Insegnare la mindfulness non è da tutti

Sono ormai quarant’anni che la ricerca scientifica si è dedicata allo studio dell’efficacia del programma MBSR – Mindfulness-Based Stress Reduction – basato sulla pratica della consapevolezza, e su quanto essa porti significativi benefici a un numero rilevante di patologie, ma ancor di più alle persone e al loro modo di relazionarsi con la loro vita. […]

Sono ormai quarant’anni che la ricerca scientifica si è dedicata allo studio dell’efficacia del programma MBSR – Mindfulness-Based Stress Reduction – basato sulla pratica della consapevolezza, e su quanto essa porti significativi benefici a un numero rilevante di patologie, ma ancor di più alle persone e al loro modo di relazionarsi con la loro vita.

Mindfulness e ricerca scientifica: il MBSR

Il programma MBSR è un approccio basato sulla cosiddetta medicina “mente-corpo”, che studia il rapporto tra ciò che in genere chiamiamo mente, i nostri pensieri e le nostre emozioni, quello che chiamiamo cervello, le sue aree e le sue componenti, e quello che chiamiamo corpo, o esperienza corporea, oltre all’interazione tra queste tre componenti. Jon Kabat-Zinn se ne è occupato a partire dalla fine degli anni Settanta e gli insegnanti formati presso il Center for Mindfulness (da lui diretto per parecchi anni) continuano anche oggi a proporre il programma MBSR secondo le evidenze che la scienza ha fatto emergere finora.

Oggi la ricerca, e in particolar modo le neuroscienze, attraverso le tecniche di neuroimaging, danno prova di come il cervello sia sensibile agli stati mentali e di come esso venga plasmato dall’esperienza. Viene sottolineato come gli stati mentali ed emotivi abbiano una significativa espressione fisiologica, ovvero influenzino le funzioni e lo stato del corpo. Queste interazioni determinano la correlazione tra stress e salute. Per di più un nuovo ramo della medicina, l’epigenetica, ha evidenziato quanto gli stati mentali ed emotivi determinino anche l’espressione genetica dei cromosomi.

Non solo conoscenza intellettuale

La scienza e la conoscenza, però, non sono le uniche componenti per diventare un buon insegnante MBSR. Come sostiene il prof. Saki Santorelli, direttore del Center for Mindfulness dal 2001 al 2017: “La mindfulness è un modo di essere e l’MBSR è un approccio alla pratica della mindfulness, concepito per aiutare le persone a imparare qualcosa su di sé, sulla propria esperienza, sulla propria modalità di interazione con il mondo e sul proprio modo di vivere”.

La mindfulness permette di ritrovare le risorse già presenti in noi. È un modo per riscoprire la nostra integrità per come già noi siamo e non per come dovremmo essere, permettendoci di “incontrare” la nostra vita in modo nuovo.

Un buon percorso di formazione deve passare attraverso questo lavoro di conoscenza di se stessi, che necessariamente richiede alcuni anni di pratica e diverse esperienze vissute in prima persona. Al contrario, oggi sono disponibili corsi di formazione che in poche settimane o mesi “formano” insegnanti di mindfulness, con il grosso rischio di fraintendere il cuore stesso della pratica.

Non il cosa, ma il come

Nonostante il programma sia basato sulla medicina “mente-corpo”, l’MBSR non è una terapia e neppure un protocollo, bensì un vero e proprio programma educativo. Perciò il percorso formativo di un insegnante MBSR richiede di apprendere come insegnare piuttosto di cosa insegnare, come essere piuttosto di cosa fare, e di coltivare quella sensibilità innata che consente di creare un’atmosfera di fiducia e sicurezza nel gruppo, e che permette alle persone di sperimentarsi e di condividere il sapere emerso dalla pratica. Tutto questo non può essere appreso da testi, slide e curriculum, ma piuttosto dall’esperienza vissuta in prima persona.

Uno degli approcci educativi cui fa riferimento il training del CFM si rifà al filosofo e pedagogista americano J. Dewey, che dice: “Noi non impariamo dall’esperienza, impariamo dal riflettere sull’esperienza”. Questo duplice aspetto, l’esperienza e la riflessione su di essa, è il modello centrale del programma MBSR e conseguentemente del percorso formativo per diventare un insegnante MBSR.

La mindfulness come vocazione

L’insegnamento della mindfulness – e in questo caso dell’MBSR – richiede di essere disposti a farne una vocazione per la vita.

Così è stato per me: tutto è nato da un profondo senso di ispirazione e di passione. Il mio interesse è arrivato dopo molti anni di studi e di pratica all’interno della tradizione buddhista. Poi mi è finito tra le mani un libro di Jon Kabat-Zinn, nel quale ho ritrovato quel profondo senso del dharma fondato sull’intento di aiutare le persone ad affrontare la loro esistenza e a ritrovare quel senso di pienezza che alcune esperienze della vita, talvolta, ci fanno perdere.

Sebbene la tendenza ad avere tutto e subito stia attraversando la stessa mindfulness, questo approccio personale alla vita è ancora al cuore della formazione del CFM. Così mi sono immerso in questo percorso, iniziato diversi anni fa e che continua ancora oggi, perché la formazione alla sensibilità umana non finisce mai. Chi desidera intraprendere questo viaggio dovrebbe tenere conto dell’intenzione di farne uno stile di vita.

La mindfulness non cura lo stress

Può sembrare un paradosso, ma mindfulness non significa “curare” i sintomi dello stress; significa piuttosto conoscerli ed entrare in relazione con essi.

La pratica della mindfulness è la coltivazione di una attitudine interiore di conoscenza. Per fare ciò è necessario essere in contatto con l’esperienza interiore, e non con le idee, le aspettative o la ricerca di qualcosa che non sia presente momento per momento. Quando usiamo la mindfulness per cambiare, migliorare o trasformare una situazione significa che non siamo interessati a conoscerla veramente, ma che vogliamo qualcosa di diverso.

Volere qualcosa di diverso è quello che attuiamo tutto il tempo, da sempre; il percorso interiore basato sulla pratica della consapevolezza permette invece di conoscere chiaramente tutto quello che si trova nel nostro campo di esperienza fisica e mentale. È attraverso l’intima esperienza che comprendiamo – e comprendendo restituiamo senso alle cose.

Ultimamente accade invece che vengano proposti protocolli mindfulness dedicati a particolari sintomi o disturbi; questo approccio assomiglia molto alla specializzazione medica che, se da una parte è fondamentale per la cura delle specifiche patologie, dall’altra esclude la dimensione umana dell’esperienza della persona che vive la malattia. Questa dimensione umana, però, è stata posta al cuore del programma MBSR dal suo fondatore, al fine di aiutare la persona a comprendere la natura della sua condizione e a trovare risorse in sé, nella piena consapevolezza e nell’amorevole gentilezza.

Informarsi su chi ci forma

Oggi c’è una grande diffusione del programma MBSR e non è difficile trovarne uno nella propria città. Forse, oggi, in questa grande diffusione varrebbe la pena chiedersi qual è la formazione della persona che lo insegna. Vedo sempre più persone che insegnano la mindfulness senza avere seguito un percorso di pratica meditativa né un training formativo adeguato. Troppe figure professionali presumono che la loro professionalità riguardi anche la mindfulness; invece sono prive di una pratica sincera e di un’esperienza sia personale sia formativa.

Assisto sempre più spesso anche al fiorire di training professionali infarciti di informazioni. La formazione, invece, dovrebbe essere basata sulla conoscenza appresa attraverso l’esperienza e un percorso di crescita interiore di alcuni anni per poter anche solo avvicinarsi agli standard di preparazione richiesti dal CFM UMass, dall’Università di Oxford e dalla Bangor University, che congiuntamente hanno sviluppato i criteri internazionali di valutazione degli insegnanti di mindfulness.

Tutto il percorso formativo per diventare un insegnante di programmi mindfulness-based richiede un impegno sincero nella pratica, un’instancabile ricerca su di sé, lo studio dei testi sui fondamenti della tradizione buddhista da cui quei programmi hanno origine e delle pubblicazioni scientifiche relative alle applicazioni della mindfulness.

Neppure i ritiri devono costituire cose “da fare” e da spuntare dalla lista delle richieste per ottenere un attestato. Dovrebbero invece essere un elemento indispensabile da coltivare costantemente per tutta la vita, se si desidera insegnare la mindfulness.

Non bisogna mai scordare che l’apprendimento fondamentale è ciò che si impara praticando, in silenzio, nell’ascolto, nell’incontro intimo con la vera natura di se stessi.

 

Photo by Breather on Unsplash

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