Editoriale 54. I Padri

Giù le mani dai padri. Per starsene lontani dal tifo da stadio sulle fazioni di genere, basterebbe tenere a mente che la clessidra ogni tanto si rovescia. Uomini di qua e donne di là, ma poi? Qui azzeriamo i sessi, e pure i figli, perché la questione è un’altra e il campo di discussione è […]

Giù le mani dai padri.

Per starsene lontani dal tifo da stadio sulle fazioni di genere, basterebbe tenere a mente che la clessidra ogni tanto si rovescia. Uomini di qua e donne di là, ma poi?

Qui azzeriamo i sessi, e pure i figli, perché la questione è un’altra e il campo di discussione è il lavoro: i padri, da che mondo è mondo, dovrebbero “fare strada”, che è un verbo decisamente più risolto di “ispirare”.

Fare strada è andare avanti per primi, senza luce, tastare il buio con le mani, dare il via libera agli altri. Su alcuni temi abbiamo pensieri stretti e, con l’aggravante italiana del ragionare per categorie di possesso, dietro la parola padre vediamo sempre correre suo figlio: eppure si può essere padri in tanti modi e la specie si tramanda anche grazie a buone idee che invertono una rotta. Innegabile che si progredisca per trasformazioni, modelli, sistemi e pensieri.

Il lavoro non è una famiglia e un padre del lavoro non sta lì per dispensare abbracci; piuttosto mette a segno le parole giuste che spartiscono un prima e un dopo.

I padri sgombrano il campo, intanto. Lo sgombrano dagli intralci, rimettono a posto la segnaletica, controllano che si possa procedere, aggiungono il tassello che fa andare oltre: non sono azioni meccaniche né inutili, sono il terreno che prende forma per un futuro che non si vede ancora. Sono i rivoluzionari senza guerra che si disegnano un punto alle spalle e aprono virgolette nuove. Ogni fetta di mondo ha i suoi, ce li ha la scienza, la medicina, la musica, la tecnologia, la letteratura; tutte hanno un padre che una mattina si è alzato e ha detto: “da oggi cambiamo gioco, venite con me se vi va”. Non dice seguimi, dice vieni con me se ti va.

Alcuni padri corrono più di altri, sono in competizione costante col tempo e cercano di ribattere alla sua ineluttabilità con la tecnologia impudente. La loro corsa però ha un senso solo a patto che non facciano sgambetti alla società per arrivare primi.

Altri vanno più lenti ma sanno bene dove andare, sono i padri fondatori e a volte non li conosciamo nemmeno bene perché sono stati schiacciati da pesi più grandi di loro. Anche l’Europa è nata dagli Spinelli, Adenauer, Churchill e Monnet eppure Joseph Bech è stato il politico lussemburghese che come loro, se non di più, ha contribuito alla costituzione della CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio e, da lì in avanti, si è mosso come uno dei principali architetti dell’integrazione. Prima ancora che diventasse CEE e poi UE, proprio dentro quell’intercapedine, Bech aveva capito quanto potesse essere impotente uno Stato piccolo come il suo, isolato com’era tra due vicini di casa potenti e talvolta arroganti. Potenziò il suo pensiero facendolo in grande: soltanto l’internazionalismo e la cooperazione tra Stati avrebbe portare a una stabilità comune. Cercano di salvare la pelle, i padri fondatori, perché sentono il peso del futuro e hanno l’istinto del sopravvivere a se stessi.

I padri custodiscono, che non vuol dire tramandare. Chi vive la propria azienda come fosse un figlio farà esattamente ciò da cui ogni padre di famiglia insicuro è tentato: privilegiare l’interno all’esterno, alimentare il segreto, generare il non detto. Nelle aziende è tutto così palese quando si confonde l’eredità con la genetica e il patrimonio col carattere.

I padri dicono le cose come stanno e lo dicono a tutti, piccoli e grandi. Conta ciò che fa, un padre, e non ciò che è; può persino non avere un sesso purché abbia un’identità.

I padri non copiano. I padri calcolano. I padri dovrebbero saper tifare.

I padri ti iniziano a qualcosa anche se oggi le aziende italiane fanno di tutto per finirci.

Tutto cerca adattamento, persino il complesso di Edipo se lo trasliamo nelle dinamiche da lavoro. Freud ci mise il marchio sul rifiuto incosciente del bambino verso il genitore del proprio sesso e sulla proiezione attrattiva verso quello di sesso opposto.

Capiamoci bene. La fase edipica è naturale e fisiologica, è la strettoia da imboccare per iniziare a crearci una personalità ma se i genitori si fanno vincere dal senso di colpa è la fine per tutti. E’ solo con l’autorità del padre che si sviluppano i freni ai desideri della figlia e che prende forma un modello di relazione oggettivo, senza sfasature. Sta al padre filtrare alla figlia in confusione tutta la sua stima per la madre che, a sua volta, dovrebbe tenere duro e resistere senza minimamente scomporsi davanti all’aggressività dell’infanzia. I padri, alle prese con Edipo, sono chiamati a spostare l’attenzione per tutelare un sistema. È chiaro che si sta parlando di competizione, che da adulti prende altre sfumature. Le aziende sono piene di Sofocle e di Giocasta, così come di figli allo sbando che mirano dove non dovrebbero nemmeno guardare: tutti inconsapevoli eppure tutti molto attenti. E’ quando si impara a metter la teoria in pratica che la visione delle cose sfuma e si trasforma. Da vittime al lavoro ci si ritrova improvvisamente complici e responsabili, quantomeno a metà. Che i padri vigilino, allora. Il discorso vale anche per il complesso di Elettra, nemmeno a dirlo, sempre per via della solita clessidra che gira.

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