nazionale e comunitaria dedicate a loro“.

Inoltre, ciò che contraddistingue i BIC è la capacità di creare connessioni: non solo mettere a disposizione delle startup competenze specifiche e guidarle nella redazione di un business plan, ma ricercare e attivare anche partnership tecnologiche, produttive e commerciali che consentano alle neo imprese di diventare davvero competitive sul mercato.

In tal senso BIC Lazio può essere inteso come un bene pubblico e come una forma inedita di welfare dal momento che, attraverso risorse pubbliche, sono perseguite tutte le azioni che possano favorire lo sviluppo di una impresa appena nata e sono attivate differenti opportunità di networking che semplificano l’inserimento della startup nel tessuto imprenditoriale del territorio”.

Il bazar del Talent Working

Le connessioni, si sa, avvengono più facilmente in strada o in piazza, piuttosto che davanti a uno schermo; per questo, BIC Lazio nel suo ultimo anno di attività si è concentrato sull’obiettivo di creare “piazze” all’interno delle sue sedi, luoghi in cui possano circolare liberamente e appoggiarsi anche figure diverse dagli startupper che compongono i team di una nuova azienda.

I Talent Working – aggiunge Curti –, dopo l’apertura del FAB LAB, sono l’ultimo tassello di un sistema di servizi che ha sempre la finalità di creare startup, preferibilmente innovative, un progetto nato per attrarre freelance e creativi che hanno un’idea d’impresa, un progetto innovativo, in uno spazio pensato come il punto d’incontro e di contaminazione anche con i makers che frequentano fablab, con chi arriva per un evento o a un corso di formazione, oppure con gli studenti delle scuole o delle università che partecipano alle nostre iniziative, come anche con imprenditori già attivi ed esperti”.

Tra coworking e BIC o, meglio, tra i coworking e i Talent Working di BIC Lazio, troviamo un’altra, profonda, differenza: il freelance che entra nei secondi può godere dei servizi e interagire con professionisti che gravitano al suo interno, come con altri freelance, senza dover pagare una quota giornaliera o mensile; BIC Lazio, infatti, ha organizzato un sistema di compensazione innovativo – quello della banca del tempo – mutuato dall’economia circolare: il freelance che usufruisce della disponibilità degli spazi gratuitamente è chiamato – concordando tempi e modalità – a mettere a disposizione della comunità che popola il Talent Working le sue competenze e una piccola parte del suo tempo di lavoro giornaliero.

Un modello a valore aggiunto

In definitiva coworking e BIC sono spazi con finalità e caratteristiche molto diverse. In questo caso, però, l’alternativa pubblica non ha nulla da invidiare all’iniziativa privata. La Commissione Europea si è impegnata, negli ultimi due decenni, a realizzare obiettivi strategici attraverso i BIC come la presenza di centri territoriali che offrono assistenza per la nascita, lo sviluppo e l’innovazione nelle imprese. Le modalità con cui si realizzano queste priorità si realizzano varia da Stato a Stato e anche da regione a regione, come il profilo societario degli stessi BIC e i servizi che offrono.
Quel che però sembra più degno di nota è che, anche grazie all’esperienza e all’attività di ricerca di Giordano Dichter (attuale direttore dei servizi EU BIC presso l’EBN), è stato sviluppato un modello di incubazione proprio dell’EBN (European Business Network). BIC Lazio, dove Dichter ha lavorato negli scorsi anni, è stato un laboratorio che ha favorito la definizione e l’affinamento di questo modello che prevede l’attivazione di specifici servizi e procedure e che è praticato all’interno di tutto il circuito dei BIC.
Che si tratti di un modello virtuoso lo dimostra, ad esempio, il caso di Skylab Studios, un’azienda operante nello Spazio Attivo di Viterbo del BIC Lazio:

dopo tre anni di incubazione – nota Curti – questa start up, che realizza soluzioni innovative nella comunicazione visiva per il turismo, il territorio e la città, utilizzando tecnologie come la realtà aumentata, i qr code, il touch screen e la cartellonistica interattiva, ha ottenuto riconoscimenti e commesse in tutto il territorio nazionale, curando progetti come la campagna promozionale per la candidatura di Roma a sede delle Olimpiadi 2024, le risorse interattive del Museo della Grande Guerra a Redipuglia e i servizi turistici digitali di molte città italiane che a loro si sono affidate. Un successo attestato anche da un fatturato che, per l’ultimo anno di attività, si aggira intorno ai 500.000 euro e dall’apertura di una società collegata in Spagna”.

Startupper e freelance possono, quindi, guardare a coworking e BIC come a delle risorse preziose; nel secondo caso però – quello degli incubatori “regionali” – specie in casi come quello del Lazio, oltre all’offerta di uno spazio attivo che non ha nulla da invidiare a un coworking, è possibile trovare un metodo di incubazione delle imprese, sviluppato al loro interno, che si configura come una reale opportunità per le startup che si affacciano sul mercato e che, per una volta, senza dover necessariamente ricorrere ad alternative private, possono guardare con fiducia a questi spazi “pubblici”, comuni e realmente attivi.

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