Fiducia e valori sono i nuovi punti di riferimento della pubblicità?

“Parla come mangi. Alla tua bella immagine non credo. Non mi basta. Perché dovrei sceglierti? Voglio capire chi sei. Parla chiaro. Osa e sii sincero. Dimmi qualcosa di te. Fammi capire come sei. Perché dovrei sceglierti? Ho avuto già troppe fregature. Dimmi qualcosa di te che hai e che vorresti non avere. Qualcosa che hai […]

“Parla come mangi. Alla tua bella immagine non credo. Non mi basta. Perché dovrei sceglierti? Voglio capire chi sei. Parla chiaro. Osa e sii sincero. Dimmi qualcosa di te. Fammi capire come sei. Perché dovrei sceglierti? Ho avuto già troppe fregature. Dimmi qualcosa di te che hai e che vorresti non avere. Qualcosa che hai in più degli altri. In tanti si propongono sai? Anche simili a te. Non ti scelgo se non capisco chi sei. Ne ho abbastanza di promesse, illusioni e belle parole. Voglio sapere chi sei o qui non andiamo avanti. Sono pronto a spendere per averti. Dimmi chi sei o non ti sceglierò.”

La confezione, l’immagine e la presentazione spesso creano aspettative che il prodotto rappresentato non rispetta. L’abito non fa il monaco. Non più. L’ha fatto in passato. Ricordo prodotti che non tradivano le promesse. Poi piano piano alcune fregature si sono sommate nel tempo ed io, a dire il vero, non ne posso più di accorgermi troppo tardi di avere sbagliato l’acquisto. L’intenzionale presentazione abbagliante di un prodotto che appare bello quanto un miraggio e che nella realtà poi si dimostra essere ben altro (in peggio), mi porta a sbagliare l’acquisto.

Se poi invece di un prodotto parliamo di servizi, ad esempio di una compagnia telefonica che dovrebbe prendere le mie parole, i miei dati, le miei immagini, i video, il mio privato e il professionale, tutto insomma di me per “teletrasportarli”, perché dovrei fidarmi di lei? Perché dovrei scegliere un operatore telefonico piuttosto di un altro? Per offerte, minuti ed sms?

A mio avviso no, non solo per questo. Mi devo fidare di ciò che fa.

Sono stato protagonista di un breve film dal titolo “Papà,” progettato e gestito da una squadra capitanata da Paolo Iabichino dell’agenzia pubblicitaria Ogilvy & Mather Italia.

In questo film la compagnia telefonica si mostra, spiazzando tutti, pronta a farsi da parte al momento opportuno, a togliersi di mezzo privilegiando essa stessa l’abbraccio reale a quello virtuale. Nobile intento. Sorprendente. Il valore affettivo sta prima di tutto. Stupefacente. Necessario.

Mi sono bastati pochi minuti in una stanza con un riflettore bianco e caldissimo ed una telecamera puntati addosso. Dovevo, in quella stanza, immaginare che una persona a me cara si stava mostrando ai miei occhi, una persona che non vedevo da molto molto tempo, mio padre. Mi ci sono impegnato e me ne sono andato.

Dopo quel provino sono stato richiamato e così tutto è partito. Dovevo girare uno spot per una compagnia telefonica che ancora non sapevo quale fosse. C’era un gran segreto intorno. Ero appena atterrato in Sicilia per le vacanze, quando mi hanno richiamato. Vacanze rimandate. Mi sono accorto soltanto più in là che non stavo solo partendo per un lavoro, ma stavo lasciando una vecchia consapevolezza per raggiungerne una nuova. Questo spot mi ha aperto gli occhi su un mondo che ci circonda e che ci segue rimanendo, per assurdo, a noi distante: l’advertising.

Questo spot ha spostato i miei riferimenti, li ha rimescolati. Ha spostato il mio punto di vista. Ho nuovi riferimenti oggi e una nuova visione d’insieme. Ho studiato marketing all’università più di dieci anni fa e poi l’ho sviluppato per me stesso nel mio lavoro osservando i più grandi. Ho sempre visto tutta questa pubblicità intorno, l’ho sempre sentita, l’ho percepita sempre presente e cercavo di capirla. La sentivo costante, invadente e spesso non mi dava piacere.

Passi da gigante ha fatto il marketing.

Non ho la sensazione che l’umanità abbia fatto gli stessi passi, di certo non li ha fatti con la stessa rapidità. L’attitudine alla pubblicità è un talento, è un movimento sapiente, è una comunicazione che travalica le piattaforme, i canali, le modalità. Non ha limiti se non quelli dettati dalla legge e dall’etica. La pubblicità può essere molto utile o molto subdola. E’ una invenzione della mente umana, può dar vita a regimi dittatoriali, ma anche visibilità a uomini di pace. Non posso non citare il geniale spot  “Che mondo sarebbe…” del 2004 della compagnia telefonica TIM, realizzato dall’agenzia di pubblicità Young e Rubicam Italia, sotto la direzione di Marco Lombardi, dove Gandhi tiene il suo discorso in diretta mondiale attraverso il web. Esplicativo, travolgente, utilissimo. Da brividi.

La pubblicità è fatta dagli uomini per gli uomini. Qualcosa però non torna. Si è forse evoluta lasciando l’umanità là ferma a guardare? Ha forse perso di vista l’essere umano? “Warning! Humans” dice Nicola Palmarini e credo abbia ragione.

Bisogna fare attenzione lavorando nella comunicazione, perché si ha a che fare con esseri umani e con la loro sensibilità.

L’advertising è il mondo della comunicazione ed è una continua innovazione con un solido punto comune che resta fisso: la condivisione. Il vecchio passaparola oggi è un “passaimmagini”, un “passavideo”, un “passamessaggio”,  é un passaggio continuo e inarrestabile di informazioni. La condivisione è il combustibile necessario per arrivare all’obbiettivo finale.

L’advertising è una spinta alla condivisione. Ogni giorno, sottoposti a centinaia, migliaia di stimoli deviamo i nostri spostamenti, le nostre scelte e si risvegliano in noi bisogni nuovi mai percepiti fino a quel momento. E’ tutto così affascinante da far un po’ paura, visto che tutto questo si ripete continuo e constante. Ubriachi d’immagini, suoni, slogan, parole, gesti e video, cambiamo. Muscoli e cervello sono sempre quelli, ma noi cambiamo. Mentre si spostano le nostre attenzioni, piano piano anche noi ci spostiamo.

I punti di riferimento ci muovono, ci rigenerano, ci cambiano. Solo la stella polare non si sposta. Comunque se penso a ciò che pensavo e ci ripenso, non la penso più come lo pensavo. Ma tu pensa!

Non sarebbe bello se un giorno una marca di orologi arrivasse a pubblicizzare il suo prodotto suggerendo di chiuderlo nel cassetto per un po’, per non dover sempre dipendere dal tempo e potersi godere un pizzico di libertà? Non sarebbe anche bello se una compagnia di viaggi arrivasse a dire che il miglior viaggio è quello interiore e suggerisse quindi di viaggiare alla scoperta di noi stessi prima di partire?

A volte per comunicare davvero la tecnologia non è tutto, per comunicare davvero con qualcuno devi stare occhi negli occhi, non c’è smiley o videocall che tenga, devi spegnere il telefonino, chiudere il computer e connetterti con tutto il resto.

Tu e la tua vita.

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