La libera professione non è poi così libera

Quando iniziai a svolgere la libera professione qualcuno mi disse: “Beato te, almeno tu sei libero e potrai fare quello che ti pare”. Insomma, vita facile. Gli credetti. Effettivamente, pensai, un libero professionista non ha capi, sceglie con chi lavorare, non deve rispondere a nessuno, non ha cartellini da timbrare, se vuole non mette sveglie […]

Quando iniziai a svolgere la libera professione qualcuno mi disse: “Beato te, almeno tu sei libero e potrai fare quello che ti pare”. Insomma, vita facile. Gli credetti. Effettivamente, pensai, un libero professionista non ha capi, sceglie con chi lavorare, non deve rispondere a nessuno, non ha cartellini da timbrare, se vuole non mette sveglie la mattina perché non deve chiedere il permesso a nessuno e, dulcis in fundo, non è costretto a chiedere le ferie ad agosto, quando nessuno lavora, i luoghi di villeggiatura strabordano di italiani stressati dall’organizzazione delle ferie e tutto costa il doppio. Che fortuna fare il libero professionista!

Gli esordi

Iniziai la mia attività. Ancora ricordo il momento in cui aprii la partita IVA all’Agenzia delle Entrate. Ero emozionato perché da quel momento non si scherzava più. Già sentivo il peso della responsabilità nei confronti dei clienti… che avrei dovuto cercare. Ero reduce da anni trascorsi come dipendente in una società di consulenza per la gestione delle risorse umane, quindi per prima cosa sistemai il mio profilo LinkedIn: foto nuova, CV in inglese e tutto quello che secondo me serviva.

Preparai le brochure e le feci stampare assieme ai biglietti da visita. Tutto homemade, come si direbbe oggi. Provvidi al check degli strumenti del commerciale: macchina? Celo… Telefono con abbonamento all inclusive? Celo… Contratto flat internet con compagnia sanguisuga? Celo… Elenco aziende da contattare? Celo… Vestito nuovo? Celo. Perfetto. Potevo iniziare.

Trascorsero i mesi. Macinai così tanti chilometri che il benzinaio mi invitò al battesimo di sua figlia. Consegnai brochure a chiunque. Ero sempre attaccato al telefonino, tanto che una sera, dopo la doccia, mi guardai allo specchio e mi parve di scorgere stampigliata sull’orecchio sinistro la marca del cellulare. La sera preparavo il lavoro del giorno dopo e crollavo a letto sfinito, verso mezzanotte, per svegliarmi il giorno dopo alle sei. Iniziai a odiare quella sveglia che, nel mio immaginario pre-libera professione, se solo avessi voluto avrei anche potuto non mettere per rimanere a letto, e che invece suonava anche il fine settimana, ma alle sette.

I primi frutti della libera professione

Fortunatamente il lavoro di marketing aziendale iniziò a dare i suoi frutti e i clienti arrivarono. Alcune ore di formazione, una collaborazione con un’agenzia, contatti con le aziende che poi si rivelarono fruttuosi dove mi presentavo puntuale all’ora stabilita dal cliente, il quale, si sa, ha impegni che si susseguono, e quindi lo devi blindare quando ha un buco per te.

Arrivare in orario non è una grande scelta. Meglio in anticipo di quindici minuti: vedi mai che si liberi prima e hai più tempo per la presentazione del report che hai preparato, rinunciando alle ore di sonno che già ti mancano. Non è mai successo. I quindici minuti – e spessissimo anche la prima mezz’ora del mio appuntamento – li ho sempre trascorsi in sala d’aspetto. Ma fa niente, l’importante è la soddisfazione personale, niente è più appagante dei complimenti del cliente, anche se ci sono voluti tre o quattro incontri andati in fumo per sopravvenute esigenze.

Non importa neppure se il cliente ti aveva chiesto un lavoro extra preventivo che gli hai fatto comunque, non perché “il cliente ha sempre ragione”, ma perché se non lo facevi il pagamento slittava al mese di mai dell’anno di poi. Eppure ero fiducioso, perché prima o poi avrei scelto con chi lavorare e certi individui non li avrei visti neppure con il binocolo. Fortunatamente quel momento arrivò, ma ci vollero anni, durante i quali i bocconi amari furono tanti. Però è tutta scuola, di quella dura ma formativa. Del resto devi sbattere la faccia per capire come evitare di romperti i denti.

Non è un paese per imprenditori

Trascorse il tempo e mi accorsi che la stanchezza aumentava. Forse era l’età che avanzava. Per provare il contrario mi misi a contare anche le ore di back office che comprendevano commercialista, banca, contatto con clienti e fornitori, redazione di preventivi, analisi dei dati relativi ai clienti potenziali e tutta una serie di incombenze alle quali, quando lavori da solo, devi assolvere, altrimenti finisce male. Mi resi subito conto che erano più di quelle di front office e quasi tutte dopo il tramonto.

Basta. Per conservare la sanità mentale avrei preso un dipendente. Inizialmente con uno stage, che con il progetto Garanzia Giovani in Friuli è piuttosto conveniente… per scoprire che ci voleva un consulente del lavoro per la busta paga, l’assicurazione infortuni, la copertura INAIL, i corsi antincendio e quelli sulla sicurezza, ovviamente sia per me che per lui, più tutto il resto che neppure ricordo. Costo complessivo per i sei mesi di stage? Quasi uno stipendio pieno… lordo, si intende.

Ero indeciso, quindi ogni dubbio venne dipanato dal commercialista, che mi disse “alla fine dovrai fare i conti con gli studi di settore, perché se hai uno stagista l’agenzia delle entrate si aspetta che tu fatturi di più”. A nulla valsero le mie obiezioni sul fatto che la produttività di una persona comunque la vedi dopo i sei mesi e in certi casi dopo un anno, del resto chi semina mica raccoglie subito, no? Non ci fu niente da fare. Sconfortato, non approfondii la questione e rinunciai allo stagista. Parafrasando il noto film, conclusi che “questo non è un Paese per imprenditori”.

Ora continuo a fare da solo. La sveglia suona sempre la mattina presto, gli incontri si susseguono, la figlia del benzinaio sta per finire le superiori e mi scelgo i clienti con cui lavorare. E le ferie non le faccio mai ad agosto… per ora.

 

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