Franco Fabbro: “La mindfulness serve al benessere, non al fatturato”

Di mindfulness se ne sente parlare parecchio, ultimamente. Viene definita il nuovo yoga per la mente, la panacea dei malesseri, uno di quei fenomeni che riempiono le aule di pseudoguru e psicocosi che si riempiono la bocca di concetti imparati chissà dove, chissà come, e che spesso, purtroppo, organizzano sessioni formative che portano beneficio solo […]

Di mindfulness se ne sente parlare parecchio, ultimamente. Viene definita il nuovo yoga per la mente, la panacea dei malesseri, uno di quei fenomeni che riempiono le aule di pseudoguru e psicocosi che si riempiono la bocca di concetti imparati chissà dove, chissà come, e che spesso, purtroppo, organizzano sessioni formative che portano beneficio solo al loro portafoglio.

Confesso che, da scettico per natura, mi sono avvicinato a questo fenomeno con tanti dubbi sul reale impatto che può avere sul benessere delle persone. Ho voluto approfondire. Ho letto. Mi sono informato e alla fine mi sono imbattuto in un articolo del Sole 24 Ore che parlava di mindfulness. Il giornalista aveva intervistato un neurologo con un curriculum impressionante. Ho letto ancora. Ero di fronte al primo vero esperto di mindfulness che sapeva di che cosa stava parlando.

Il professor Franco Fabbro ha iniziato nella facoltà di Filosofia, per poi laurearsi in Medicina a Padova nel 1982, e ha conseguito la specializzazione in Neurologia a Verona nel 1986. Dal 1985 al 1991 ha lavorato come ricercatore in neuropsicologia e assistente medico. Dal 1991 al 2001 è stato ricercatore di Fisiologia umana e di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione. Dal 2001 al 2005 è stato professore ordinario di Fisiologia. Dal 2006, invece, è professore ordinario di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università di Udine. La sua ricerca continua ha prodotto decine di lavori, descritti in più di venti libri tradotti in diverse lingue, oltre ad articoli che sono stati pubblicati su riviste di neurologia, psichiatria, linguistica e psicologia.

A questa disciplina vecchia di più 25 secoli si è avvicinato quando studiava Filosofia e non ha mai smesso di studiarla, applicandovi anche tecniche di ricerca neuropsicofisiologiche. Ecco la carriera di una delle poche persone in Italia che possono essere definite esperti di mindfulness.

 

Come si è avvicinato a questa pratica?

Per caso. Da giovane ho fatto un esame di storia delle religioni a Filosofia, era prima che mi iscrivessi a Medicina. Dovevo approfondire una religione e per caso mi è capitato il buddismo zen. Eravamo nel 1975-76 e ho preparato la mia relazione sui testi che avevo letto. Mi sono avvicinato alla meditazione imparando direttamente da Claudio Naranjo, autore di On the psychology meditation (1972), uno dei testi di riferimento sull’argomento. Per qualche anno ho frequentato i suoi corsi e poi ho deciso di sviluppare un metodo tutto italiano, e da lì è partito tutto. È stato come iniziare un viaggio che continua tutt’ora. Negli anni ho scoperto che la mindfulness è germinativa, è come un frattale. C’è e si sviluppa da sola, basta solo coltivarla.

Che cos’è la mindfulness?

È un termine tecnico che si può tradurre in italiano come “consapevolezza”. In realtà la mindfulness è un training che trae origine dal buddismo, ma nelle forme attuali è stata rivisitata sia negli Stati Uniti che in Italia. Si parla quindi di meditazione di consapevolezza. Infatti il termine mindfulness deriva dal sanscrito e significa proprio “consapevolezza”. È stato scoperto e insegnato più di 2500 anni fa da un principe indiano, il Budda. Si racconta che egli si fosse realizzato, o illuminato, e avesse insegnato ai discepoli a raggiungere questo stato di realizzazione attraverso la pratica della consapevolezza, che è il settimo di otto passi che i discepoli dovevano percorrere. La realizzazione arrivava appunto attraverso il samma sati, che significa “praticare in maniera giusta e corretta la consapevolezza”. Alla fine del XX secolo in Occidente, nel dopoguerra, abbiamo assistito a un incontro tra la psicologia, le neuroscienze e le pratiche meditative del samma sati; una commistione che ha mostrato l’importanza sia dell’attenzione volontaria sia della conoscenza fenomenica nella vita quotidiana.

Può spiegarci meglio?

Certamente. L’attenzione volontaria è collegata con la capacità di essere attenti e aperti, non automatizzati, privi di vincoli devianti che vengono dalle fantasie e dal pensiero interiore. Un approccio che, se pensiamo bene, risulta fondamentale per chi frequenta la scuola, ma anche per chi va al lavoro. La conoscenza fenomenica è invece più difficile da spiegare, ma molto più importante. La dimensione culturale umana si divide in ambiti semantici, ovvero ciò che si sa, e in ambiti fenomenici, che racchiudono tutto quello che si esperisce e di cui si fa esperienza. Nel mondo occidentale le persone vivono più nella dimensione del sapere che in quella del conoscere; una dimensione che rende gli individui automatizzati e non presenti a se stessi. Con Il grande discorso sulla presenza mentale il Budda insegna che dobbiamo essere presenti all’esperienza del momento, e questo può essere di notevole aiuto per la gestione della quotidianità lavorativa e per i rapporti che si creano nei team di lavoro. Questo è quello su cui insistiamo durante le nostre sessioni di formazione.

Che cosa si fa e che cosa insegnate durante i percorsi di mindfulness?

Durante gli incontri settimanali ci concentriamo su un concetto. La meditazione dura mezz’ora, divisa in periodi di 10 minuti, durante i quali facciamo attenzione (sati) al respiro che entra (ana) ed esce (pana), e alle sensazioni fisiche che genera (anapanasati). Dopo dieci minuti ci si focalizza su come le emozioni si manifestano a livello corporeo. L’ultima parte, la più complessa, porta a prestare attenzione a quello che accade nella mente (vipassana), ovvero le immagini e le memorie. Al termine della meditazione segue un’ora di discussione su quello che è successo a casa, o su quello che si è provato durante la meditazione. Durante la meditazione le persone si sbagliano e perdono l’attenzione, e la discussione verte proprio sull’errore e sull’atteggiamento verso l’errore. È un percorso pratico e semplice da capire, ma non nego che sia difficile da portare avanti. Le persone non sono abituate a stare ferme e a meditare, ma una volta imparata la tecnica si può esercitare ovunque e in qualunque momento.

Ma questo come può essere utile al mondo del lavoro?

La mindfulness agisce sulla consapevolezza, che è la base della responsabilità. La mindufulness è prima di tutto stare fermi; il movimento che segue è del tutto volontario e consapevole. Non a caso ai nostri corsi partecipano i medici che lavorano negli ospedali, gli insegnanti delle scuole di ogni grado, persone che quando lavorano hanno bisogno di un altissimo livello di consapevolezza. Provi a pensare a un chirurgo che opera: quando lo fa deve essere presente a se stesso e non può distrarsi. Da qualche tempo abbiamo cominciato con i bambini delle scuole primarie e con i ragazzi delle secondarie di secondo livello, con risultati notevoli. Il percorso è particolarmente utile per le persone che lavorano sotto stress, perché la consapevolezza di sé ha un potere limitante sui fattori stressogeni: rende chi medita estremamente cosciente del livello di dolore interiore e fisico generato dallo stress, impattando considerevolmente sulla produttività.

Quali sono invece le distorsioni concettuali e applicative a cui possiamo andare incontro?

So che è stata utilizzata dall’esercito statunitense per far sì che i tiratori scelti possano sparare meglio. Ho sentito anche che è stata introdotta in Google per aumentare le performance dei dipendenti. Questo non ha nulla a che fare con la crescita personale proposta dalla mindfulness. Sicuramente la meditazione può aiutare, ma l’impresa dovrebbe capire se ha a cuore più il fatturato che il benessere dei propri dipendenti. Nel secondo caso praticare la mindfulness porterebbe notevoli vantaggi per il gruppo di lavoro; nel primo le strade da seguire sono altre.

 

Photo by Kevin Bluer on Unsplash

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