Il lavoro in chiaro con la certificazione dei contratti

Resistere all’incertezza del lavoro flessibile e precario, alle fluttuazioni esistenziali di quello atipico, offrire piccole grandi certezze a chi lavora in ambienti ristretti o a rischio inquinamento: dalle pieghe della legge Biagi nasce uno strumento ancora poco noto, ma che può aiutare a rendere più chiaro e trasparente questo mondo spesso opaco, grazie alla certificazione […]

Resistere all’incertezza del lavoro flessibile e precario, alle fluttuazioni esistenziali di quello atipico, offrire piccole grandi certezze a chi lavora in ambienti ristretti o a rischio inquinamento: dalle pieghe della legge Biagi nasce uno strumento ancora poco noto, ma che può aiutare a rendere più chiaro e trasparente questo mondo spesso opaco, grazie alla certificazione dei contratti di lavoro.

La Commissione di Certificazione dei contratti di lavoro

“Il lavoro è l’unico modo che abbiamo per redistribuire la ricchezza, la quale può essere equamente redistribuita se si regolamentano in modo più nitido ed efficace i nuovi rapporti di lavoro, in modo da affrontare le nuove sfide che la trasformazione tecnologica si porta dietro”. Con queste parole il rettore dell’università Politecnica delle Marche, professor Sauro Longhi, ha presentato la Commissione di Certificazione dei contratti di lavoro, la prima del genere in Italia a vedere la luce in una facoltà di ingegneria. A tenere a battesimo la novità il professor Michele Tiraboschi, che dal 2005 presiede la prima commissione simile, istituita all’Università di Modena e Reggio Emilia.

“Esiste molta incertezza giuridica nei rapporti di lavoro e non solo. La certificazione è il tentativo di offrire a imprese e lavoratori gli strumenti per capire quali sono le proprie regole e diritti, e come costruirli tecnicamente in maniera corretta e adeguata dentro gli schemi contrattuali”, spiega Tiraboschi. Nata dalla legge Biagi, la previsione di questa procedura su base volontaria serve per ridurre il contenzioso in materia di lavoro, con impresa e lavoratori che si affidano a un organismo terzo, composto da esperti qualificati. Le tipologie di lavoro interessate che possono usufruirne, oltre al lavoro subordinato, autonomo e parasubordinato, si estendono ai contratti commerciali atipici, di somministrazione, trasporto, appalto, subappalto, subfornitura, al mondo delle cooperative e ai contratti di rete.

“La certificazione ha raggiunto obiettivi importanti, perché è stata compresa e capita”, puntualizza Tiraboschi. “Non basta scrivere una legge per consentire alle imprese di operare e ai lavoratori di avere riconosciuti i diritti, è necessario avere l’assistenza tecnica di operatori che li possano aiutare a coniugare i reciproci interessi. Lo possono fare avvocati e legali, tecnici di parte delle sedi terze. La certificazione svolge in modo positivo questo servizio per le comunità, i territori e i sistemi produttivi”.

Le prestazioni professionali autonome, tipiche di professionisti come gli ingegneri e altre figure del mondo delle costruzioni, che presentano come oggetto contratti di appalto e subappalto, rientrano nella tipologia di quelle sottoponibili a certificazione. La procedura ha la caratteristica di essere efficace anche nei confronti di eventuali contestazioni degli organismi ispettivi, quali Inps, Inail, Ministero del Lavoro, Agenzia delle Entrate, sino a un’eventuale sentenza che la dichiari illegittima.

“Il tema della certificazione non è una questione giuridica e legale fine a se stessa”, avverte il giuslavorista. “È positivo riscontrare che questa è la prima commissione di certificazione presso un’università politecnica e non in un’aula di giurisprudenza o economia. Questo potrebbe aiutare moltissimo quei processi riorganizzativi legati alla quarta rivoluzione industriale, alle nuove tecnologie, per cui è sicuramente un’iniziativa da guardare con grande interesse”.

Le applicazioni sulla contrattualistica

La regolazione di lavori legati al facchinaggio, magazzino o logistica dei colossi della vendita via web potrebbe essere oggetto di certificazione, vista la difficoltà di inquadrare la fattispecie giuridica di prestazioni lavorative a volte affidate ad algoritmi informatici, al di fuori della tradizionale contrattazione collettiva. Lo strumento offre la possibilità di qualificare le imprese e in particolare di sfrondare il grande sottobosco di contratti atipici, di cui è fiorente l’edilizia, fornendo una sponda più solida sulla via della legalità e della trasparenza nel lungo processo di ricostruzione delle zone terremotate del Centro Italia. Sponda che va oltre il Durc di congruità, documento che attesta la corrispondenza tra la regolarità dei versamenti contributivi dell’impresa e la manodopera impiegata, di recente introdotto con un’ordinanza dal commissario straordinario per la ricostruzione post terremoto del 2016.

Secondo i dati dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, gli accertamenti eseguiti presso 191 mila aziende hanno permesso di accertare contributi e premi evasi pari ad un miliardo e 101 mila euro. Lo spiega in termini chiari il professor Tiraboschi: “Uno strumento come il Durc di congruità, inventato in Umbria nel 1997, a seguito del sisma, conferma l’idea dell’importanza di sedi di certificazione, di validazione dei processi produttivi che vanno a vedere la regolarità e il rispetto dei contratti collettivi, oltre che delle norme di legge.”

“Quanto fatto in passato in Umbria, poi in Emilia Romagna e oggi nel territorio del Centro Italia colpito dal sisma, ha grandissime prospettive – afferma il docente – nelle pieghe della legge, pochi lo sanno, della normativa sulla salute e sicurezza degli ambienti di lavoro, il corposo testo unico del 2008, si prevede in maniera evolutiva; rispetto al tema del Durc, l’asseverazione di congruità, il tema del sistema di qualificazione delle imprese.”

Si tratta di un sistema molto simile alla patente a punti, continua Tiraboschi: “Una maniera moderna di tutelare lavoratori e imprese, vere, genuine e corrette, ammettendo in alcuni mercati, edilizia in particolare, si pensava con la cosiddetta patente a punti, la possibilità di operare come imprenditore, solo se si è qualificati per farlo, in termini di competenza, professionalità e rispetto della legge, competenza attestata da sedi di certificazione. Questo aspetto oggi funziona in un settore molto specifico e delicato, pericoloso, il lavoro negli ambienti e negli spazi ristretti, dove i rischi di infortuni e morti sono molto elevati. Sicuramente questo modello, grazie all’esperienza di questa nuova commissione, potrebbe essere esteso al settore edile, che da tempo in realtà lo reclama”.

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