Dica 33, ma disegnando

La salute non è un concetto astratto. La nominiamo di continuo ma difficilmente ce ne facciamo un’idea; guardiamo il corpo come fosse un contenitore che tendiamo a curare più del contenuto. Mirco Tangherlini, pubblicitario che ha “raccontato” l’Italia firmando le copertine dei principali periodici dagli anni ’80 ad oggi, è l’illustratore scientifico che ha guardato […]

La salute non è un concetto astratto. La nominiamo di continuo ma difficilmente ce ne facciamo un’idea; guardiamo il corpo come fosse un contenitore che tendiamo a curare più del contenuto.

Mirco Tangherlini, pubblicitario che ha “raccontato” l’Italia firmando le copertine dei principali periodici dagli anni ’80 ad oggi, è l’illustratore scientifico che ha guardato in faccia la salute e le ha saputo dare un corpo. Lo fa da sempre e da alcuni mesi gira l’Italia esponendo circa cento tavole anatomiche ad altezza umana della sua In Corpore Hominis, tratte dal lavoro che cura per Corriere Salute dal 2012 e che lo scorso anno è diventato anche un libro, Mi spieghi dottore, edito da Rizzoli.

Un digital artist che testimonia oggi la simbiosi delle competenze in cui si è saputo immergere creando un mestiere che non esisteva e che forse sta già cambiando. Ha saputo fondere la parte più tech e intuitiva della grafica con una formazione accademica da illustratore scientifico che gli ha insegnato a guardare il corpo umano dai tavoli anatomici dell’Istituto Superiore di Disegno Anatomico (Rizzoli di Bologna) dove la sua insegnante imponeva rigore sulla scelta del pennello e giusta cromia per ogni organo rappresentato.

Cosa comunica un illustratore scientifico?
Ogni progetto deve comunicare qualcosa altrimenti perde di significato. Nel mio caso, ciò a cui ho sempre cercato di rispondere è stato il desiderio di dare a chiunque accessibilità alle informazioni mediche. Questo non vuol dire sostituirsi ai professionisti ma responsabilizzarsi nell’acquisizione della conoscenza legata al proprio corpo. Proprio in questi mesi, con il Corriere della Sera abbiamo realizzato una prima serie di web-app utili per imparare a riconoscere i sintomi di eventuali patologie. Questi primi progetti sono stati realizzati in collaborazione con il Centro Cardiologico Monzino di Milano e AIOM e sono consultabili sia da pc che smartphone o tablet ma soprattutto le abbiamo rese disponibili in otto lingue al fine di mettere in contatto l’universalità del nostro corpo con la multiculturalità delle nostre città e delle strutture medico-ospedaliere.

Il mercato del lavoro non brilla ma i mestieri vanno anche un po’ creati. Come si sta ad essersi infilati tra arte, giornalismo e scienza medica?
La mia anima scientifica come illustratore è iniziata quando molte riviste hanno cominciato a parlare di salute. La stessa rivista Panorama già nel 1998, grazie ai miei lavori, ha dato vita a una rubrica medica. In quegli anni non c’erano riviste specializzate, la prima probabilmente è stata Ok salute del Gruppo RCS. Proprio attraverso queste esperienze capimmo l’importanza di proporre ai lettori un lavoro di carattere scientifico raccontato con uno stile divulgativo e questa matrice non l’ho più lasciata, adattandola ogni volta ai target e alle linee editoriali.
Oggi forse i giovani artisti non prendono in considerazione la possibilità di svolgere questa professione; io vengo da una scuola “analogica” dove si cercava alta qualità e profonda fedeltà scientifica: l’Istituto Superiore di Disegno Anatomico di Bologna. Durante le lezioni si assisteva a interventi chirurgici ed autopsie per poi riprodurre quanto visto, su carta, con la tecnica dell’acquerello.

C’è una cultura della ricerca nel mondo dell’illustrazione?
Le copertine di Panorama sono state il mio banco di prova, la mia prima esperienza a livello nazionale. Ho avuto la fortuna di “inventarmi” un mestiere in tempi dove la parola ricerca, anche nel mondo dell’illustrazione, aveva un significato profondo, dallo studio delle dimensioni e dei colori all’utilizzo delle nuove tecnologie che dagli anni ’90 hanno completamente cambiato sia gli strumenti che i committenti. In quel periodo sono stato consulente di Apple Italia (quando aveva sede a Reggio Emilia).  La loro idea fu quella di formare alcune eccellenze italiane da usare durante eventi di settore per spiegare l’utilizzo delle nuove tecnologie ai grandi dell’editoria e fortunatamente mi trovai tra queste. Il mio primo contatto fu Fabbri poi Mondadori e RCS.  Proprio da questi eventi importanti la mia nuova professione ha tratto la linfa necessaria. La  stessa Mondadori, attraverso le pagine di Panorama, mi ha dato la possibilità di mettere in pratica le mie conoscenze informatiche e scientifiche.

Come tratta la salute la stampa italiana?
Lo stile dell’immagine realizzata, normalmente, si adatta al taglio del giornale. Con il Corriere della Sera abbiamo sviluppato un nostro modello legato alla tradizione delle immagini scientifiche ma destinato ad un pubblico comune dove concetti complicati diventano semplici da comprendere. Quando ho iniziato la mia avventura al Corriere non c’erano veri e propri illustratori con competenze specifiche ma grafici che si confrontavano con giornalisti e redattori per realizzare infografiche scientifiche. Il lavoro realizzato per questa importante testata nazionale è sempre borderline, dove il confine tra scienza e realtà quotidiana è sottilissimo. Negli ultimi vent’anni ho anche avuto la fortuna di confrontarmi con la visione della salute di tante altre riviste, da Il Venerdì di Repubblica a For Men Magazine (quest’ultimo è quello con cui mi sono divertito di più), dalla Gazzetta dello Sport a Wired a GQ passando per Il Sole 24 Ore/Nova/Plus, Focus, Nature fino ad Airone. Ogni rivista ha un  proprio linguaggio sulla salute, dalla visione estetica a quella sportiva, a volte destinato a un pubblico generico altre a professionisti della medicina. Potersi esprimere attraverso un’illustrazione richiede capacità di sintesi e sapienza creativa in grado di catturare l’attenzione del lettore: penso a quando For Men Magazine mi chiese un’immagine con un virus: l’ho visualizzato immaginando una scena di Shining, disegnando il virus che, come Jack Nicholson, metteva la testa dentro una vena.

Viene da immaginare che le illustrazioni scientifiche richiedano tempi di realizzazione particolarmente lunghi. Coincidono con quelli frenetici del giornalismo?
Sono io che mi adatto alle loro esigenze, col tempo mi sono creato un metodo.
Immagino immediatamente l’illustrazione già durante il colloquio con il committente: non posso permettermi di sbagliare. Imposto la tavola, analizzo l’ingombro, raccolgo le informazioni utili e solo allora inizio a “disegnare”. Attraverso canali a lungo testati, intercetto informazioni, notizie e dati che possono servirmi a “raccontare” al meglio quanto mi viene richiesto. Avendo iniziato la mia professione di illustratore con acquerelli e matite colorate e avendo attraversato il confine tra analogico e digitale, oggi riesco ad usare sia il pennello che il mouse, so come lavorare velocemente e so attribuire il valore del tempo al mio lavoro, so pensare a cosa disegnare già pochi istanti dopo che mi hanno commissionato una copertina o una pagina. In media le grandi testate, soprattutto i quotidiani, mi chiedono immagini con poche ore di anticipo, in quel caso uso anche la mia conoscenza come fattore evocativo. La bravura dell’infografico sta nel saper identificare un concetto con un simbolo, garantire l’universalità del messaggio. Da diversi anni ho fondato un’Agenzia di comunicazione in cui posso unire la mia passione per l’anatomia a quella per il marketing, dando vita a una divisione interna che si occupa di neuromarketing, disciplina volta all’individuazione di canali di comunicazione più diretti ai processi decisionali di acquisto.
L’obiettivo che ci siamo posti è quello di riportare il mestiere del comunicatore a livelli più alti rispetto all’appiattimento visivo e dei contenuti dato dalle nuove tecnologie e dalle immagini acquistate online. Il carattere troppo intuitivo delle informazioni non può valere per tutti i contesti. Il corpo umano, e le persone, meritano un’altra cura.

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