Fingendo di sapere ho finito per imparare

L’articolo è ultimato, finalmente posso pubblicarlo. È l’una di notte di sabato sera, il momento meno indicato per pubblicare su qualsiasi piattaforma social se si ambisce a un certo engagement, ma è il momento migliore per me che pubblico un mio articolo per la prima volta: se qualcosa non dovesse andare bene potrò cancellarlo mentre […]

L’articolo è ultimato, finalmente posso pubblicarlo. È l’una di notte di sabato sera, il momento meno indicato per pubblicare su qualsiasi piattaforma social se si ambisce a un certo engagement, ma è il momento migliore per me che pubblico un mio articolo per la prima volta: se qualcosa non dovesse andare bene potrò cancellarlo mentre tutti dormono, senza che nessuno se ne accorga.

Apro l’editor di LinkedIn, mi sembra semplice e immediato. Ho visto di peggio, mi dico!

Un tuffo nella memoria

Ripenso a ventidue anni prima, quando per la prima volta ho utilizzato un altro editor. La mia prima volta con Microsoft Word.

Un ricordo tutt’altro che piacevole: dal mio terminale VT320, su cui programmavo in Cobol per VMS con schermo nero e semplici scritte verdi senza immagini, ero stata catapultata su un personal computer con mouse e sistema operativo Windows.

Fissavo lo schermo con tutte quelle figurine ostili, le icone. Ne avevo sentito parlare, ma come funzionavano? E quella diavoleria con il filo attaccato, il mouse, che solo a sfiorarlo avevo il terrore di danneggiare qualcosa? Di colpo mi ritrovavo in una finestra diversa e non riuscivo più a tornare indietro.

Dovevo creare Il manuale aziendale delle procedure informatiche. Un incarico semplice, tutto sommato, se non fosse stato per quel maledetto personal computer con il mouse. Assunta da una settimana appena, con la qualifica di programmatrice EDP, non potevo dire che non avevo mai visto prima un personal computer con il mouse; non potevo dire che non avevo mai visto né Windows né le icone, e a malapena avevo sentito parlare della Microsoft; che l’editor più evoluto che avessi mai utilizzato era Wordstar2000 e che a casa avevo un personal computer di seconda mano, con i floppy disk da 5¼  pollici e un sistema operativo MS-DOS, su cui mi esercitavo a programmare in Basic e Cobol.

Così, con disinvoltura, chiesi a un collega veterano dove potessi trovare un programma di videoscrittura su quel pc meraviglioso. Mi guardò come se fossi un’aliena e con due mosse del mouse aprì una videata mai vista:

Signore e signori, vi presento WORD!

Il terrore si impossessò di me. “E ora?”, mi dissi, “ora che si fa? Dove sono i tasti funzione del mio terminale VT, le combinazioni dei tasti Ctrl + per copiare, spostare, eliminare, salvare? Qualcuno mi aiuti!”. Qualcuno. Qualcuno chi? Ora vado dal mio capo ufficio e gli dico chiaramente che io questo Microsoft Word non l’ho mai visto, e se dobbiamo dirla tutta non ho mai visto nemmeno un mouse, e nemmeno Windows, prima di oggi.

E invece non dico nulla. Fisso il video e intanto con la mano destra pian piano comincio a muovere il cursore. Mi ritornano in mente le parole dell’insegnante di COBOL durante i corsi da programmatore: “Ragazzi, i computer non esplodono. Provateci sempre: anche quando non sapete con certezza che cosa fare, non può succedere nulla di irreparabile. Provate!”.

Ci devo provare. Vedo il cursore in alto a sinistra e inizio a digitare. Clicco con il mouse un bottone in alto con il simbolo che ricorda il grassetto e la frase diventa più scura. Fantastico! Ma ora come lo tolgo? Clicco di nuovo sul pulsante e il grassetto si disattiva. Ho capito. Più o meno, ho capito.

Per un paio di giorni non riuscii a orientarmi, a ritrovare il mio file salvato in Word. Al mattino un collega avviava il PC e io chiedevo con aria indifferente se potesse gentilmente aprirmi anche il file del giorno prima. Poi, a forza di captare gli spostamenti del mouse sullo schermo e i movimenti delle dita sulla tastiera, compresi che cosa fare, dove cliccare, quale finestra aprire, fino a quando il terrore di Word svanì.

Un mese dopo ero tra le poche persone in azienda in grado di utilizzare Word, e dopo pochissime settimane anche Excel. Chi ben comincia è a metà dell’opera, quindi? No: non fu un bell’inizio e non fui a metà dell’opera, ma seppur terrorizzata non fuggii. Finsi di sapere, e a forza di fingere imparai da sola.

Ritorno al presente: ancora una prima volta

Mentre scavo nei ricordi, il mio primo articolo su LinkedIn è ultimato e posso condividerlo. Ora basta cliccare su “pubblica” e sarà ufficiale.

È notte fonda, è sabato sera e io sto fissando lo schermo da venti minuti, paralizzata all’idea che gli altri leggano quanto ho scritto. Il pensiero che possano esprimere un giudizio anche senza commentare per iscritto mi terrorizza. Lo stesso scoramento davanti a Word di ventidue anni prima sembra avere il sopravvento. Lo stesso istinto di sopravvivenza, pochi minuti dopo, mi fa premere il pulsante “pubblica”, e l’articolo è online.

Anche questa è fatta.

Oltre 500 milioni di utenti in tutto il mondo potranno leggere il mio articolo. Tra questi, 10 milioni di italiani potranno giudicare la mia competenza o incompetenza in materia di InBound e Web Marketing, ma ormai non ha più importanza: l’ho appena pubblicato. E intanto premo F5 per la decima volta, per vedere se salgono le visualizzazioni. Dopo il panico mi assale lo sconforto. Nessuna visualizzazione in mezz’ora.

Sono le due di notte di un sabato sera di giugno. In effetti solo un insonne può leggere un articolo sulla rivoluzione digitale, e magari condividerlo o commentarlo, a quell’ora. Vado a dormire.

Il giorno dopo il mio primo pensiero va all’articolo. Accendo il pc e controllo le visualizzazioni: con 10 milioni di italiani su LinkedIn io ho totalizzato 37 visualizzazioni.

La verità è che quell’articolo non è mai interessato a nessuno. L’argomento non era per niente originale, e io avevo meno di cento collegamenti su LinkedIn: una perfetta sconosciuta che scrive su qualcosa di cui ha già scritto il mondo intero.

Chi ben comincia, chi mal comincia, chi comincia

Mi volto indietro ancora una volta e ripercorro i miei venticinque anni di lavoro.

I primi anni iniziare in salita era traumatico, poi tutto è diventato parte del gioco, anche la difficoltà. Si sente l’adrenalina e ogni nuovo progetto è una sfida; un passo falso, uno sbaglio, possono aiutare a proseguire con una grinta diversa, con meno certezze ma con più motivazione.

Chi mal comincia può andare avanti e migliorare, può credere in ciò che fa e può scegliere di non voltarsi indietro, prendendo atto dei propri fallimenti con autocritica costruttiva per crescere giorno dopo giorno. Vuol dire che la metà dell’opera verrà in seguito e dopo la metà arriverà l’opera intera.

Uscire dalla propria zona di comfort e iniziare qualcosa di nuovo è già un grande successo. Mettersi in gioco anche dopo anni e accettare nuove sfide, cominciare e ricominciare costantemente, questo fa la differenza: non cominciare bene, ma avere il coraggio di cominciare ancora.

 

Photo by Unsplash

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