Di che segno sono le imprese italiane?

Christian non potrà mai sapere come romba il motore di una Ferrari. Eppure a modo suo ha imparato ad ascoltarlo. Così come ha imparato a sentirsi meno straniero alla lingua del mondo. “Ci sentiamo domani”, digito su WhatsApp per confermargli l’appuntamento via Skype per l’intervista. Poi ritorno indietro e cancello il “sentiamo”. “Che gaffe stavo […]

Christian non potrà mai sapere come romba il motore di una Ferrari. Eppure a modo suo ha imparato ad ascoltarlo. Così come ha imparato a sentirsi meno straniero alla lingua del mondo.

“Ci sentiamo domani”, digito su WhatsApp per confermargli l’appuntamento via Skype per l’intervista. Poi ritorno indietro e cancello il “sentiamo”. “Che gaffe stavo per fare, come ho fatto a non pensarci?”. È quello che ci accade davanti a certe situazioni: ci sentiamo fuori luogo, preoccupati di sbagliare le parole, di essere inopportuni. Ma quando vedo e sento parlare Christian ogni imbarazzo passa. E tutto viene naturale.

Christian Marini, emiliano, 32 anni, è sordo e bilingue: parla l’italiano e la Lingua dei Segni Italiana (LIS). E presiede la sezione modenese dell’Ente Nazionale Sordi (ENS), la onlus che tutela i diritti delle persone non udenti. Tra questi, anche il diritto al lavoro, uno dei campi in cui la discriminazione è ancora forte, a dispetto della legge 68/99 (“Norme per il diritto al lavoro dei disabili”). “Molte aziende preferiscono pagare le sanzioni piuttosto che rispettare le regole”, sostiene Christian. Lui un lavoro per fortuna ce l’ha, anche se non è esattamente quello che si aspettava: “Sono stato assunto come operaio dalla Ferrari nel 2006 prima con un contratto di sei mesi, poi di un anno e infine a tempo indeterminato. Il giorno dell’assunzione mi avevano promesso che in un secondo momento mi avrebbero messo in ufficio, perché ho il diploma per tecnico di gestione aziendale, ma finora mi sono sempre occupato della protezione delle auto e della verniciatura. Sono dieci anni che aspetto la chiamata”.

L’integrazione nell’ambiente di lavoro non è stata semplice. “All’inizio ho sofferto molto, mi sentivo isolato – ha raccontato Marini a SenzaFiltro – e sottovalutato per le mie capacità. Non riuscivo a rapportarmi con i colleghi, che davanti a me non sapevano cosa fare, erano in imbarazzo, facevano la pausa caffè e non mi chiamavano. Poi ho cercato di dialogare con loro, di spiegargli che con il labiale e con le espressioni del volto potevo comprenderli e comunicare con loro. Con il tempo ho insegnato loro la Lingua dei Segni Italiana e sono contentissimi, a volte usciamo e la insegno anche alle loro mogli e compagne”. La conoscenza della lingua dei segni, secondo autorevoli studi internazionali, è propedeutica all’apprendimento delle lingue vocali e contribuisce al miglioramento dell’attenzione visiva, della memoria e del linguaggio del corpo.

Nonostante le difficoltà, Christian si sente fortunato: “La Ferrari è un’azienda importante, che tiene molto alla sicurezza e per questo ai disabili 100% affida solo ruoli senza rischi. Nei corsi di formazione/sicurezza per ora c’è la solo sottotitolatura e alcuni termini risultano difficili da comprendere. Ma dal prossimo corso l’azienda fornirà il servizio d’interpretariato LIS a chi lo chiederà”.

Nel dicembre 2015 è partito l’iter legislativo per il riconoscimento della LIS e per favorire l’inclusione delle persone sorde nella vita collettiva. Attualmente l’Italia e il Lussemburgo sono gli unici paesi europei a non aver riconosciuto le rispettive lingue dei segni con una legge nazionale. Questo nonostante la Convezione Onu sui diritti delle persone con disabilità (2006), ratificata dal Governo italiano, tuteli espressamente la specifica identità linguistico-culturale delle persone sorde, indicando agli Stati di riconoscere tali lingue e promuoverne l’acquisizione e l’uso. Per sostenere la battaglia per il riconoscimento di questa forma di comunicazione è stata lanciata anche la petizione #ITALIALOVELIS.

Le imprese italiane alla prese con la LIS

Oggi le nuove tecnologie aiutano i sordi a non sentirsi isolati, attraverso strumenti quali servizi di interpretariato in lingua dei segni dal vivo e a distanza, chat, videocomunicazioni, e-mail, traduttori voce/testo. Ma qual è la situazione nelle imprese, da Nord a Sud? Quanta attenzione c’è all’integrazione tra udenti e non udenti?

Il mondo aziendale, così come il mondo della pubblica amministrazione, non spicca per buone prassi e modelli di accessibilità. La ricerca del lavoro – ha spiegato a SenzaFiltro Giuseppe Petrucci, presidente dell’Ente Nazionale Sordi – è complessa, e una volta trovato un impiego in ambito aziendale, pubblico e privato, mancano sensibilità e strumenti che consentano al lavoratore di avere pari opportunità di fare carriera, di accedere a corsi di aggiornamento, di avere incarichi di responsabilità, di ricollocarsi in nuovi contesti lavorativi”. Le lacune a livello legislativo sicuramente non aiutano. “Le normative attuali si limitano ad alcune linee guida sulle postazioni di lavoro accessibili, speso ignorate dai datori di lavoro, ma manca tutto il resto”, aggiunge Petrucci.

Insomma, tanta strada c’è ancora da fare per integrare i linguaggi e annullare le barriere comunicative. E l’ENS è consapevole che il contesto lavorativo rappresenta uno dei campi decisivi in cui è in gioco l’integrazione. Per questo, insieme al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha co-finanziato il progetto S.F.I.D.A. (I Sordi per la Formazione, l’Identità, i Diritti e l’Associazionismo), che ha consentito la realizzazione di corsi formativi in tutta Italia rivolti ai volontari sordi che operano nelle sedi territoriali e la creazione di una piattaforma e-learning, ENS Academy, sulla quale si sta procedendo a caricare percorsi formativi accessibili in lingua dei segni, rivolti ai dirigenti dell’Associazione e non solo. Inoltre l’ENS, come anticipatoci dal Presidente, “sta lavorando a una campagna di sensibilizzazione finalizzata a informare i datori di lavoro su alcune delle più diffuse forme di discriminazione dei lavoratori sordi, per aiutare il mondo del lavoro a essere più accogliente e i lavoratori ad avere una vita come tutti gli altri”.

Abbiamo chiesto ad Amir Zuccalà, responsabile dell’Ufficio Studi e Progetti dell’ENS, di segnalarci alcune delle aziende più virtuose. Tra queste spicca Unicredit, che ha avviato un progetto in cui sono stati formati lavoratori sordi, che ora svolgono funzioni di consulenza e orientamento ai clienti sordi in videocomunicazione. Inoltre i lavoratori Unicredit hanno uno Skype interno e possono chattare e dialogare attraverso la labiolettura o la LIS. E ancora, il gruppo bancario ha effettuato dei corsi di formazione online sulla disabilità motoria, uditiva e visiva per sensibilizzare tutti i colleghi normodotati sul tema della disabilità.

Telecom Italia ha concepito un sistema di comunicazione interna per i propri dipendenti sordi denominato “Comunico-IO”, che si è tradotto anche in un app per non udenti, rivolta sia ai dipendenti che ai clienti. Un altro esempio di inclusione è l’INPS con il suo “Sportello voce”, un servizio che mette a disposizione degli utenti del personale che conosce la LIS. Per quanto riguarda i servizi agli utenti, tra le aziende meritevoli l’Ente Nazionale Sordi inserisce Sky e Netflix, che stanno offrendo modelli di accessibilità per fruire i contenuti tv e web tv, mediante l’offerta di programmi sottotitolati.

Da un punto di vista territoriale, ci sono regioni che più di altre si dimostrano sensibili al tema dell’inclusione. Tra queste spicca l’Emilia Romagna, che – come ha spiegato a SenzaFiltro Giuseppe Varricchio, Presidente del Consiglio Regionale ENS – è l’unica regione in Italia ad aver istituito un Albo regionale degli interpreti della lingua dei segni. Inoltre la Regione ha stanziato un fondo di 200mila euro per il servizio di interpretariato LIS ed è in programma una legge regionale ordinaria sul tema”. In più la Città Metropolitana di Bologna vanta un Albo metropolitano delle aziende inclusive, a cui possono richiedere di iscriversi tutte quelle imprese che sviluppano azioni di inclusione lavorativa di soggetti svantaggiati.

Tuttavia quello che ci chiediamo è perché nel 2017 su temi come l’inclusione si debba ancora parlare di “buone prassi” per ciò che invece dovrebbe costituire la normalità.

 

[Credits immagine: Viagrande Studios]

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