Impunibilità nella P.A.: timbrare il cartellino non può più bastare

A Sanremo li hanno chiamati “furbetti del cartellino” per le timbrature molto approssimative della propria presenza in ufficio, ma un merito va loro riconosciuto: quello di aver portato alla rapida approvazione del decreto attuativo 116/2016 della riforma Madia che entrerà in vigore il 13 luglio 2016 e che prevede il licenziamento per chi attesta fraudolentemente […]

A Sanremo li hanno chiamati “furbetti del cartellino” per le timbrature molto approssimative della propria presenza in ufficio, ma un merito va loro riconosciuto: quello di aver portato alla rapida approvazione del decreto attuativo 116/2016 della riforma Madia che entrerà in vigore il 13 luglio 2016 e che prevede il licenziamento per chi attesta fraudolentemente la propria presenza in servizio in una pubblica amministrazione. Il decreto sarà valido solo per i reati commessi dopo l’entrata in vigore della legge per cui i “furbetti”, pur colti in flagranza di reato ed elevati a simbolo dei malfunzionamenti della P.A., non saranno toccati minimamente dalla cosa.

A ben vedere, comunque, definirli furbetti è improprio. Furbo è chi si ingegna e fa di tutto per non farsi beccare, mentre qui siamo di fronte alla tronfia certezza di farla franca, alla volgarizzazione di un comportamento sbagliato in usanza comune. Che poi, con i mezzi digitali che abbiamo oggi, chiunque timbri un cartellino potrebbe tranquillamente impiegare il tempo in ufficio in attività quali: spesa e shopping online, lavoro a distanza sul web, chat infinite o gaming. Attività contro cui a nulla servono le restrizioni sulla rete informatica di un’amministrazione pubblica, data la diffusione capillare di dispositivi personali.

E al Ministero non ignorano queste cose, tanto che nella riforma della Madia c’è un passaggio che è passato decisamente più in sordina: è l’art.14 che obbliga le Amministrazioni pubbliche a consentire il telelavoro ad almeno il 10% dei propri dipendenti entro tre anni, assicurandosi che questo non impatti negativamente sulla progressione di carriera di chi lo richiede. Si tratta di un obiettivo molto più ambizioso e su cui il Ministro ha sicuramente maturato una certa sensibilità avendo dovuto portare avanti in contemporanea una riforma e una gravidanza.

Per cui, al di là della facile risonanza mediatica di chi timbra il cartellino in mutande, la vera sfida nella riforma della Pubblica Amministrazione non è tanto assicurarsi che tutti timbrino con sicurezza in entrata e in uscita, restando in ufficio in quel lasso di tempo, quanto essere certi che il tempo in servizio non venga sprecato, ovunque ci si trovi. Per fare un esempio, non vi è dubbio che il giudice che ad aprile scorso ha rinviato una sentenza perché i documenti erano stati prodotti solo in digitale e non poteva sottolinearli abbia timbrato il suo cartellino. Innegabile anche che abbia lavorato in quelle ore ma nella sostanza ha bloccato un processo con una motivazione facilmente confutabile: non si può dire insomma che sia stata la sua performance migliore, tanto da meritarsi un’azione disciplinare da parte del Ministero della Giustizia. Ma a questo ci si arriva solo con una valutazione nel merito: se l’obiettivo del giudice fosse stato semplicemente quello di arrivare a un certo numero di istanze completate in un determinato periodo ancora una volta il suo lavoro sarebbe stato giudicato positivamente.

Al di là di ciò che è più notiziabile per i media sulla riforma della Pubblica amministrazione, si giocano due partite più importanti: da una parte quello di una migliore valutazione delle performance, magari affidandosi anche a organismi terzi, dall’altra quella di scegliere i giusti indicatori per definire l’efficacia dell’azione amministrativa.

Ad introdurre per prima un sistema di valutazione delle performance per obiettivi ci aveva pensato la riforma Brunetta del 2009 che prevedeva benefit per gli obiettivi raggiunti e sanzioni per chi non riusciva a rispettarli, il tutto da documentare pubblicamente in nome della trasparenza. I risultati però non sono stati quelli attesi, con alcuni paradossi, come quello della Regione Sicilia che, come denunciava il Fatto Quotidiano lo scorso anno, aveva finito per premiare la quasi totalità dei dirigenti con obiettivi da raggiungere non particolarmente complessi e tra cui figuravano attività come l’utilizzo di internet e l’invio di email. Il tutto dovrebbe essere documentato online ma se si fa un salto alla pagina web della Regione Sicilia in cui dovrebbero comparire i dati relativi ai premi si legge che “Le informazioni previste dall’art.20, comma 2,del D.Lgs.33/2013 non sono pubblicate in quanto non rilevabili in base al sistema di premialità vigente per il personale della Regione Siciliana”. In altre pagine invece si possono leggere dati solo parziali perché è compito dei singoli uffici comunicarli ma devono essersene dimenticati.

Poi c’è anche chi le ha applicate bene, come la Regione Lombardia che ha strutturato il lavoro in 19 missioni da completare, con piano performance, indicatori, risultati attesi, valutazione di un ente indipendente, soldi stanziati ed erogati, tutto documentato sul suo sito.

Oggi la riforma Madia prova a dare nuovo vigore ai principi espressi dalla riforma Brunetta innanzitutto con il Foia, il Freedom of Information Act che vorrebbe consentire a tutti di accedere agli atti di un’amministrazione, poi con la digitalizzazione dei processi di valutazione e performance per permetterne un coordinamento a livello nazionale nonchè con l’istituzione di un sistema della dirigenza pubblica, con ruoli unificati e procedure omogenee di accesso e reclutamento, basate su merito, aggiornamento e formazione continua.

Tante buone iniziative ma non è dato sapere se questa riforma avrà successo: la trasparenza nei metodi e negli atti è sicuramente un buon deterrente ma non può garantire da sola la certezza delle pene.  Forse riuscirà a premiare le eccellenze ma dovrebbe anche punire chi non merita. Alla base dei sistemi di connivenza c’è infatti più che altro la sicurezza dell’impunibilità: puoi fare una legge che preveda il licenziamento, puoi anche progettare sistemi difficili da aggirare che possono dare informazioni sulla presenza in real time, ma poi devi dimostrare l’efficacia di quanto annunciato. Per intenderci, serve rigore esemplare e non alla Pellè.

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