La competizione fra le idee

Cosa scegliere? Quando si parla di competizione la domanda di riferimento è questa. Se la fanno i clienti quando devono acquistare, i migliori fornitori quando devono definire il proprio mercato e la politica dei prezzi, se la fanno i tanti media quando devono decidere di cosa parlare. Durante il Festival della Comunicazione si è indirettamente […]

Cosa scegliere? Quando si parla di competizione la domanda di riferimento è questa. Se la fanno i clienti quando devono acquistare, i migliori fornitori quando devono definire il proprio mercato e la politica dei prezzi, se la fanno i tanti media quando devono decidere di cosa parlare. Durante il Festival della Comunicazione si è indirettamente parlato tanto di competizione, perché si è parlato di storytelling e di come raccontarsi per farsi scegliere.

Partiamo dal fondo. Luca de Biase, ultimo relatore prima che l’allerta due in Liguria interrompesse la staffetta di pensieri, sabato sera ha fatto una riflessione che può sembrare banale, ma è soprattutto fondamentale: stando dentro a un racconto fai delle scelte e facendo delle scelte rendi reale quel racconto. Quello che scegliamo è connesso al senso di quello che vediamo: chi è più abile a fare emergere il senso di quello che fa, ha più possibilità di essere scelto. Questo vale per un prodotto, per un brand, per un progetto, per quell’idea alla base di un prodotto non ancora nato che deve farsi scegliere per essere finanziata. Se un mondo di senso ci convince, ci mettiamo tutti a lavorare per realizzarlo: parlandone, finanziandolo, regalandogli la nostra fiducia. In cambio abbiamo l’idea di far parte dell’innovazione, anche se, come sottolinea de Biase, l’innovazione non c’è finché non c’è l’adozione. Siamo però in un momento storico in cui non basta raccontare leggende e strutturare mondi artificiosi: chi ascolta è sempre meno ingenuo e prima di far percepire un mondo di senso bisogna costruirlo utilizzando non solo le parole ma anche l’organizzazione.

Annalisa Galardi propone un passaggio dallo storytelling allo storydoing, un termine per definire la coerenza fra comunicazione e azione. A Carlo Turati, che divide l’intervento con la Galardi, in realtà le leggende piacciono e mentre le racconta, si chiede se siano legate ai fatti: ma cosa c’è di male a far sopravvivere al tempo le grandi idee riportando i prodotti alla dimensione di progetto. L’abilità di Turati è di non annoiare perché oltre ad essere autore di narrazioni ne è ottimo interprete. Ha il segreto di utilizzare la formula giusta per far emergere la sua idea di storytelling in mezzo alle tante che hanno attraversato in questi giorni Camogli. Parte dalle parole e dalla loro competizione nel costruire la realtà. Ci sono parole (buzwords) che ci sommergono rischiando di perdere contenuto e di svuotarsi come palloncini: storytelling ne è oggi un ottimo esempio. Poi esistono parole che costruiscono un modello e sopravvivono in altre traduzioni. Il bootleg time è l’occasione per parlare della leggenda dello scotch, passare a quella del post it per arrivare al “tempo 20 per cento” offerto da Google per i progetti personali e alla nascita di Google Ads.

Il racconto è quello del dipendente eversivo, che s’intestardisce sulla sua idea contribuendo a una rivoluzione di prodotto che cambia per sempre e per tutti il modello di organizzazione dell’azienda: spazio alla partecipazione e alle passioni per i dipendenti. Quindi il bootleg time come strumento di competizione ma anche come formula di cambiamento organizzativo (l’idea emergente di smart work), a volte pericolosamente orientato a confondere spazi professionali e spazi privati, passione con volontariato; questo finché una contro-narrazione non metterà in competizione un altro mondo di senso, magari ridefinendo i confini di una vita in equilibrio. Fatto sta che come dice Turati ”Se un’idea è bella e non fa storia non fa strada”. Allora la competizione, il farsi scegliere ha un nuovo punto di partenza: Start with why, comincia dal perché. Possiamo pensare che a muovere la scelta sia il prezzo, ma se un concorrente racconta perché non può permettersi di sopravvivere sul mercato con quei prezzi a meno di non ridurre drasticamente i costi, magari facendo scelte non più in linea con valori condivisi dalla società alla quale si rivolge e che contribuisce a costruire, beh, la scelta davanti allo scaffale non è più così lineare.

Il racconto, come ci ha spiegato Andrea Fontana, estende le nostre identità fino a metterle in contatto. Come farsi scegliere? Per rispecchiamento ad esempio, come sa anche Papa Francesco, consigliato, rivela Fontana, da circa 300 consulenti: vederlo nel negozio di occhiali ad affrontare la sua fragilità di anziano in maniera semplice ce lo fa scegliere perché ci da l’idea che abbia un’umanità da condividere. I marchi diventano marcatori, diventano veicolatori di messaggi esistenziali. Essere competitivi significa allora, secondo la mia personale narrazione, essere consapevoli del proprio progetto e riuscire ad ampliare la propria identità trasformandola in un mondo di senso talmente accogliente da farci entrare più persone possibili.

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