Lavoro pubblico e privato, figli di un dio minore

Se esistono due mondi davvero diversi tra loro questi sono i lavoratori, del pubblico e del privato. Uno fatto di tutele, flessibilità reale, stipendi che rincorrono il caro vita. L’altro essenzialmente di uno stipendio adeguato al mercato, contrattabile ma con una stabilità che trascende dai propri skills e che subisce le fluttuazioni del mercato. Il dipendente pubblico, […]

Se esistono due mondi davvero diversi tra loro questi sono i lavoratori, del pubblico e del privato. Uno fatto di tutele, flessibilità reale, stipendi che rincorrono il caro vita. L’altro essenzialmente di uno stipendio adeguato al mercato, contrattabile ma con una stabilità
che trascende dai propri skills e che subisce le fluttuazioni del mercato.

Il dipendente pubblico, però, invidia lo stipendio del privato, che gli rinfaccia le tutele contrattuali, la malattia, il licenziamento e un lavoro a vita.
Il lavoro è lavoro, ma qui nel bel paese la ricerca della felicità passa per la mortificazione – si legga flessibilità – del lavoro.
Il privato è stato massacrato in nome della flessibilità su modello statunitense, di cui però non abbiamo né economia, né tessuto sociale, né sistema di welfare.

I contratti di lavoro a confronto

La stratificazione legislativa di questi ultimi anni ha prodotto innumerevoli forme contrattuali che garantiscono flessibilità in entrata e uscita dal mercato, ma non la stabilità. Il sistema bancario italiano, non ritiene sufficiente un contratto di lavoro co.co.pro come garanzia per un mutuo prima casa. Ha ragione.

Un lavoratore a progetto, a contratto di formazione lavoro o a tempo indeterminato ma a tutele crescenti, il Jobs Act, come può programmare la vita se non ha certezze, che in Italia sono il lavoro e la casa?
Nel pubblico hanno la tanto agognata stabilità, ma a caro prezzo: carriere bloccate, mansionismo, stipendi non parametrati al costo della vita e non contrattabili, anzi bloccati con decreti degli ultimi tre governi. Il mutuo sì, ma pagato con stipendi bassi, grazie alla ultima riforma previdenziale, corrisponderanno pensioni basse.
Un effetto a lungo termine che deliberatamente si è deciso di insabbiare, anche per non scatenare chi alla pensione contributiva non ci arriverà per niente.

Erogazione dei servizi: cosa fa lo Stato

L’ufficio complicazioni del governo è sempre attivo, al di là del colore del partito, nel polverizzare le tutele dei lavoratori privati per rilanciare l’economia e nel maledire lo statuto dei lavoratori.
Invece di favorire una giusta osmosi tra tutele e retribuzioni in nome di un unico e giusto mondo nel lavoro, esso si impegna caparbiamente nell’alimentare quella guerra fra poveri, che alla fine ha come unico risultato quello di affossare l’economia grazie alla crisi dei consumi.
Il paradosso raggiunge il suo apice con l’outsorcing dei servizi non core, che da decenni è utilizzato dalle P.A. per una strategia di riduzione dei costi fissi, grazie ai tagli governativi alla spesa pubblica.

Non è core tutto quello che non caratterizza la produzione, in termini di beni e servizi, di un’azienda, e che quindi non produce un output percepito come valore dal cliente esterno.
Ci si è fatti prendere la mano. Un esercito di consulenti si aggira per le stanze della Pubblica amministrazione, dove dipendenti assunti e pagati per lo stesso lavoro incrociano le braccia, quando non fanno ostruzionismo.

Si legge ne Le esternalizzazioni nelle amministrazioni pubbliche  – Indagine sulla diffusione delle pratiche di outsourcing del Dipartimento della funzione pubblica, ufficio  per l’innovazione, delle pubbliche amministrazioni: “Quanto all’oggetto, l’affidamento di servizi interni (come le manutenzioni e i servizi ausiliari) è il più consolidato, ma si diffonde sempre più la prassi di cedere servizi finali (quali quelli socio-assistenziali) ed aumenta anche il numero delle amministrazioni che cedono servizi tradizionalmente amministrativi (e fra questi soprattutto quelli informatici, ma anche la gestione della contabilità).
Esistono ancora inadeguatezze e problemi nelle pratiche di esternalizzazione e le considerazioni finali del rapporto non mancano di sottolinearli. Nell’amministrazione italiana che cambia, però, non vi è dubbio che anche questo strumento sia ormai entrato nella cassetta degli attrezzi di chi, pazientemente, opera giorno per giorno alla modernizzazione del sistema.”

Succede che grazie alle esternalizzazioni di servizi spesso accade che dipendenti di aziende, di servizio o consulenze, private lavorino nel pubblico. Con orari diversi, paghe diverse, tutele diverse. Facendo lo stesso lavoro o anche di più.
Ma come può funzionare un ufficio gestito in simbiosi da quello che entra alle 7.30 ed esce alle 15.00 e da quello che ha un orario 9.00-17.00 è facile intuirlo. Da quello che considera il collaboratore un fannullone che a sua volta realizza di essere sottopagato per le stesse attività. È inevitabile l’arroccarsi sulle proprie posizioni, tanto la commessa c’è, le penali non le paga nessuno, i ritardi, gli allungamenti dei tempi di lavorazione rientrano nel gioco delle parti, e alla fine paga sempre il contribuente.

L’innovazione degli strumenti contrattuali

Paradossalmente una proposta concreta reale e realizzabile è stata rilanciata dalla CGIL in una conferenza stampa tenuta a piazza dei cinquecento a Roma il 18 gennaio. Il superamento dello Statuto dei lavoratori e l’unificazione dei contratti pubblici e privati. La Carta dei diritti universali del Lavoro.

Il nuovo Statuto vuole innovare gli strumenti contrattuali preservando quei diritti fondamentali che devono essere riconosciuti ed estesi a tutti, senza distinzione, indipendentemente dalla tipologia lavorativa o contrattuale, perché inderogabili e universali. “Parliamo all’insieme del mondo del lavoro – ha sottolineato Camusso -: ai lavoratori dipendenti, a tempo indeterminato o meno, pubblici e privati, ai precari in tutte le varie forme, e al mondo del lavoro autonomo. Non si è mai costruita una operazione con queste caratteristiche   e per questo la consideriamo una grande sfida di ricostruzione di un profilo di valore del lavoro”.

Diritti  che vanno dal compenso equo e proporzionato alla libertà di espressione, dal diritto alla sicurezza al  diritto al riposo, ma anche alle pari opportunità e alla formazione permanente, un aggiornamento costante  di saperi e competenze.
Per ricostruire un diritto del lavoro a tutela della parte più debole nel rapporto  di lavoro. La “sfida” che la Cgil lancia oggi, ha concluso il segretario generale, “è quella di proporre  il lavoro come punto di creazione della ricchezza del nostro Paese, ma anche come punto di vita dignitoso delle persone”.

Le disposizioni del Titolo I della presente legge si applicano a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori titolari di contratti di lavoro subordinato e di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazione coordinata e continuativa, pure se occasionali, intercorrenti con datori di lavoro o committenti privati e pubblici, nonché alle lavoratrici e lavoratori che effettuino prestazioni di lavoro in ragione di contratti di tipo associativo.
Le predette disposizioni si applicano altresì alle persone operanti nei luoghi di lavoro in esecuzione di relazioni giuridiche con i predetti datori, quali i tirocini di formazione e orientamento, le attività socialmente utili, o altre relazioni a queste assimilabili comunque denominate.

Che sia rivoluzionaria, innovativa ed efficace come la costituzione del 1947. Certo è che, se passando per le consultazioni interne CGIL la proposta di iniziativa popolare approdasse in Parlamento, nessuno ci può assicurare che questa poi non subisca stravolgimenti arbitrari, magari innescati da qualche corrente politica o qualche lobby influente. Il rischio di veder naufragare la riforma c’è, con il rischio poi di perdere anche quello conquistato con le dure lotte sindacali degli anni ’60 e ’70.

L’impegno delle rappresentanze sindacali

La CISL ha avuto da sempre un atteggiamento più disteso, preferendo il dialogo e la diplomazia nelle relazioni che il “muro contro muro”. Quindi non rischiare il tutto o niente, ma spingere per estendere le tutele del pubblico anche al settore privato graduatamene e agendo tramite la contrattazione senza inasprire le posizioni.  “Un moderno sistema di relazioni industriali. Per un modello di sviluppo fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro”. Gigi Petteni, sottolinea che la proposta “ è fatta di speranze e non di paure, per una contrattazione migliore che metta al centro la condizione dei lavoratori e un nuovo ruolo: meno subalterni e più protagonisti nelle imprese”.

“A Confindustria e a tutte le controparti imprenditoriali diciamo: confrontiamoci dialogando, non partiamo da chiusure perché il mercato del lavoro darà una spinta decisiva all’economia”, aggiunge il Segretario confederale Cisl. “Le polemiche non aiutano: evitiamo tutti di fare la fine dei capponi di Renzo (o di Renzi)”, conclude Petteni.

Una contrattazione più inclusiva si propone l’obiettivo di esercitare la rappresentanza e la tutela di tutte le forme contrattuali presenti nello stesso luogo di lavoro, superando le divisioni tra lavoro maggiormente tutelato e le forme più precarie, per affermare una effettiva parità di diritti ed una reale stabilità dell’occupazione. Le trasformazioni intervenute nei mercati e, conseguentemente, nei sistemi produttivi impongono, a questo proposito, una riconsiderazione della composizione quantitativa e qualitativa dei Ccnl. Occorre per questo, sulla base delle reali esigenze di tutela di specifiche realtà produttive, conseguire un processo di razionalizzazione e diminuzione dei contratti nazionali.

Che sia il superamento di modello di lavoro contro a favore di un modello per, e che da ultimo faccia da volano per uno sviluppo sociale più equo e solidale di quello che abbiamo strutturato fino ad ora.

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