La falloplastica aziendale contro il “complesso di Pollicino”

Da marchigiano sono cresciuto con la cultura del “piccolo è bello”, il capoluogo di Regione ha le dimensioni di un quartiere di Milano, il nostro territorio è costellato di tanti piccoli e piccolissimi paesi diventati oggetto del desiderio di innumerevoli stranieri, abitanti delle metropoli, che nelle Marche hanno fatto e fanno tutt’oggi continui investimenti immobiliari […]

Da marchigiano sono cresciuto con la cultura del “piccolo è bello”, il capoluogo di Regione ha le dimensioni di un quartiere di Milano, il nostro territorio è costellato di tanti piccoli e piccolissimi paesi diventati oggetto del desiderio di innumerevoli stranieri, abitanti delle metropoli, che nelle Marche hanno fatto e fanno tutt’oggi continui investimenti immobiliari nel nome di una qualità della vita che non hanno nella city.

L’Italia ci conosce per un modello imprenditoriale chiamato “modello marchigiano” tra le cui caratteristiche peculiari troviamo da sempre il culto del piccolo, della famiglia, dell’artigianalità che sono state per anni il cuore pulsante dell’economia regionale e che hanno garantito tassi di crescita cinesi e prosperità.

Poi la crisi ed improvvisamente tutto quello per cui si sono consumati fiumi di inchiostro, in testi persino accademici, sembra essere diventato carta straccia. Ci siamo svegliati con il complesso di Pollicino, solo che anziché guardarci dentro le mutande abbiamo iniziato a guardare dentro le aziende, anziché affidarci ad andrologi e sessuologi, ci siamo affidati a nuovi guru dell’economia che dall’alto della loro esperienza ci hanno consigliato fantomatiche operazioni di falloplastica aziendale.

L’imperativo è diventato aumentare di dimensioni, altrimenti non si esce dal vortice della crisi, non puoi più competere con il mondo; il celodurismo leghista è diventato il protagonista in azienda.

Peccato che, ad una attenta analisi, ci siamo accorti che la crisi ha colpito tutti, piccoli e grandi, non solo le Marche, non solo l’Italia ma il mondo intero; ci siamo accorti che è vero che le Marche per anni hanno avuto un modello imprenditoriale sbagliato ma non aveva nulla a che fare con le dimensioni.

Cambiare, il solito invito

L’errore principe commesso da tantissimi imprenditori è stato quello di voler costituire una sorta di sistema a piramide, dove al vertice si trovavano le poche grandi aziende e sotto di loro innumerevoli piccole e medie imprese cresciute nella loro ombra, spesso monoprodotto a scarso valore aggiunto e monocline; una volta andate in crisi le prime (quelle grandi intendo), il crollo della base della piramide è stato la diretta conseguenza al grido di “ho sempre fatto così, perché cambiare?”.

A proposito di cambiamento; siamo in presenza di un argomento tabù per la maggior parte delle persone, non parlo di banali cambiamenti (che anche in quelli, in realtà…), mi riferisco a quelli di dimensioni importanti (anche qui le dimensioni), quelli che possono dare impulso nuovo alla nostra vita, alla nostra professione, alla nostra azienda. In questi casi, toccare il tasto del cambiamento equivale ad infrangere i dogmi della nostra esistenza, modificare ciò che abbiamo sempre fatto diventa la scalata dell’Everest, uscire dalla zona di comfort (come diciamo noi coach) risulta una delle sette fatiche di Ercole.

Ci sono persone che, anche davanti all’evidenza, fanno finta di non vedere e tirano dritto per il loro binario, peccato che si tratti di un binario morto che prima o poi terminerà; altre in realtà si rendono conto di dover modificare la propria esistenza, sono quelle che vi dicono “basta, da domani si cambia” oppure “non è possibile continuare così, adesso la modifico io questa situazione”, poi li rivedete dopo un anno e le cose sono ancora esattamente quelle di prima. Perché?

Perché cambiare implica mettersi in discussione e a nessuno piace giudicarsi, cambiare significa chiudere una porta ed uscire da una stanza che ben conosciamo, nel bene e nel male, per entrare in un’altra di cui non sappiamo nulla. Questo ci frena, ci blocca, ci impaurisce.

Eppure, se non cambiamo, prima o poi saranno gli eventi a far sì che qualcosa cambi e quando accadrà non è detto che saranno esattamente come vogliamo noi; il cambiamento va governato, allora sì che è una grande opportunità per tutti, se invece lo subisci può anche distruggerti esattamente come per le aziende di cui abbiamo parlato.

Le dimensioni non allungano la vita di un’azienda, sono le persone

Riprendiamo il discorso sulle dimensioni, ti accorgi che non sono queste a decretare il successo o meno di un’impresa ma le idee, i prodotti e i servizi che l’azienda è in grado di sviluppare, produrre, erogare ed essere la discriminante per il successo o meno dell’impresa. Conta avere un sistema efficace finanziario che ti segua e sia disposto a credere in te e nella tua idea imprenditoriale, non solo a parole ma con i fatti. Conta il sapersi prendere cura (il famoso “care” americano) dei propri collaboratori per trasformarli da risorse umane a umane risorse della propria azienda, conta la voglia di imparare sempre e comunque da parte di tutta l’impresa dal vertice sino alla base.

Su questo argomento vale la pena scendere più in profondità; il politically correct che invade da tempo la penisola è permeato anche in azienda, ci sono testi, incontri promossi da associazioni di categoria e non, ricerche che certificano l’importanza delle persone in azienda, l’importanza di formarsi in modo continuo a tutti i livelli. Se parlate con la classe imprenditoriale presente a questi incontri o in occasioni informali (aperitivi, cene e pranzi di lavoro), tutti vi diranno che “le persone sono importanti, occorre avere persone propositive in azienda e non yes men”, peccato che se poi entrate in azienda – in particolare nelle PMI – notate subito che nessuno si occupa di risorse umane, al massimo sono prese in carico dall’amministrazione perché il personale in queste aziende è prima di tutto un “costo” e non una “risorsa”, la formazione se viene fatta è quella obbligatoria per legge e i collaboratori propositivi alla terza proposta diventano quantomeno “scomodi”.

Fortunatamente non tutte sono così, guarda caso le aziende di successo sono proprio quelle dove le persone sono risorse da curare e non solo un costo da sostenere; la crisi non ha aiutato, eppure è proprio in questi momenti che occorre serrare le fila partendo dalle persone. La seppur debole ripresa di questi ultimi tempi sta rilanciando questi argomenti e le aziende sono tornate ad investire sulle persone e questo fa ben sperare per il futuro.

Oggi si parla tanto di startup innovative; ebbene, dati di Infocamere relativi al secondo trimestre 2016 ci dicono che la media dei dipendenti per ogni startup è di 3,48 persone, non certo dimensioni da superdotati. Esistono comunque innumerevoli realtà che, nonostante le piccole dimensioni, hanno resistito alla crisi e anzi ne hanno colto l’opportunità per una ulteriore crescita.

La fobia delle dimensioni è un falso problema, inutile essere i Rocco Siffredi dell’imprenditoria se alla base non si hanno argomenti validi con cui conquistare il pubblico, in questo caso il mercato.

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