Gli scioperi nel cinema di cui non parlano i botteghini

È stata un’estate torrida per il cinema, ma non ne hanno parlato: scioperi e stato di agitazione del personale delle troupe cinematografiche iscritto alle sigle CISL e CIGIL, per nuovi inquadramenti, formazione e adeguamenti salariali. La favolosa macchina dei sogni non c’è più, o ne rimane ben poco. Ci sono i lavoratori, che non passeggiano […]

È stata un’estate torrida per il cinema, ma non ne hanno parlato: scioperi e stato di agitazione del personale delle troupe cinematografiche iscritto alle sigle CISL e CIGIL, per nuovi inquadramenti, formazione e adeguamenti salariali. La favolosa macchina dei sogni non c’è più, o ne rimane ben poco.

Ci sono i lavoratori, che non passeggiano sul red carpet della croisette e non sono invitati alla cerimonia degli Oscar. Sono macchinisti, runner, costumisti, truccatori, comparse. La troupe è costituita da lavoratori, che lavorano. Che tornano a casa stanchi e trovano la cena fredda e le bollette all’ingresso. Per loro dovrebbe invece essere quasi un onore – non retribuito – partecipare alla realizzazione di un’opera d’arte. O di un cinepanettone.

E così è. Ho assistito a una scena per me grottesca e carica di pacata malinconia, alla macchinetta del caffè, in occasione di una colazione offerta da una collega. Aveva vinto l’Oscar per La grande bellezza; in realtà era una figurante in poche scene. Mi hanno colpito gli occhi sognanti nel raccontare le lunghe pause tra un ciak e l’altro, gli attori, il set, le luci. È ormai di questo che si nutre il cinema. E del lavoro di tanti.

Facciamo un parallelismo per ritornare con i piedi per terra. Che differenza passa tra un operaio della ex FIAT e un macchinista dell’industria del cinema, tra un operaio dell’ILVA e un runner? I primi sono contrattualizzati e tutelati; gli altri meno. I primi avranno una pensione, bassa ma dignitosa; gli altri forse.

Claudio fa il macchinista da una vita. “Famiglia numerosa e turni massacranti, e quando sei stanco hai poca testa per goderti i figli. Il lavoro è molto duro, dieci ore compresa la pausa. Ho iniziato facendo il manovale; non sono un caposquadra, perciò vengo contattato dai capisquadra per lavorare, e firmo i contratti a tempo determinato per la durata del film. È difficile conciliare il lavoro con la famiglia e le paghe sono rimaste quelle di vent’anni fa. Se si lavora tutto il mese ci si arriva bene; lavorando due-tre giorni a settimana no. Non sono iscritto a nessun sindacato perché il sindacato non ha molta voce in capitolo. Questa estate come categoria abbiamo scioperato. Purtroppo siamo stati fermi per cercare di ottenere qualcosa. Il futuro del cinema, se non si fa una buona riforma delle leggi, non lo vedo tanto bene; il mio futuro in questo mestiere è incerto. Molte persone sono state costrette a cambiare lavoro”.

 

 

Fabrizio, ex runner, quanto è duro il lavoro dietro al cinema?

Tanto. Non hai orari, devi essere sempre a disposizione. Per l’ultimo film che ho fatto ho percorso 10.000 km in un mese con la macchina. Orari abbastanza duri, o meglio, non hai orari. Nel senso che dipende dalle produzioni. In linea di massima sarebbero le otto ore canoniche, ma poi alla fine devi fare le scene esterne, serve quella luce particolare e quindi capita spesso che lavori più delle ore che dicono loro.

Come hai imparato il mestiere?

Da solo non te lo insegna nessuno, il lavoro lo impari sul campo con molta fatica.

Come trovi le produzioni che assumono?

È un giro chiuso, si tratta di amicizie. Un po’ lecchi, un po’ devi essere bravo tu.

Come si concilia con la vita familiare?

La vita del cinema non si concilia per niente con la vita familiare, infatti ho lasciato e cambiato lavoro. Lavori un mese, stai a casa un mese o un mese e mezzo, oppure stai a casa anche due mesi. Non ce la fai. La paga è molto buona, nel senso che puoi fare anche 700 euro a settimana. A fine mese ci arrivi solo se sei costante, il problema è che spesso stai fermo o perché non trovi o perché sono le produzioni a stare ferme.

Mai pensato a quando andrai in pensione? Che contributi hai versato?

Non ho mai pensato alla pensione, anche perché questo non è un vero lavoro. Col contratto che avevo sicuramente mi hanno versato i contributi e avevo una regolare busta paga. Per i pagamenti sono regolari, ogni due-tre settimane avevo i soldi in banca, ma non mi sono mai interessato di che contributi hanno versato sulla mia posizione. Non sono iscritto a nessun sindacato, anche perché non si è mai visto e non credo che serva nel cinema.

Scusami, ma se non sai neanche quanti contributi ti hanno versato, come fai a dire che non serve il sindacato? E se ti sono stati versati pochi contributi?

Quello è vero, però alla fine mi interessava più il soldo in mano che il resto. Pagavano bene e regolarmente, per me era sufficiente. Non girano più i soldi di una volta, quando venivano le produzioni americane che spendevano; adesso si spende poco o niente. Il 50% dei film vengono fatti perché visti sotto Natale, quindi l’industria del cinema si è molto ridimensionata. Il futuro lo vedo male, infatti ho cambiato lavoro, perché non riuscivo a concepire questo lavoro con la vita e la gestione di una famiglia.

 

 

Il 2019 è l’anno della rottura. Vent’anni di mancato rinnovo del contratto nazionale delle troupe: già questo legittimerebbe gran parte delle richieste dei lavoratori. In nessun settore produttivo si è arrivati a questo punto: perché è avvenuto proprio nel cinema, oggetto di numerose riforme proprio per sostenerne l’industria? Dove finiscono gli aiuti di Stato, se a chi ci lavora non si rinnova nemmeno il contratto? Si tratta della solita lungimiranza e competenza dei nostri politici, che si dimenticano dei lavoratori?

 

Photo credits: Nea Servizi

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