Due pesi e una misura

Uno degli aspetti più discussi in ambito industriale è relativo ancora oggi alla localizzazione della produzione e alla sua competitività. Ma, come vedremo, non sempre le dimensioni aziendali sono garanzia di scelte e strategie vincenti sul lungo periodo. Dall’inizio degli anni 2000, la corsa alla delocalizzazione della produzione era favorita dalla ricerca della riduzione dei costi, […]

Uno degli aspetti più discussi in ambito industriale è relativo ancora oggi alla localizzazione della produzione e alla sua competitività. Ma, come vedremo, non sempre le dimensioni aziendali sono garanzia di scelte e strategie vincenti sul lungo periodo. Dall’inizio degli anni 2000, la corsa alla delocalizzazione della produzione era favorita dalla ricerca della riduzione dei costi, ma anche da una sorta di moda. In seguito si è capito che la produzione nelle aree con una potenziale evoluzione garantiva un presidio diretto sui mercati. Da qui la forte espansione di marchi italiani in Cina, denominata la “Fabbrica del Mondo”, oltre che nel Far e Middle East.

Negli ultimi anni, abbiamo assistito alla nascita di fenomeni diversi. Importanti gruppi di investimento extra UE hanno fatto spesa nel mercato europeo acquisendo brand proprietari di competenze tecniche uniche. Più recente è invece la controtendenza al rientro della produzione in Europa da parte di imprese italiane.

La delocalizzazione è un’opportunità, non una garanzia per tutti

Il modello d’azienda italiano, che ha esportato la produzione e le competenze all’estero, è quello dei grandi gruppi manifatturieri forti di maggiori competenze internazionali, un potenziale economico, una visibilità maggiore spendibile con i governi locali.

Discorso diverso per le PMI, poco strutturate e non abituate a delocalizzare; per questo, meno presenti oltre confine. Le loro esperienze sono limitate ai progetti promossi dalle associazioni di categoria, alla ricerca di nuove aree di business e opportunità di riduzione dei costi. La mancanza di una regia aggregante ha prodotto spesso una competizione interna, risultati mediocri e spese importanti. Per questa fascia, risulta più vantaggioso l’acquisto dei componenti prodotti nei mercati a basso costo, mantenendo il presidio del prodotto in Italia.

I grandi gruppi sono invece più abili nelle trattative commerciali ma meno padroni dei processi, che delegano con rischi concreti di standard qualitativi non certi. Le piccole imprese innovano senza una rete di vendita e di marketing adeguate, riducendo la loro competitività ad un perimetro più limitato.

I grandi errori dei grandi gruppi

I colossi, con un potere di investimento importante, non sono esenti da errori e i più frequenti sono la scarsa conoscenza della cultura locale e l’errata valutazione dei costi. Non basta considerare solo gli oneri d’acquisto, perché dietro ad una delocalizzazione ci sono una serie di costi sommersi che erodono la marginalità. Questi sono dati più difficili da considerare poiché variabili. Anche le strutture più articolate e abili nel controllo di gestione si accorgono di questi aspetti in ritardo. Grande non significa perfetto.

A volte ritornano.

Perché le imprese decidono di rientrare? Era una moda, c’era un business per tutti, ora le cose stanno cambiando.

Se l’America, prima nella classifica del reshoring, festeggia il suo Reshoring Initiative, l’Italia la segue a ruota in seconda posizione. Resta una differenza sostanziale tra i due stati; il governo USA favorisce il rimpatrio delle imprese con una politica premiante e ne osteggia l’uscita. L’Italia vive di singole decisioni di rientro (in aumento) per diversi motivi: salvaguardia della qualità, effetto “made in” e la crescita dei costi di acquisto.

Il nostro sistema, assente a livello centrale, è attivo con iniziative locali. Regioni come Veneto, Emilia Romagna e Lombardia sono le più attente e attive insieme ai distretti, dando vita a progetti di attrattività interessanti, coinvolgendo il mondo imprenditoriale, Università, Enti locali.

Abbiamo riscontro del fenomeno dalle ricerche Uni-Club MoRe Reshoring, fonte di riferimento in Italia: un progetto inter-universitario costituto dalle Università dell’Aquila, Bologna, Catania, Modena-Reggio Emilia, Udine.

I settori principali di questo back to home, una inversione di tendenza delle direttrici geografiche della produzione, sono il fashion, l’elettronica, la meccanica.

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Alla luce delle tante esperienze, ci sono casi di eccellenza che andrebbero studiati, come Argo Tractors che ha riallocato in Italia, da stabilimenti all’estero, alcuni prodotti strategici con assunzione di nuove persone. Riporto una considerazione interessante del loro Direttore Marketing, Antonio Salvaterra: ” L’offshoring è una opportunità, il reshoring è strategia”.

Bosch Rextroth è stata capace di guadagnarsi un importante investimento tecnologico in Emilia grazie ad un progetto di miglioramento industriale. Anche la nota azienda Beghelli o Wayel, produttrice di biciclette elettriche, hanno investito nuovamente in Italia scommettendo sulla filiera. Sono solo alcuni degli esempi di percorsi virtuosi che vanno costruiti e che non nascono da visioni.

Una rete della supply chain efficace sa gestire le complessità e la globalizzazione valutando i flussi. Questo avviene in molti distretti produttivi, dove le aziende più strutturate promuovono reti di fornitura capaci di crescere insieme in qualità, tecnologia, volumi, creando cioè sinergie vincenti.

Alcune decisioni poco lungimiranti di delocalizzazione hanno portato alla perdita di competenze. Le conoscenze tecniche ben salde nelle piccole imprese hanno resistito e possono diventare di nuovo protagoniste, dopo un lungo periodo di recessione.

Solo andando oltre il rapporto di fornitura e un equilibrio instabile, quando gli unici driver sono prezzo e la qualità, si possono creare delle partnership più efficaci, dove le buone idee valorizzano entrambi. Le PMI hanno una sfida importante, quella di riguadagnare una posizione strategica a supporto dei grandi brand.

L’Italia nel 2016 ha registrato 67 brevetti per milione di abitanti. Questo valore non corrisponde al numero di idee e progetti che vengono realizzate ogni giorno, spesso queste idee nascono in piccoli contesti che non hanno le risorse per finalizzare un brevetto. Non sono pochi i casi in cui un’idea nata in Italia viene poi blindata da un brevetto all’estero.

L’innovazione non nasce solo nelle startup ma soprattutto nelle sinergie di rete tra grandi e piccole imprese.

Industry 4.0: cambierà l’equilibrio?

Assisteremo ad una graduale inversione di tendenza, che riporterà business e produzioni di media e alta gamma nei paesi che investiranno in risorse e tecnologia, lasciando le produzioni nei low cost country per la vendita nei mercati locali.

Produrre in piccole quantità oggetti di elevata qualità a costi contenuti e solo quando serviranno: questa sarà la leva economica che riporterà in Italia e in Europa molti prodotti delocalizzati.

Non basteranno i buoni propositi. Servirà un programma di crescita condiviso, un rischio d’impresa da affrontare in due, un investimento ragionato su persone e tecnologie.

 

 (Photo credits: unsplash.com/Cyril Saulnier)

 

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