La consapevolezza in azienda: quando usarla e perché

Michael Chaskalson, autore dell’importante volume The Mindful Workplace, in un suo recente messaggio segnala che nel mondo moderno non c’è mai stato così tanto interesse per la “consapevolezza” come nell’anno appena concluso. Questa moda è per molti aspetti positiva, ma nell’entusiasmo generale per la consapevolezza si rischia che le linee si confondano e che i termini […]

Michael Chaskalson, autore dell’importante volume The Mindful Workplace, in un suo recente messaggio segnala che nel mondo moderno non c’è mai stato così tanto interesse per la “consapevolezza” come nell’anno appena concluso.

Questa moda è per molti aspetti positiva, ma nell’entusiasmo generale per la consapevolezza si rischia che le linee si confondano e che i termini della discussione diventino vaghi. Si vede infatti una forte tendenza ad attaccare la parola “consapevolezza” a tutto ciò che potrebbe portare un po’ di calma o relax. Libri da colorare, maglieria, interior design; basta entrare in una grande libreria o in qualche e-commerce fornito per accorgersene.

Consapevolezza o mindfulness?

Oggi parliamo tanto di consapevolezza grazie alla rivoluzione che la mindfulness ha portato nel mondo occidentale dagli anni ‘80 (Time nel 2014 ne ha celebrato l’esplosione).

Il termine mindfulness deriva dalla parola sati, che in lingua pali significa appunto consapevolezza. Sembrerebbe che il termine mindfulness, nel senso in cui lo conosciamo noi oggi, venne utilizzato per la prima volta da Buddha oltre duemilacinquecento anni fa.

Secondo la definizione attuale di Jon Kabat-Zinn, mindfulness significa “porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante”. Questa definizione, che può sembrare molto generale, contiene tutti gli elementi presenti in quello che si intende per consapevolezza nella mindfulness.

Guardare la mente

La parola mindfulness, quindi, non significa solo calmarsi e rilassarsi un po’. Si tratta di essere più presenti e consapevoli di ciò che sta accadendo dentro e intorno a sé. Si tratta di imparare a guardare la mente, non solo attraverso essa. Quando si riesce a farlo anche solo un poco, le cose cambiano. Si diventa meno reattivi e si aprono spazi per seguire e perseguire le cose veramente importanti: è una pratica che favorisce la possibilità di essere costantemente in relazione con se stessi, sviluppando consapevolezza su come il proprio mondo interno sia in rapporto con l’esterno.

Uno degli elementi chiave è quello dell’accoglienza non giudicante di quello che c’è nel presente. Da questo punto di vista, possiamo dire che la mindfulness introduce elementi di straordinaria novità insegnando alle persone a entrare, stare in contatto e accogliere il presente momento dopo momento, aiutando le persone a interrompere il continuo richiamo del passato e la preoccupazione per il futuro che molto spesso impediscono di vivere le esperienze presenti.

L’essere mindful, però, implica qualcosa in più del semplice essere consapevoli: richiede di essere consapevoli dell’attività della propria mente risvegliandosi da quanto viene vissuto in modo automatico e riappropriandosi delle esperienze quotidiane, consapevoli di quello che ci accade.

Ma quindi a che cosa serve?

La pratica della mindfulness allena le persone a lavorare con la mente e gli stati mentali. Possiamo dire che l’aumento di consapevolezza di sé e del proprio funzionamento che ne derivano favorisce l’aumento della capacità di scelta e di azione.

Diversi studi hanno dimostrato che, dopo otto settimane di allenamento, vi è un aumento significativo della concentrazione di materia grigia nelle aree associate all’attenzione sostenuta e alla regolazione emotiva. Tale formazione aumenta anche l’attività nella corteccia prefrontale sinistra: un predittore di felicità e benessere.

Altri studi hanno dimostrato invece l’efficacia della pratica della mindfulness nell’affrontare stress, ansia e depressione, o anche problematiche come il dolore cronico. Per questi motivi possiamo dire che riuscire a prestare attenzione alle proprie esperienze interne aumenta la possibilità di mettere in atto comportamenti più flessibili, efficaci e guidati dai propri scopi e valori.

Come si sviluppa un percorso di mindfulness per i professionisti

Esistono diversi modi per sviluppare un percorso di mindfulness.

Il più studiato è il protocollo MBSR (Mindfulness Based Stress Reduction). È stato sviluppato da Jon Kabat-Zinn alla fine degli anni ’70 ed è in assoluto il programma più sperimentato e validato al mondo dal punto di vista scientifico.

Uscendo dalla giusta rigidità dei protocolli, nella mia esperienza con professionisti e aziende trovo che la formula più funzionale sia quella di approcciarsi alla mindfulness in cinque incontri di gruppo da un paio d’ore ciascuno, a distanza di una settimana circa l’uno dall’altro. A questi possono poi seguire incontri di richiamo circa una volta al mese.

I diversi percorsi solitamente hanno in comune la pratica di alcune meditazioni strutturate, come la meditazione del respiro – detta anche sitting meditation o meditazione seduta –, la meditazione del corpo, dei suoni, e molte altre. Ogni percorso di mindfulness include anche l’invito alla pratica informale come strumento per comprendere il valore della mindfulness e di introdurre consapevolezza nella propria vita.

Mindfulness sul lavoro e in azienda

Il primo beneficio sul lavoro riguarda sicuramente lo sviluppo della capacità di portare l’attenzione dove si desidera.

Lo stress è solitamente accompagnato da confusione mentale, rimuginio, preoccupazione e conseguente incapacità di mantenere l’attenzione sul presente e su ciò di cui ci si sta occupando. L’espressione “non ci sono con la testa” è emblematica, da questo punto di vista. La testa in realtà c’è. Purtroppo è persa in luoghi lontani.

Il lavoro con la mindfulness aiuta ad accorgersi, risvegliarsi e riportare l’attenzione dove effettivamente vogliamo che stia. Aumenta la consapevolezza dei propri stati mentali e di quelli degli altri sviluppando una maggiore capacità di accoglienza, apertura e rispetto riguardo se stessi e gli altri. Le ricerche mostrano come le persone che sono più abili a lavorare con la mente e gli stati mentali hanno prestazioni migliori, si rapportano meglio con se stessi, con i colleghi e i clienti.

Da un punto di vista interpersonale, la mindfulness aiuta a sviluppare maggior comprensione ed empatia. Lo sviluppo di un atteggiamento di curiosità, accettazione e accoglienza dei propri eventi interni favorisce la possibilità che questo avvenga anche verso gli altri. Le persone che seguono un percorso di mindfulness, di solito, riscontrano diversi vantaggi correlati alla loro vita professionale e personale:

  • migliorano la capacità di essere attenti (ad esempio riportano una maggior capacità di concentrarsi sui singoli compiti, in modo da affrontare le cose più efficacemente). Sono anche in grado di ricaricare le energie più facilmente quando sono sotto pressione;
  • hanno maggiore abilità di calmarsi quando ne sentono il bisogno;
  • aumentano la consapevolezza di sé e la consapevolezza degli altri;
  • migliorano la capacità di ascoltare attentamente e di comunicare in modo chiaro (con interessanti ricadute su colleghi e clienti e sull’efficacia nelle riunioni e nelle presentazioni);
  • aumentano la presenza emotiva e la capacità di entrare in sintonia con gli altri.

Quindi la mindfulness diminuisce lo stress?

Anche la consapevolezza va tenuta allenata, come se fosse un muscolo.

Ci sono alcune pratiche meditative che possono essere facilmente inserite nell’arco della giornata, anche più volte al giorno. Per esempio tra un appuntamento di lavoro e l’altro. Alcune ricerche mostrano come l’allenamento alla consapevolezza possa essere favorito da un appuntamento formale quotidiano di 20 minuti e da una pratica informale di attenzione al presente da portare avanti durante l’arco della giornata in diverse occasioni.

La diminuzione dello stress, poi, dipende soprattutto dal buon senso. Mi vengono in mente le parole di un collega, Riccardo Pignatti: “Quando siamo in macchina e si accende la spia della benzina abbiamo due possibilità: o spacchiamo la spia o ci fermiamo a fare benzina”. Per cominciare, quindi, è bene prestare attenzione alla nostra macchina, dando ogni tanto un’occhiata al cruscotto e scegliendo di fermarsi se la benzina sta per finire.

Photo by Antenna on Unsplash

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