La burocrazia UE stride con gli incentivi

La sostenibilità ambientale spesso non riesce a trovare una sua piena applicazione perché la burocrazia impedisce o rallenta i processi di adeguamento all’energia verde. A soffrire sono famiglie e imprese che devono fare i conti con permessi talvolta complicati i quali ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo. Potremmo definirla insostenibilità ambientale se non fosse complicato richiedere autorizzazioni […]

La sostenibilità ambientale spesso non riesce a trovare una sua piena applicazione perché la burocrazia impedisce o rallenta i processi di adeguamento all’energia verde. A soffrire sono famiglie e imprese che devono fare i conti con permessi talvolta complicati i quali ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo. Potremmo definirla insostenibilità ambientale se non fosse complicato richiedere autorizzazioni per installare gli impianti green nelle proprie abitazioni o nelle imprese.

È utile sottolineare che, nonostante sia presente questa situazione, c’è una forte espansione del settore delle energie rinnovabili, conquistando a pieno titolo lo scenario economico italiano. Nel primo periodo sembrava difficile l’energia verde mentre ora cresce con determinazione l’esigenza di sfruttare le fonti rinnovabili. Non si comprende bene il motivo di un’esagerata burocrazia che, a fronte di un grande sviluppo economico, dovrebbe regolamentare al meglio e con maggiore facilità tutto il comparto economico, valorizzando proprio gli investimenti green.

C’è una cultura sociale troppo lenta a maturare, complice di questo drammatico rallentamento. La green economy, infatti, non è ancora opportunamente sfruttata dai diversi settori economici, pur avendo un significativo potenziale a disposizione. Sono molteplici le ricadute economiche. I comuni italiani hanno la straordinaria possibilità di aumentare gli investimenti derivanti dal risparmio energetico.

Gli Enti locali che non sono in grado di investire hanno la possibilità di mettere a disposizione questo risparmio ad altri soggetti privati. L’occupazione può incassare sicuramente dei notevoli benefici in termini di addetti alle nuove installazioni e, più in generale, nella filiera tecnologica. La difficoltà principale è proprio quella di sbloccare gli investimenti capaci di attivare diversi asset economici che partecipano al buon fine di queste attività. I politici dovrebbero recepire le normative europee nel comparto dell’efficienza energetica. Nessuna esclusa.

È fondamentale attivare tutti gli strumenti previsti proprio dalle leggi dell’Unione europea. C’è un aspetto di particolare importanza da sottolineare. Le imprese che hanno investito nella green economy sono quelle che hanno resistito maggiormente durante il periodo della crisi economica. Più della metà delle nuove assunzioni derivano proprio dai settori legati alla green economy. Il quadro economico dove si inserisce la sostenibilità ambientale è sicuramente interessante ma è necessaria una seria presa di coscienza per sbloccare burocrazia e investimenti, al fine di dirigerli su questo asset economico, protagonista indiscusso delle scelte strategiche del XXI secolo.

«In una società – commenta Stefano Cianciotta, Docente di Comunicazione di Crisi all’Università di Teramo – che sta attraversando una profonda fase di trasformazione, i fenomeni del Nimby, l’opposizione dei territori alle infrastrutture e agli impianti industriali, sono la punta dell’iceberg di un disagio che investe il tema della rappresentanza.
Per rispondere a questa crisi, alcuni Paesi europei hanno da tempo e progressivamente adottato strategie, pratiche, modalità nuove di dialogo tra i diversi tessuti vitali della società, come dimostrano gli esempi della Danimarca, nella quale nel 2017 entrerà in funzione il termovalorizzatore Amager Resource Cente, sul cui tetto sarà possibile sciare, o ancora il caso nel 2011 delle cittadine svedesi di Oskarshamn e Östhammar che si sono a lungo contese la realizzazione di un deposito di scorie nucleari.

L’Italia, invece, dimostra la sua arretratezza culturale. Nell’incapacità di cercare nuove modalità di dialogo e di confronto, il fenomeno Nimby si è progressivamente inasprito e la distanza tra gli attori coinvolti (impresa, cittadinanza, politica) è radicalmente aumentata. L’apparato burocratico italiano, l’impianto autorizzativo e regolatorio sono farraginosi: duplicano e moltiplicano se stessi, generando un caos incomprensibile in particolare per gli investitori stranieri. Le competenze scientifiche e tecniche – continua Stefano Cianciotta – dei funzionari delle amministrazioni (in particolare delle piccole amministrazioni locali) sono inadeguate rispetto alla complessità dei progetti. In questo marasma, fatto di mancanza di competenze, di incertezza burocratica, di lungaggini istituzionali, il ricorso alla magistratura è diventato quasi una prassi abituale per dirimere controversie che troverebbero migliore risposta dall’esame tecnico dei progetti.

La Tav in Val Di Susa, gli impianti per l’estrazione di idrocarburi al largo della costa adriatica, il gasdotto Tap in Puglia, l’elettrodotto di Terna che unirà Italia e Montenegro, la realizzazione di nuovi impianti per lo smaltimento dei rifiuti, le centrali a biomasse, i rigassificatori. La sindrome di Nimby (acronimo inglese di Not in my back yard, che significa letteralmente Non nel mio giardino), l’opposizione a impianti, infrastrutture, opere pubbliche, ha raggiunto soglie critiche anche in Italia, come risulta dall’ultimo report dell’Osservatorio Nimby Forum, promosso dal 2004 dall’associazione no profit Aris.

Le contestazioni in Italia riguardano molte tipologie di insediamenti industriali, compresi gli impianti a fonti rinnovabili come le centrali a biomasse o le piattaforme per l’estrazione di idrocarburi. Il quadro delle contestazioni dà la misura della paralisi che attraversa tutta l’Italia. Una paralisi che le aziende, i lavoratori e le Istituzioni non possono più permettersi e su cui è sempre più urgente intervenire, a partire dalla riforma dell’articolo V della Costituzione e dall’introduzione di meccanismi di autentico coinvolgimento dei territori, come il Dèbat Publìc.

Ma perché in Italia negli ultimi dieci anni si è assistiti ad un aumento così impetuoso della opposizione dei territori alle infrastrutture e alle opere?». La sostenibilità ambientale è difficile da raggiungere quando pensiamo alla complessa burocrazia da adempiere per ottenere i fondi europei. Se è importante salvaguardare l’ambiente del pianeta perché non agevolare il finanziamento degli impianti a basso impatto ambientale? Non devono essere richiesti controlli e pareri complessi che ostacolano e rallentano la loro realizzazione.

Può essere sufficiente adottare il buonsenso, forse non è di casa negli uffici dell’Unione europea. «Ogni anno l’Unione europea stanzia dei finanziamenti, a fondo perduto o con tasso agevolato, dedicati – commenta Massimiliano Casto, Tributarista e consulente del lavoro – alla sostenibilità dell’ambiente. Tantissime le richieste, ma purtroppo tantissime le difficoltà ad accedervi a causa dell’eccessiva burocrazia che facilita l’esclusione, rendendo difficoltosa la scelta di un bando adeguato alle garanzie che possono essere concesse.

Sebbene l’Ue abbia a ragione indicato il rilancio degli investimenti quale una delle azioni indispensabili per la salvaguardia dell’ambiente e quindi per la ripresa della crescita, la strada risulta ancora troppo irta di difficoltà. Molti governi non accedono ai bandi perché alle prese con il rispetto dei vincoli di bilancio imposti dalla stessa UE, mentre i privati devono preoccuparsi dell’asset quality rewiew e devono risolvere il problema delle elevate sofferenze.

Uno strumento nuovo di agevolazione sull’energia sostenibile per interventi sociali è stato avviato dalla Commissione Europea, utilizzando i fondi non spesi del Programma energetico europeo. Bellissima l’iniziativa, ma difficoltoso l’ottenimento del finanziamento. Infatti i progetti vengono ammessi al finanziamento agevolato in base a dei precisi criteri di selezione condotta in due fasi dalla Deutsche Bank: la prima (mediante screening) e la seconda (mediante due diligence).

I problemi dei privati risiedono nelle difficoltà di previsioni e nei metodi di calcolo, ovvero negli indicatori per misurare il raggiungimento di detti obiettivi di sostenibilità ambientale, oltre che nell’incapacità a prestare garanzie. Per il pubblico le difficoltà consistono invece nell’esplicitare obiettivi concreti, ovvero misurabili, volti alla mitigazione dei cambiamenti climatici così come nelle eventuali strategie pluriennali per perseguirli. Poi, la sottoscrizione del Patto dei Sindaci è vista dai selezionatori come un fattore positivo ma non sempre i sindaci sono in sintonia.
L’elemento chiave del buon esito della richiesta di un finanziamento comunitario in tema ambientale è il rapporto totale tra debito e capitale: se è al di sopra di un certo livello, il finanziamento allora non è fattibile».

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