I ChatBot, qualche riflessione

E’ appena terminato il Web Marketing Festival ed io ne sto ancora smaltendo l’adrenalina e riordinando i ricordi. Stavo riflettendo su tutti gli speech che hanno messo al centro il tema dei chatbot illustrandone pregi e difetti, implementazioni e realizzazioni, aspetti tecnici e non. E’ un argomento di cui si parla da tempo e di […]

E’ appena terminato il Web Marketing Festival ed io ne sto ancora smaltendo l’adrenalina e riordinando i ricordi. Stavo riflettendo su tutti gli speech che hanno messo al centro il tema dei chatbot illustrandone pregi e difetti, implementazioni e realizzazioni, aspetti tecnici e non. E’ un argomento di cui si parla da tempo e di cui molti addetti si aspettavano una diffusione del tipo next big thing.

Cosi non è, o almeno non per il momento.

Alcuni si sono affrettati a bollarlo subito come flop, altri invece ci si sono buttati a capofitto sviluppando e investendoci, pensando e sperando che realmente divenissero una killerapp di successo.

Secondo me la verità sta al centro, come quasi sempre accade.

Cos’è un ChatBot, cosa non è

Innanzitutto, per capire la reale evoluzione attuale bisogna comprendere bene cosa è un ChatBot e sopratutto cosa non è un ChatBot. Non è Siri, non è Google Assistant o Amazon Alexa per intenderci subito. Questi sono assistenti virtuali che realmente implementano una intelligenza artificiale complessa che li trasforma in tuttofare più o meno capaci e più o meno utili. I ChatBot sono chat, come suggerisce la parola, sono automazioni di una applicazione di chat, di messaggistica, che con funzioni automatiche assistono l’utente nei vari ambiti in cui operiamo, dal customer care alla vendita, al turismo e cosi via.

In maniera più o meno complessa, possono sopperire a quelle richieste o quelle fasce orarie o quelle operazioni ripetitive in cui impegnare una persona reale sarebbe impossibile per vari motivi. Hanno pregi e difetti, certo, come un po’ tutto del resto.

I pregi

Abitano, vivono e funzionano su app che già esistono e di cui sfruttano appieno le piattaforme madri. Cosa non da poco, questa. Sto parlando di piattaforme come Facebook o Telegram dove è possibile implementarli e renderli quasi autonomi in quello che vogliamo far fare loro senza preoccuparci di mettere su server o librerie di codice. Inoltre, abbiamo già e utilizziamo giornalmente queste applicazioni, sempre di più, le conosciamo, sono entrate nel nostro abitudinario e incessante spippolo giornaliero, sostituiscono molto spesso i social veri e propri. Specie nei giovani, nei millennials; per loro è già cosi e lo sarà sempre di più. Non soffrono quindi di quel fenomeno che si chiama App Fatigue cioè la resistenza degli utenti a scaricare o solo a cercare nuove applicazioni da installare nei propri device. Non devono imparare ad usarli, lo fanno già tutti i giorni e continuamente. Non solo. Sono ottime per soddisfare i “micromoments” cioè quegli istanti del mondo reali in cui abbiamo bisogno di un’informazione al volo e cercarla su un sito internet richiederebbe molto più tempo che chiederla ad un BOT. Questo non è un pregio molto comune nel panorama delle app digitali odierne, provate a pensarci.

Quali app conoscete che sono nate con uno scopo e nella loro evoluzione ne hanno aggiunti altri senza stravolgerne le funzioni principali? Sono davvero molto poche.

Di per sé, solo questo potrebbe già decretare il successo dei chatbot e allontanarli da quell’idea di flop con cui molti li hanno subito bollati. Ma perché, allora, c’è qualcuno che ha pensato che non fossero una “invenzione” – passatemi il termine – vincente? Semplice: per la natura stessa delle app in cui vivono, le chat. Hanno dei limiti pur essendo potenti.

I difetti

Le chat, e quindi i ChatBot, scrivono in uno streaming. Per la conformazione dei device, lo streaming è verticale, i messaggi scorrono istantaneamente in alto e abbiamo poco spazio per produrre o presentare contenuti di natura diversa da quelli testuali. Ma con contenuti testuali si può comunque dire molto, moltissimo. Quasi tutto.

L’altro difetto è umano: più che trattarli da ChatBot è impossibile; non ha senso voler far fare loro cose per cui non sono stati ideati e pensati, generando delusione da parte dell’utente che lo abbandona non trovando le risposte che erroneamente si aspetta. Però qui è colpa nostra. I chatbot vanno progettati in modo sì da sopperire a quelle funzioni che abitualmente impiegano risorse umane e non troppo onerose, ma c’è pur sempre un limite. O almeno diamocelo questo limite. Mi spiego, se per produrre un contenuto o terminare un funnel di prenotazione o vendita abbiamo bisogno di spazio, funzioni o immagini, spostiamo l’utente su un sito esterno o almeno su una landing page ad hoc dove possiamo realmente e in maniera migliore proporre quello di cui abbiamo necessità. Le aspettative dell’utente rimarranno almeno soddisfatte in pieno.

Un’altro difetto è la mancanza di un player di eccezione. Che non ho ancora menzionato. WhatsApp. E’ lui la vera killerapp della messaggistica ed è anche l’unico a non poter implementare i ChatBot in nessun modo. Sì, è notizia fresca che si potrà a breve scambiare ogni tipo di file oltre a quelli per cui è già possibile, ma sono caramelle per tenere alta l’attenzione.

Gli scenari dell’evoluzione per i ChatBot

La vera evoluzione dei ChatBot si avrà quando avverranno alcuni cambiamenti che ipotizzo in questo modo:

  1. Facebook fa sposare WhatsApp e Messenger trasformandoli in un’unica app: viene giù tutta internet in un botto solo.

     2. Facebook chiude WhatsApp e ci ritroviamo solo Messenger: viene giù tutta internet in un botto solo.

     3. Facebook apre alla API e ai ChatBot anche WhatsApp: viene giù tutta internet in un botto solo.

     4. Tutti gli utenti di Messenger e WhatsApp passano in blocco a Telearma: viene giù tutta internet in un botto solo.

Scherzi a parte, lo scenario è realmente questo. Al momento possiamo solo progettare e realizzare ChatBot sempre migliori ricordando e ponendo sempre come obiettivo le richieste a cui deve rispondere: per quelle a cui non può rispondere a causa degli evidenti motivi “fisici” di cui sopra, continuiamo a produrre contenuti sul web, magari collegandoli anche al ChatBot ma non volendo fargli fare cose per cui non soddisferebbe le attese.

Il next big thing? Quando avverrà uno dei quattro scenari ipotizzati, perché tanto avverrà.

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