I nuovi corpi intermedi sono i social network

C’è da ripensare al fatto che la fine dei corpi intermedi sia davvero la fine dei corpi intermedi. Fuori dalla tautologia, è verosimile credere che alcuni tipi di corpi sociali creati da gruppi di individui stiano rinascendo con forme, caratteristiche e regole diverse da quelli che sono stati abbattuti dalla rivoluzione digitale. La lunga sbornia della […]

C’è da ripensare al fatto che la fine dei corpi intermedi sia davvero la fine dei corpi intermedi. Fuori dalla tautologia, è verosimile credere che alcuni tipi di corpi sociali creati da gruppi di individui stiano rinascendo con forme, caratteristiche e regole diverse da quelli che sono stati abbattuti dalla rivoluzione digitale.

La lunga sbornia della disintermediazione

La disintermediazione ha messo in crisi — anzi ha svuotato di significato — molti gruppi protagonisti degli ultimi due secoli: associazioni di categoria, sindacati, organizzazioni politiche, lobby, consorzi di distretto, congregazioni religiose.

Un tessuto di relazioni, interessi e collegamenti che per molto tempo ha avuto un ruolo centrale nel funzionamento tanto della democrazia quanto dell’economia. Ma che la Rete globale ha reso spesso obsolete. A poco a poco, sciogliendo i nodi e corrodendo le corde delle vecchie reti. Fino a far credere a molti — sociologi, politici, economisti — che fosse arrivata l’era definitiva dell’individuo puro, ciascuno con i suoi obiettivi particolari in guerra eterna con quelli di chiunque altro.

L’essere umano è un animale sociale

L’uomo, in realtà, ha solo cominciato a tessere tele di relazioni e interessi con nuovi strumenti, adattandole al nuovo contesto, completamente diverse da quelle precedenti, più proprie dell’età industriale.

Il nuovo corpo intermedio è tendenzialmente informale (cioè poco caratterizzato da ritualità), verticale negli scopi (cioè punta a obiettivi specifici) ma orizzontale nella struttura (non è irregimentato da gerarchie fisse); spesso è anche biodegradabile (svolge una funzione poi si estingue o cambia scopi) e ha tra i suoi valori fondanti la reputazione e la fiducia reciproca.

Il nuovo corpo intermedio è il social networking

Il social networking rovescia la prima regola delle vecchie associazioni di categoria, o politiche: chi vi partecipa non è un soggetto passivo che si posiziona per ricevere protezione dal gruppo, ma è un soggetto attivo che come primo passo offre sussidio agli altri.

Lo spiega bene Darcy Rezac nel suo libro, “The Frog and the Prince”, dando la sua definizione del mondo del networking:

«Scopri quello che tu puoi fare per gli altri».

In questo principio risiede l’805 del lavoro: i grandi networker vogliono sapere cosa possono fare per te, non quello che tu puoi fare per loro.
Se si capisce questo, il resto è automatico.

Il nuovo corpo intermedio infatti si basa su una convenzione forse immaginifica ma fondamentale: agire come se nel cielo ci fosse un gran tabellone karmico nel quale qualche Dio tiene traccia di quel che di positivo si fa per gli altri ed è particolarmente benevolo quando si aiuta senza aspettarsi nulla in cambio.

L’arte del networking viaggia quindi su un paradosso, il primo di una serie: l’economia del dono disinteressato che, tuttavia, alla fine ripaga sempre. Perché non si tratta di un rapporto causale immediato e diretto, contrattato e quindi — in certo modo — un do ut des ricattatorio: è invece un dare come propensione, come atteggiamento, come visione: che quindi stimola nel network reazioni positive di medio e lungo termine.

Perché attenzione: il network non è chi conosci, ma chi conosce te,

E qui viene il secondo paradosso. Il nuovo corpo intermedio nasce quasi sempre dalla rete, che è il più veloce dei media; ma per coagularsi e affermarsi — per avere un senso, insomma — ha bisogno di più tempo rispetto alle vecchie associazioni analogiche. È il tempo della reputazione, della fiducia, dell’autorevolezza reciproca che si afferma solo grazie alla viralità, al tam-tam on line e off line. Che, appunto, non è quasi mai un percorso veloce.

Il terzo paradosso è il rapporto del nuovo corpo intermedio con la realtà fisica. Perché pur nascendo virtuale, il networking ha poi assoluto bisogno della fisicità per crescere. Il networking è uno sport di contatto: non si può fare da soli, nemmeno via computer. Si coltivano le relazioni solo uscendo, stringendo mani, scambiando umanità. Il nuovo corpo intermedio, anzi, considera vecchia e superata la dualità contrapposta tra reale e virtuale: si rimbalza invece da una all’altra, da un incontro a un whatsapp, da un aperitivo a un social network, perché fisico e digitale sono solo due facce della stessa realtà.

Fare Networking non è nè esibizione nè show-off, ma è ascolto e apprendimento.

Il marchio di un buon conversatore nel networking non è quello di parlare tanto, ma di far parlare tanto gli altri. I bravi networker sono più bravi ad ascoltare che a parlare.

È il quarto paradosso: chi parla poco e ascolta moltoacquista più facilmente la reputazione di persona interessante.
L’ultimo paradosso è che spesso il nuovo corpo intermedio si sviluppa meglio nelle realtà più vecchie, quelle nate molto prima della rete.

Club, associazioni, reti professionali o comitati locali in cui le persone si conoscono da decenni. Perché lì c’è già la fiducia, la stima, la reputazione, l’informalità, la deritualizzazione, l’economia del dono. Gli ingredienti di base proprio del nuovo networking, del nuovo corpo intermedio, che adesso è anche digitale.

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