Lavoro, no. Mestierì, sì

Il mondo rappresentato dalle canzoni deve, per sua stessa natura, essere concentrato in pochi minuti, ragione questa per cui diviene estremamente arduo rendere in musica la complessità e la poliedricità delle esistenze umane. Come i pastori e gli acquaioli del presepe, i protagonisti delle canzoni sono incatenati al particolare ruolo che i versi prevedono per loro. […]

Il mondo rappresentato dalle canzoni deve, per sua stessa natura, essere concentrato in pochi minuti, ragione questa per cui diviene estremamente arduo rendere in musica la complessità e la poliedricità delle esistenze umane. Come i pastori e gli acquaioli del presepe, i protagonisti delle canzoni sono incatenati al particolare ruolo che i versi prevedono per loro. Anche se possiamo supporre che tutti gli innamorati descritti dalle canzoni, studenti a parte, abbiano o stiano cercando un lavoro, la maggior parte degli autori sceglie di ignorarlo, lasciandolo di proposito fuori dalla descrizione che i protagonisti dei versi offrono di sé o dei loro interlocutori. La galleria delle canzoni sui mestieri è pressochè infinita, e questo excursus che segue non ha pretese di essere esaustivo, ma solo di segnare una serie di pietre miliari.

Nei pochi, pochissimi casi in cui il lavoro diventa il focus di quella microrappresentazione musicale che è la canzone, non c’è tempo per definire altro aspetto o carattere dei soggetti. L’occupazione diventa l’elemento totalizzante della loro identità: lavorare non è «ciò che si fa» ma, per estrema esigenza di sintesi «ciò che si è». Il Giovanni telegrafista di Enzo Jannacci sembra tutt’uno con la piccola stazione da dove trasmette, misurando il tempo della sua vita con «il cuore urgente» dei telegrammi che traduce in punti e linee a sincopato ritmo finchè, tra congratulazioni e condoglianze, scopre il dramma del matrimonio della sua amata Alba con un altro. Diverso registro Jannacci metterà sarà nella rarefatta e jazzata Vincenzina e la fabbrica, ritratto di una ragazza del sud che vive l’ingresso del mondo del lavoro come una sconosciuta opportunità di emancipazione e di progresso: ma in questo caso, a guidarci nell’interpretazione non sono tanto i versi, quanto i fotogrammi di Mario Monicelli di cui la canzone è colonna sonora.

“Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina il foulard non si mette più.
Una faccia davanti al cancello che si apre già”

Se l’identità dei protagonisti coincide sempre e solo con la loro attività, solo raramente le canzoni sui mestieri vogliono parlare proprio dei mestieri. Il Pescatore di Pierangelo Bertoli e Fiorella Mannoia è un uomo costretto ad assentarsi a lungo per un lavoro pericoloso e poco remunerativo che la moglie insoddisfatta tradisce con un amante più giovane per poi pentirsi di avergli augurato la morte, il carpentiere che costruisce croci di Maria nella bottega di un falegname serve a Fabrizio De André per introdurre la seconda parte del concept album La buona novella, che passa dal racconto dell’Annunciazione a quello della Passione. Quando i Dik Dik cantano Se io fossi un falegname rappresentano il mestiere di artigiano come un’attività umile e poco redditizia, inadatta a soddisfare le aspirazioni della protagonista femminile.

Quello dell’autotrasportatore è mestiere ingrato, fatto di lunghissime ore di riflessione e di soste significative. Accomunati ai musicisti dal lungo tempo passato lungo le strade, il guidatore di camion è una delle attività più cantate: accanto al Camionista del cantautore friulano Marco Anzovino, che dà voce ai pensieri che si accavallano nella mente del protagonista che sogna di tornare a casa dalla famiglia, c’è l’ Uomo camion di Paolo Conte, che promette amore a ritmo di una radiolina a transistor. Non solo stereotipi, quindi: ma nella storia del Festival di Sanremo, tuttavia, i camionisti entrano due volte, e sempre in relazione a storie d’amore mercenario da consumarsi fugacemente sulla strada, quello ambiguo delle Sorelle d’Italia di Dario Gai (1991), contro la quale a nulla serve la protesta di un’associazione di autotrasportatori) o, vent’anni dopo, quello solitario della Nanì di Pierdavide Carone e Lucio Dalla (2012). Il poco tempo a disposizione, ancora una volta, lascia che sia il luogo comune a prendere il sopravvento.

La copertina di «I baristi stagionali» di Edipo (2011)
La copertina di «I baristi stagionali» di Edipo (2011)

I TIR sono sullo sfondo di un’altra storia di lavoro, quello della ragazza dell’Autogrill di Francesco Guccini (1983), forse uno dei ritratti di donna più riusciti della canzone italiana, che lavora al bar di un’area di servizio una strada di provincia dove è riflessa un’America comprensibile solo dai dettagli (il “nichel” di mancia, la bibita da lei preparata, “birra chiara e 7-up”, così inusuale per le strade italiane). I baristi stagionali del bresciano Fausto Zanardelli, in arte Edipo (2011) sono invece dilettanti che «sbagliano dose del Campari» e usano il «farsi la stagione» come espediente per non dovere «pagare le ferie».

Gli insegnanti delle canzoni generalmente sono depositari di un’autorità reazionaria e ricca di contraddizioni: la Cara maestra di Luigi Tenco (1961), predicava uguaglianza ma permetteva agli studenti di restare seduti quando entrava in classe il bidello, mentre imponeva di alzarsi in piedi all’arrivo del direttore. La maestra di Tricarico, cantata nella famosa Io sono Francesco (2001), è causa di tutte le frustrazioni infantili del cantautore e diventa destinatario di una serie di epiteti liberatori. Nell’allegra Nicola fa il maestro di scuola (1972) gli Stormy Six lamentano, tra le righe, quanto superficiale possa essere la preparazione degli insegnanti, cui basta spiegare appena due parole, una delle quali, con esplicito riferimento al partito di maggioranza dell’epoca «comincia con la D e finice in C». L’autorità della divisa è due volte oggetto delle invettive degli Skiantos, che dopo il Carabiniere blues degli esordi se la prendono con la pignoleria di un particolare Vigile urbano (1992), che sfoga le sue frustrazioni contro i poveri automobilisti.

Il lavoro dell’impiegato di concetto è centrale nella Storia di un impiegato di Fabrizio De Andrè (1973), che prende le mosse nel momento in cui il protagonista, dalla «faccia usata dal buonsenso», fino a quel momento appagato e soddisfatto nel «contare i denti ai francobolli», acquista una pur confusa consapevolezza politica dopo le contestazioni del Sessantotto. A proposito di impiegati, la canzone dà però il meglio di sé quando si sposa con la satira. È La ballata di Fantozzi di Paolo Villaggio, colonna sonora dell’omonima pellicola, a raccontare la frustrazione del travet , l’ansia di timbrare in tempo il cartellino per non finire «crocifisso in sala mensa», il servilismo con i superiori, le rate per permettersi gli elettrodomestici e per gli status symbol dell’epoca, dalla roulotte alla moquette. L’alterità per il lavoro impiegatizio è rappresentata tangenzialmente anche nella surreale Hanno ucciso l’Uomo Ragno degli 883. In un mondo dove, simbolicamente, insieme a Spider-man muoiono i sogni della gioventù, la città diventa una novella metropoli alla Blade Runner, ma per le strade non comandano bande di picchiatori o orde di zombi, ma «gang di ragionieri in doppiopetto pieni di stress», nella visione giovanilistica e post-adolescenziale degli autori emblema per antonomasia del lavoro «adulto» al quale prima o poi gli ascoltatori degli 883 dovranno giocoforza arrendersi.

“Considerato che non sono un artista
e con le velleità non ci si vive
mi ritrovai con un lavoro vero
uno di quelli proprio senza glamour”

Sceglie lo stesso titolo dell’album di De Andrè la Storia di un impiegato dei Cani (2013), ma l’omaggio al cantautore genovese resta solo formale. Il protagonista confessa i numerosi attacchi di panico che lo assalgono corridoi dell’ufficio: qui il lavoro non è un punto di arrivo ma di passaggio, fase necessaria, dato che non è da tutti riuscire a mantenersi con le proprie – spesso velleitarie – aspirazioni artistiche. Una prospettiva magari disincantata e poco romantica, ma proprio per questo rara, tra chi scrive versi di musica leggera.

Playlist

  1. Enzo Jannacci – Giovanni telegrafista
  2. Enzo Jannacci – Vincenzina e la fabbrica
  3. Pierangelo Bertoli – Pescatore
  4. Fabrizio De André – Maria nella bottega di un falegname
  5. Dik Dik – Se io fossi un falegname
  6. Marco Anzovino – Camionista
  7. Paolo Conte – Uomo Camion
  8. Dario Gai – Sorelle d’Italia
  9. Pierdavide Carone feat. Lucio Dalla – Nanì
  10. Francesco Guccini – Autogrill
  11. Edipo – I baristi stagionali
  12. Luigi Tenco – Cara maestra
  13. Tricarico – Io sono Francesco
  14. Stormy Six – Nicola fa il maestro di scuola
  15. Skiantos – Vigile urbano
  16. Fabrizio De Andrè – La bomba in testa
  17. Paolo Villaggio – La ballata di Fantozzi
  18. 883 – Hanno ucciso l’Uomo Ragno
  19. I Cani – Storia di un impiegato

 

 

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