L’impunità italiana che non molla la poltrona

Non è possibile che non balzi alla nostra attenzione che in tutte le vicende aziendali in crisi a cui abbiamo assistito – e che hanno avuto impatti devastanti su stakeholder, azionisti grandi e piccoli, dipendenti, fornitori, loro famiglie – chi fosse responsabile di quanto accaduto, anche in modo oggettivo e lampante non abbia mai pagato direttamente […]

Non è possibile che non balzi alla nostra attenzione che in tutte le vicende aziendali in crisi a cui abbiamo assistito – e che hanno avuto impatti devastanti su stakeholder, azionisti grandi e piccoli, dipendenti, fornitori, loro famiglie – chi fosse responsabile di quanto accaduto, anche in modo oggettivo e lampante non abbia mai pagato direttamente per le proprie responsabilità.

Ultimo, ma solo in ordine di tempo, il caso MPS. La Consob  ha sanzionato la mala gestione della banca da parte dei suoi amministratori ma, anche qui, probabilmente non pagherà nessuno. Le multe ricevute da persone fisiche non sono state ancora pagate e, come si può comprendere dai ricorsi in tribunale persi da Rocca Salimbeni e dai suoi aderenti, se verranno saldate sarà opera della banca che eventualmente potrà rivalersi sui suoi ex cattivi gestori.

Sembra quasi un paradosso il fatto che con la parola responsabili si indichi, nelle aziende, quei manager che hanno il potere decisionale e da ciò che decidono dipenderà la salute o il disastro della società. Sembra però che si sia responsabili solo se la società è in salute, se si prendono ottimi salari e bonus e si dimentica il fatto che siamo anche e soprattutto responsabili di fronte ad un naufragio. Anzi, forse è proprio in quel momento che servirebbe un atto di responsabilità.

Ciò che succede in queste crisi normalmente è che i direttori, i manager e gli amministratori mai si assumono la responsabilità di quanto è accaduto: sono sempre fattori esterni, il mercato, la gestione precedente o comunque situazioni fuori dal loro controllo (ci ricordano insomma i nostri politici). Non succede mai che un direttore o il team di management dica che ciò che è accaduto è colpa loro, che hanno sbagliato nelle previsioni, che è frutto di scelte fatte non correttamente e che pagheranno anche loro e più degli altri per questo.

In psicologia questo atteggiamento viene descritto come “creazione degli alibi“.

Si capisce facilmente perché è dura giocarsi del proprio, toccare il proprio portafoglio o la propria poltrona e sacrificare tutto sull’altare della coerenza e della responsabilità. Anche qui non posso tacere sulle innumerevoli dichiarazioni pre-referendum dove si spergiurava che alla eventuale vincita di un no si sarebbe smesso di fare politica, televisione, cantare, cinema. Ma visto che qui siamo vicini al teatro, dove tutto è finzione, è il momento di un esempio teatrale.

C’è una battuta in un musical di Garinei e Giovannini  “Aggiungi un posto a tavola” che ci può far riflettere su quanto detto. Il sindaco del paese, che è anche proprietario dell’unica falegnameria, quando gli viene chiesto di donare tutto il legname che ha per costruire l’arca – proprio l’arca che salverà tutti dal diluvio imminente – sollecitato sul fatto se credesse o meno nelle parole del parroco, risponde con candida innocenza “vorrei vedere quanti crederebbero se dovessero pagare per credere”. A quel punto la moglie incalza “ se uno crede, crede ad ogni costo “ e lui “ ma non al costo odierno del legname “.

Nel 2008 l’azienda di cui ero amministratore delegato si trovò ad avere un repentino e inaspettato calo di vendite, dovuto ad un’azione da parte di due concorrenti i quali, uno per mantenere e l’altro per acquisire quote di mercato, iniziarono a proporre i loro prodotti a prezzi ridotti anche del 40%-45%. Eravamo al di sotto dei costi di produzione, la direzione della nostra azienda decise di non seguirli nella lotta dei prezzi e nella distruzione del valore aziendale: soffrì però di questa politica e chiuse l’anno con una perdita considerevole. L’azienda aveva più di 100 dipendenti e, dai calcoli e secondo le politiche del nostro gruppo in quel momento in vigore, la cosa da fare sarebbe stata una riduzione del personale pari a 40 unità, il tutto per adeguare la capacità produttiva al mercato che era rimasto e rivedere poi l’utile, a seguito della riduzione dei costi.

Il management normalmente non subisce alcun effetto da questa situazione, alcuna riduzione di salario, nessun rischio per il posto di lavoro. Forse può perdere qualche bonus legato al risultato, ma abbiamo esempi dove non accade nemmeno questo, anzi forse il contrario. Ma non sarebbe forse giusto il fatto che a chi più ha, più deve essere chiesto? A chi è stato dato di più, deve a sua volta dare di più? Che chi ha deciso di percorrere una strada, sia il primo a soffrirne per le conseguenze? Io decisi di seguire una strada completamente nuova. Nessun licenziamento ma una riduzione di orario di un’ora e mezzo al giorno per tre mesi per tutti i dipendenti dell’azienda sfruttando il meccanismo della solidarietà e poi, per gli altri mesi dell’anno, tre ore di riduzione al giorno. In questo modo tutti erano a lavoro, nessuno perdeva la propria dignità perché costretto a casa, l’azienda continuava ad avere la sua struttura necessaria per le attività quotidiane ma anche per essere pronta a riprendere ordini quando il mercato fosse cambiato in positivo.

Ma ci fu qualcosa in più. Sicuramente, come classe dirigente, avevamo una maggiore responsabilità delle persone che ora subivano gli effetti della situazione che si era creata. Per questo avremmo proceduto ad una riduzione volontaria del nostro salario in percentuale del 5% in più di quella che avrebbe colpito le nostre persone, alla totale assenza di bonus e al pagamento del costo dell’auto aziendale assegnata come benefit ad ognuno di noi. Questo fino alla uscita della crisi e al ripristino del salario per tutti. Fu un atto che nessuno si aspettava ma che nessuno nemmeno chiedeva, tanto era radicato nella mente delle persone che chi dirige non è legato ai destini di chi è sottoposto. Un gesto che ha veicolato molti messaggi, ma uno sopra tutti: da quel momento eravamo diventati una azienda sola, fatta di persone con un unico scopo che era quello di uscire tutti insieme e con il contributo di tutti da una crisi dando di nuovo sicurezza e stabilità.

L’effetto è sicuramente diverso se un manager ben pagato arriva con il suo ultimo modello di Audi Q7 e annuncia una riduzione di personale o una cassa integrazione a zero ore e poi se ne torna via dicendo che gli dispiace ma che è per il bene di tutti, soprattutto per quelli che rimangono.

A questo punto dovremmo porci una domanda. Dato che questo perfetto meccanismo di elusione della responsabilità è così diffuso e ben funzionante e dato che sembra normale che chi è responsabile di scelte sbagliate non ne abbia alcuna conseguenza, non è che manager, dotati di scarsa componente etica, riflettano poco sulle decisioni da prendere o peggio le prendano per il loro interesse personale e non per il bene comune perché nemmeno frenati o “consigliati” da una eventuale mancanza di pena? Che sia spesso l’impunità la consigliera di amministratori e consigli di amministrazione?

Pensiamoci tutti.

 

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