“Doing business” con la Cina

È davvero incredibile come i proverbi cinesi siano spesso più eloquenti di mille parole. È anche a questo proposito ce n’è uno che viene in soccorso: “Superato questo villaggio, non ci saranno altri alloggi” (过了这个村,就没这个店). Ecco. Partiamo proprio da qui. Immaginiamo di essere intorno ad un tavolo negoziale ed improvvisamente sentir parlare di “villaggi”, “alloggi”. Chi non […]

È davvero incredibile come i proverbi cinesi siano spesso più eloquenti di mille parole. È anche a questo proposito ce n’è uno che viene in soccorso: Superato questo villaggio, non ci saranno altri alloggi (过了这个村,就没这个店). Ecco. Partiamo proprio da qui. Immaginiamo di essere intorno ad un tavolo negoziale ed improvvisamente sentir parlare di “villaggi”, “alloggi”. Chi non resterebbe colpito e confuso?

In realtà quel proverbio non è altro che l’alter ego cinese del nostro carpe diem, che in un contesto negoziale andrebbe letto decisamente più come un allarmante aut-aut lanciato dal nostro potenziale partner d’affari il quale ci sta diplomaticamente facendo notare che rifiutando questa chance, in futuro non ce saranno altre”.  Il promettente mercato cinese da decenni attrae investitori da tutto il mondo e questa ormai è storia. Tutti ne parlano, tutti lo sognano e nonostante questo si continua ad ignorare l’importanza della cultura cinese, inciampando in errori o luoghi comuni, che non aiutano i rapporti commerciali. Per chi non si sia ancora avvicinato a questa realtà (ma anche per chi è già all’opera) le trattative con la controparte asiatica possono in effetti risultare un’esperienza devastante e frustrante, ricca di colpi di scena e delusioni.

Cosa dire, allora? Cosa fare, cosa evitare, cosa aspettarci dall’altra parte? Davvero i millenari precetti di Sun Tsu nell’Arte della Guerra, un classico fra i classici ancora studiato nelle scuole, possono aiutarci ad affrontare più serenamente la Cina? Partiamo anzitutto dicendo che la distanza culturale è senz’altro enorme. Considerazione che non può però essere richiamata come scusante od esimente. Diciamo anche, infatti, che l’investitore straniero (ospite in casa degli altri) è tendenzialmente poco incline a spogliarsi dei propri abiti. Piuttosto compra un biglietto A/R per la Cina con l’aspettativa, spesso disattesa, di tornare a casa con un contratto siglato nella ventiquattrore, dopo un freddo scambio di numerose mail con l’altra parte.

Se questa logica funziona in occidente, non è altrettanto vero per il mondo cinese. Il problema nasce principalmente dalla concezione spazio-temporale che orientali ed occidentali hanno in modo diametralmente opposto. Così, se nei piani strategici di un investitore occidentale esiste un punto di inizio e un punto d’arrivo (immaginiamo una retta che parte e termina in due punti distinti), per la parte cinese non esistono punti di riferimento nel tempo. Il tempo è circolare, tutto scorre, tutto può ripetersi ed essere messo in discussione. Sempre. Mai considerare concluso un passaggio, finché non si realizza.

Chi è prudente ed aspetta con pazienza colui che non lo è, sarà vittorioso” [Sun Tsu].

Accanto a questo va ricordato anche il collettivismo cinese contro l’individualismo occidentale anche negli affari. Per la cultura cinese un individuo non esiste se non esiste l’altra parte, là dove l’insieme è anche la trincea dell’individuo inteso come singolo. La parola chiave (ma non ce n’è solo una)  è allora guanxi (le relazioni, il network), è mianzi (la faccia), è hanxu (l’impassibilità, il contenimento comportamentale e gestuale).

Prima ancora di prestare attenzione alle più efficaci clausole contrattuali, la parte cinese si preoccupa del rapporto alla base di quelli che potranno essere i risvolti commerciali con la controparte. Di creare un affiatamento con quello che potrebbe diventare il proprio partner d’affari. Il condizionale è d’obbligo perché si tratta di step delicatissimi in cui spesso si fanno errori imperdonabili, come rovinare la faccia.

Ed eccoci allora al significato intrinseco dell’altro ‘strano’ termine: mianzi, appunto la faccia, la reputazione pubblica, la credibilità.

“Le persone hanno paura di perdere la faccia, come l’albero teme di perdere la corteccia” (人怕丢脸,树怕剥皮).

Perdere la faccia (o far perdere la faccia) è una questione molto seria. Significa screditare l’altra parte, metterla in una situazione di imbarazzo profondo. Mai contraddire, allora, la parte cinese seduti intorno ad un tavolo negoziale. Mai far notare all’altra parte un errore palese di fronte ad una moltitudine di persone. Le nostre abilità diplomatiche, durante un confronto verbale possono rivelarsi, senza dubbio un grande aiuto ed in questo modo non faremo altro che contribuire all’edificazione del rapporto con il nostro partner d’affari. Attenzione anche a non perdere la faccia noi stessi però, perché far perdere la faccia all’altro ci trascinerà inevitabilmente nel baratro.

Piuttosto è consigliabile sfoderare le proprie capacità nell’hanxu che, attenzione, non è una nuova disciplina marziale ma l’arte -difficilissima- di restare impassibili di fronte alle possibili provocazioni della controparte o semplicemente di fronte a situazioni che normalmente generano tensione e conflitto.

Fingiti stupido ma resta equilibrato” (假痴不癫).

Insomma fare affari con la Cina non è affatto semplice perché prima ancora degli studi di mercato, dell’apertura di uffici di rappresentanza o della costituzione di società implica qualcosa di molto più serio, difficile e -per certi versi- nobile e cioè la capacità di mettere da parte la propria cultura per far spazio ad un’etiquette d’affari completamente nuova. La strada è decisamente in salita e solo chi è disposto a sacrificarsi potrà scoprire che conquistare la fiducia del proprio partner d’affari cinese e costruire con lui un business può rivelarsi il successo più grande.

CONDIVIDI

Leggi anche

Per i veleni di Napoli l’antidoto è a Nisida

Ragazzi giovani e giovanissimi, alcuni precocemente genitori, che interpretano la violenza come mezzo di espressione, realizzazione, progressione sociale, status, spesso con una disarmante insensibilità verso le vittime. Degrado sociale e familiare, associazionismo criminale, abbandono scolastico e mancanza di sbocchi lavorativi: sono i mattoni del muro virtuale che divide l’area metropolitana di Napoli in tante tessere […]