L’innovazione in bocca ai guru

Siamo tra amici, posso tranquillamente fare “coming out”. All’inizio dell’anno sono stato invitato come keynote speaker all’interno della convention annuale di una multinazionale del settore Pharma. L’evento aveva come tematica il cambiamento di scenario e l’innovazione. Nella documentazione dell’evento dedicata ai partecipanti, era indicato: Ivan Ortenzi – Guru dell’innovazione. Mi sono soffermato a pensare con una […]

Siamo tra amici, posso tranquillamente fare “coming out”. All’inizio dell’anno sono stato invitato come keynote speaker all’interno della convention annuale di una multinazionale del settore Pharma. L’evento aveva come tematica il cambiamento di scenario e l’innovazione. Nella documentazione dell’evento dedicata ai partecipanti, era indicato: Ivan Ortenzi – Guru dell’innovazione. Mi sono soffermato a pensare con una sensazione mista di stupore, soddisfazione e agitazione.

In queste situazioni la prima ancora di salvezza è Wikipedia. Alla voce Guru si indica un termine sanscrito (devanāgarī गुरू, Kristian) che, nella religione induista, ha il significato di “maestro” o “precettore spirituale”. “Colui che impartisce lezioni ai discepoli avente diritto al massimo rispetto e alla venerazione al pari del padre, della madre e dell’ospite. Lungi da me suscitare pensieri di riferimento personale, ma questa circostanza mi ha spinto ad approfondire alcuni elementi e fenomeni delle attuali dinamiche dell’ecosistema dell’innovazione e della leadership.

L’ecosistema vive di guru, veri, presunti e sedicenti tali. Se dovessi fare l’elenco delle persone alle quali io riconosco tale caratteristica (ho i miei tre preferiti che vi svelerò al termine di questo articolo), sintetizzando i criteri di selezione, posso individuare tre elementi fondamentali: contenuti di valore da esprimere, autorevolezza dell’esperienza oggettiva e un uditorio o dei discenti interessati a ricevere valore. In sintesi una grossa responsabilità. Mi ha sempre colpito l’episodio del Dalai Lama – il quale si è sempre sottratto alla figura di guru – quando, dovendo rispondere alla domanda di una coppia di genitori che chiedevano consigli sull’educazione dei loro figli, ha risposto “Come faccio a saperlo? Sono solo un monaco anche celibe!”

Ad occhi chiusi ho passato in rassegna persone ed eventi e sono giunto ad una considerazione: le uniche persone per le quali vorrei veramente essere un guru e mettere in fila le tre caratteristiche sopracitate sono i miei figli. Questo grazie anche all’ammirazione che provo per David McCullough autore americano, scrittore, storico e docente, vincitore di due premi Pulitzer e del National Book Award e spesso protagonista di scritti e dichiarazioni mai scontate. Di questo autore consiglio la lettura di “Ragazzi, non siate speciali” (Edizioni Garzanti), un vero “j’accuse” del famoso discorso di Steve Jobs “Stay hungry, stay foolish”: citazione mutuata da “The whole Earth catalog” di Steward Brand, universalmente conosciuta e diffusa da Steve Jobs nel suo Commencement speech (discorso di congedo ai neo laureati) a Stanford. Ancora ad oggi, resta uno dei massimi esempi di “Guru lectio magistralis” benché a leggere bene i contenuti del discorso, insieme ad alcuni passi molto interessanti, sono presenti concetti a dir poco semplicistici e molto adulatori: «Dovete credere in qualcosa: il vostro ombelico, il vostro karma, la vostra vita, il vostro destino, chiamatelo come volete… questo approccio non mi ha mai lasciato a terra, e ha fatto la differenza nella mia vita».

Vorrei proprio concentrare l’attenzione sui Commencement speech che rappresentano la punta di diamante dell’espressione dei guru. Essere chiamati da una prestigiosa università, possibilmente americana ma la moda sta dilagando anche in Italia avendo assistito agli ultimi casi Tim Cook di Apple alla Bocconi e Mark Zuckerberg di Facebook alla Luiss, a dare la propria visione delle cose. Un fenomeno che riguarda manager, attori, politici, scrittori: non ce n’è uno che si astenga dal pontificare dal pulpito.

Il o la guru vive di occasioni in cui poter condividere con la platea i propri contenuti e la propria esperienza. Negli Usa i Commencement speech sono praticamente diventati un genere letterario e ad oggi rappresentano una delle occasioni più ambite per prendere la scena.

La rivista Time ha pubblicato una lista dei discorsi più “guru” della storia ed esiste un sito che raccoglie e pubblica tutti i discorsi che si svolgono nel corso degli anni. È una vera Wikipedia di contenuti e di ispirazione. Potete divertirvi a navigare tra protagonisti di tutti i campi, tutti caratterizzati dalla propria frase ad effetto che in sintesi risultano essere «vecchi che amano dare buoni precetti per consolarsi di non essere più in grado di dare cattivi esempi» (La Rochefoucauld) a donne e uomini giovani disposti a sciropparsi predicozzi e risposte scontate.

Per evitare di dire ovvietà

Ma come evitare questo effetto, come evitare di infarcire il proprio discorso, le proprie slide e la propria presentazione di “ovviomi”?

Personalmente è un problema che si pone tutte le volte che devo preparare un intervento. Nel corso degli anni ho raccolto molti suggerimenti, mi sono documentato e ho preso ispirazione da molti dei discorsi e degli interventi che ho visto e ai quali ho assistito.

Mi sono anche dotato di un vademecum di regole che cerco sempre di rispettare e che vorrei condividere:

1)      Non presentare mai la stessa presentazione, cambia anche una sola slide, un solo passaggio ma non ripetere mai in toto un intervento

2)      Informati più che puoi sulla composizione del tuo uditorio, del tuo pubblico e dello spazio in cui parlerai

3)      Elabora un tuo stile personale inserendo nel tuo contenuto una delle tue passioni personali come incipit o come metafora

4)      Non è importante chi parla ma quello che dice, rispetta sempre il contenuto e se sei costretto a dire più di tre volte “Io” o “il mio” sei fuori strada

5)      Bilanciare il serio con l’umoristico ti aiuta a cambiare il ritmo del tuo intervento per risvegliare l’attenzione ma sii sicuro che le battute funzionino veramente

6)      Non utilizzare le citazioni come il sale, utilizzalo come un sorbetto per spezzare il ritmo dei contenuti

7)      Usa le parole come se fossero immagini, il font deve essere il più grande possibile ma non sostituiscono mai quello che devi dire

8)      Non arrivare mai all’ultimo minuto sul luogo del tuo intervento

9)      Non usare mai come slide di chiusura la scritta grazie, ringrazia con la voce facendo una sintesi di quello che hai esposto

10)   Essere brevi e essere brillanti (Sir. W. Churchill)

 

Non assicuro che l’applicazione di queste regole possa trasformarvi in guru, ricordatevi sempre dei tre elementi fondamentali: contenuti di valore, autorevolezza dell’esperienza e discenti interessati. o ignored

Sono però in debito con voi. Ovvero svelare chi sono i miei tre guru di riferimento: Linda A. Hill (Wallace Brett Donham, Professoressa di Business Administration presso Harvard Business School), autrice del libro che ho sempre sul comodino “Collective Genius“, Clayton Christensen (Harvard Business School Professor), il mio riferimento per la passione della mia professione e, senza dubbio, Elon Musk il cui impegno professionale è caratterizzato da un quarto elemento da guru: avere una visione e metterla in pratica. Fare le cose e non solo raccontarle. Spazio: ultima frontiera.

 

(Photo credits: unsplash.com /Faustin Tuyambaze)

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