Il lavoro flessibile, in Italia, è solo un mito

Tra i commenti pervenuti in redazione per partecipare all’ultimo contest che abbiamo lanciato, il migliore è stato quello di Andrea Tonelli, che pubblichiamo: potrà quindi partecipare alla nostra prossima riunione di redazione e scegliere con noi il tema per il contest successivo.  Il tema lanciato il 28 ottobre scorso chiedeva una riflessione sul posto a tempo indeterminato in Italia, […]

Tra i commenti pervenuti in redazione per partecipare all’ultimo contest che abbiamo lanciato, il migliore è stato quello di Andrea Tonelli, che pubblichiamo: potrà quindi partecipare alla nostra prossima riunione di redazione e scegliere con noi il tema per il contest successivo. 

Il tema lanciato il 28 ottobre scorso chiedeva una riflessione sul posto a tempo indeterminato in Italia, per anni mito e obiettivo da raggiungere per vivere bene e non avere preoccupazioni.
In Italia al momento non esiste il lavoro flessibile, ovvero quell’idea di lavoro che consenta a ciascuno di noi di scegliere come realizzarsi professionalmente, in maniera dinamica ed innovativa, in base ai nostri progetti ed alle nostre aspirazioni.

In Italia l’unico confronto possibile è tra lavoro fisso e precario. Il cambiamento di vocabolo, da “flessibile” a “precario”, non è frutto di una scelta ideologica di chi scrive, né figlio di una retorica volta a mitizzare il contratto a tempo indeterminato. Semplicemente è un modo per svelare la realtà dei fatti: in questo paese si è scelto di abbandonare la sicurezza del lavoro fisso, la possibilità ad essa connessa di fare progetti a lungo termine nelle nostre vite, ottenendo in cambio meno diritti e salari minori.

Molti giovani sarebbero davvero felici di poter passare da un contratto a un altro, specie nella fase iniziale della loro vita professionale, potendo mettersi in gioco di volta in volta e formandosi in maniera più completa. Un’occasione che sicuramente consentirebbe di sfuggire al rischio di apatia e di scarsa dedizione che, inutile negarlo, può colpire chi deve svolgere per decenni la medesima mansione.

Tuttavia questo in Italia attualmente non è pensabile. Il mito del lavoro flessibile e dinamico si è dimostrato una chimera. Non sono nati nuovi posti di lavoro, ma al contrario sono nate nuove forme di contratto per fornire le stesse occasioni di lavoro, ma con meno tutele e meno certezze.

Questo paese dovrà mettere in campo una nuova regolamentazione del lavoro, che non sia come sempre una serie di concessioni ai soli datori, nonché un sistema di welfare state e di ammortizzatori sociali capace di liberare i giovani dalla morsa asfissiante del tempo precario, di accompagnare i vuoti da un contratto all’altro e di garantire una pensione dignitosa anche a chi non gode dei benefici del tempo indeterminato.

Solo allora il modello di lavoro flessibile potrà avere una sua valenza e potrà dimostrare tutti i suoi punti di forza, così come le sue debolezze.
La riflessione è dunque rimandata al futuro, anche se, dispiace dirlo, non sembra che la classe politica attuale abbia le capacità e il senso di responsabilità per costruire un simile cambiamento.

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