Editoriale 41. Con parole tue

Siamo abituati a vedere direttori d’orchestra dirigere con la bacchetta e quando usano le sole mani ci chiediamo perché. Nel 2012 il New York Times si è tolto il gusto di fare un esperimento per analizzare con uno scanner speciale cosa comunicassero, in profondità, i direttori più famosi al mondo quando se ne stanno sul […]

Siamo abituati a vedere direttori d’orchestra dirigere con la bacchetta e quando usano le sole mani ci chiediamo perché.

Nel 2012 il New York Times si è tolto il gusto di fare un esperimento per analizzare con uno scanner speciale cosa comunicassero, in profondità, i direttori più famosi al mondo quando se ne stanno sul podio a fare il proprio mestiere. Scelsero Alan Gilbert, ancora oggi alla guida della New York Philarmonic, per tracciare in digitale la traiettoria dei gesti e tentare l’affondo della comprensione su cosa si dicano davvero i musicisti e il pubblico durante un concerto sinfonico. “There is a connection between the gesture, the physical presence, the aura that a conductor can project and what the musicians produce”, queste le sue parole di commento.

Un messaggio all’apparenza semplice ma che contiene invece non pochi rimandi, pur tra le righe, validi per ogni mestiere: il linguaggio come coerenza, come contatto, come personalità.

Coerenza. Ci sbagliamo ogni volta che mandiamo avanti le parole al posto nostro pensando che possano bastare. Non possiamo starcene fermi a guardarle mentre parlano per noi. Lavorare è anch’esso un linguaggio e poco conta quale sia la parte di noi su cui abbiamo scelto di investire per farlo: per alcuni le mani, per altri i piedi, per molti la voce. Imparare a modulare noi stessi mentre lavoriamo può rivelarsi sovversivo, piacevolmente contestatario del nostro solito modo di agire. Il politicamente corretto, che tanto appiattisce quando trafuga l’onestà in cambio della buona forma, ha qualcosa di buono se almeno lo usiamo come rispetto verso noi stessi. Dire è di per se’ una forma di relazione. Yiannis Boutaris è Sindaco di Salonicco dal 2011; controcorrente rispetto alla politica europea troppo fiacca, ogni volta che parla cerca il contatto con la realtà e propone soluzioni, non pareri. Ogni volta che parla c’è da stare certi che sta per agire o che l’ha già fatto. Nelle interviste che gli dedicano non perde mai l’occasione per ribadire che profughi e immigrati non fanno differenza, che basta trovare un accordo tra sindaci e accoglierli, che bisognerebbe integrare intanto i bambini nelle scuole e gli adulti nelle attività stagionali. “Un sindaco non deve pensare a un partito ma a fare il suo lavoro”, che altro aggiungere a tanta saggezza?

Contatto. Francesco Sabatini, Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, pochi giorni fa ha rilasciato al Corriere della Sera un’intervista disarmante per chi ancora si lamenta del solito congiuntivo messo male e non bada invece a questioni di sostanza. Ha invitato gli italiani a rilassarsi e ad essere meno schizzinosi, almeno nelle situazioni informali, perché la lingua è una materia che si muove e muovendosi risente dei costumi che cambiano e del verbale che semplifica. Insomma all’Italia non serve inutile aristocrazia ma buona conoscenza, io almeno l’ho letta così. Possiamo esprimere onestamente ciò che sappiamo solo se ne abbiamo sviluppato padronanza in relazione col contesto, tutto il resto è finzione. Padronanza di una conoscenza che diventa poi il nostro linguaggio, questo conta. Farci comprendere dalle persone con cui ci mettiamo in contatto, questo conta anche di più.

Personalità. Ci sono convenzioni che vengono presentate come impossibili da derogare e non adatte al ruolo se trasgredite. Andatelo a dire allo scozzese Donald Runnicles, direttore musicale della Deutsche Oper Berlin, che da mancino ha sdoganato la regola universale del tenere la bacchetta con la mano destra. E’ la destra che detta i tempi nella musica, è la destra a cui guarda da sempre l’orchestra, è la destra che insegnano ad usare nei conservatori anche se la natura ti ha indicato un’altra strada. Ma Runnicles ha scelto di parlare la sua lingua per affermare la sua di identità, diversamente non sarebbe stato lui. Basta guardarlo, bacchetta rigorosamente a sinistra, mentre dirige il maestrale Requiem di Brahms davanti ai Berliner Philarmoniker e al coro dell’Atlanta Symphony Orchestra – per non restare indifferenti alla forza con cui ha scelto di esprimersi nel suo lavoro.

Dovremmo farlo tutti più spesso: “dire” sempre chi siamo con parole nostre.

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