Editoriale 21. L’altra Diversity

Li chiamano soffiatori. Lavorano disegnando il vetro con la bocca, respirano polveri e miscele potenzialmente cancerogene, si espongono ai rischi delle alte temperature e per questo vengono compresi nella categoria dei mestieri usuranti a cui l’Inps riconosce il diritto di pensionamento con cinque anni di anticipo secondo le regole previste dal 1 gennaio scorso. Li […]

Li chiamano soffiatori. Lavorano disegnando il vetro con la bocca, respirano polveri e miscele potenzialmente cancerogene, si espongono ai rischi delle alte temperature e per questo vengono compresi nella categoria dei mestieri usuranti a cui l’Inps riconosce il diritto di pensionamento con cinque anni di anticipo secondo le regole previste dal 1 gennaio scorso.

Li chiamano soffiatori. Denunciano corruzione o illeciti a carico dei propri colleghi di lavoro o dirigenti nel settore pubblico e privato: la proposta di legge italiana sul whistleblowing ha ottenuto il via libera dalla Camera pochi giorni fa e ora passa al Senato. Nessun premio per loro, come è giusto che sia, ma garanzie di tutela a tutto tondo per evitare conseguenze e ritorsioni sulla posizione lavorativa e per scongiurare un dossieraggio denigratorio immotivato.

Le differenze sono ovunque se guardiamo dalla parte giusta, eppure ci sembra tutto uguale e tutto a posto finché non ci riguarda. Per inerzia ci fa più comodo soffermarci sui divari macroscopici, abusati e sbandierati, e non ci pesa manifestare per loro un tanto al kilo. Non siamo abituati a soffermarci invece sugli scarti più sottili finché non sono loro a fermarci.

Senza Filtro ha scelto di raccontare un’altra Diversity, quella che ancor più in silenzio fiacca il lavoro e lo costringe a flebo di ipocrisia mediatica e politica. Ci siamo avvicinati il più possibile ad alcuni luoghi comuni per misurarne la statura. Non è vero che gli stranieri rubano il lavoro agli italiani, non è vero che le donne si ispirano soltanto all’equazione che mette in rima parità e maternità, non è vero che i nuovi contratti a tutele crescenti sono così equi con le promesse che fanno, non è vero che gli assenteisti hanno la stessa forza mediatica da nord a sud, non è vero che dipendenti pubblici e privati si rinfacciano solo stipendi e posti fissi, non è vero che la pubblicità è sempre l’anima ingrata del commercio.

È vero invece che le aziende italiane sono ancora al soundcheck della diversity e non sono pronte per pronunciarla in pubblico sul palco: lo conferma il fatto che non siamo riusciti a pubblicare in questo numero nemmeno un contributo dai grandi nomi contattati per farci raccontare a che punto sono le loro politiche di welfare, loro che a parole alzano spesso la bandiera di chi non discrimina mai e nessuno. Ci hanno risposto che non potevano ancora esporsi, che il tema è delicato, che i tempi non sono maturi. Altre aziende non ci hanno proprio risposto.
La diversity è un valore fortemente relativo, suscettibile al tempo storico e spesso molto permaloso.

Mi chiedo se a volte non contribuiamo anche noi a farci discriminare nei modi più svariati, accettando compromessi che a turno fanno comodo a tutti e male ai più. Noi italiani pecchiamo di una grande debolezza che è poi l’ossatura di un Paese intero: davanti al pubblico e al privato diventiamo dislessici e distonici, li leggiamo male e ci muoviamo peggio.

Anche il fare i furbi al lavoro è una diversity, che tra l’altro pesa sul sistema con costi immani, ma ce ne preoccupiamo quanto basta per non farcene coinvolgere. Ognuno per sé, io per tutti. Basta guardare con quanta normalità i colleghi sanremesi del dipendente multibadge aspettano il proprio turno per timbrare senza che nessuno fiati. Il danno pubblico non è mai danno privato ma poi pretendiamo che il danno privato vesta la corona del danno pubblico. Nemmeno i meriti vengono premiati a dovere in Italia e ditemi voi se non è diversity anche questa.

La stampa estera offre spaccati ancora più pericolosi di quanto si possa essere complici dei sistemi che ci rendono difformi. In un paese del distretto sudafricano di Uthukela, molto più civile ed evoluto di quanto l’immaginario medio possa credere, il Sindaco ha premiato ancora una volta quelle studentesse che volontariamente hanno risposto all’appello di rimanere vergini per avere in cambio una borsa di studio. Ben 16 ragazze si sono impegnate a documentare la propria verginità fino alla laurea, sottoponendosi a test e visite ritenuti sessisti ed invasivi dalle Commissioni locali per l’uguaglianza di genere. Se continuiamo a barattare in questo modo le differenze e i diritti, finiremo per essere davvero tutti uguali.

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