Lavoro e vita privata: cosa dice la bilancia?

Probabilmente ad ognuno di noi è capitato almeno una misera volta di fermarsi a riflettere sul che cosa ci può rendere davvero felici o per lo meno sereni. Tale autoanalisi è la premessa indispensabile per trovare una soluzione a quell’insoddisfazione che, prima o poi, investe chiunque, perfino chi ha un lavoro che gli piace, che […]

Probabilmente ad ognuno di noi è capitato almeno una misera volta di fermarsi a riflettere sul che cosa ci può rendere davvero felici o per lo meno sereni.

Tale autoanalisi è la premessa indispensabile per trovare una soluzione a quell’insoddisfazione che, prima o poi, investe chiunque, perfino chi ha un lavoro che gli piace, che ha avuto la fortuna di sceglierlo o che lo gratifica. In un momento in cui avere un lavoro è un privilegio, ci ricordiamo che “anche i ricchi piangono” e che pertanto depressione, stress e fallimenti pubblici e/o privati sono sempre in agguato e possono colpire chiunque. E, per prevenire o reagire, ciascuno di noi deve imparare a vigilare sul proprio equilibrio con lo scopo d’ individuare modalità e strategie. Per riprendersi in tempo la vita o, come lo dicono all’americana, il proprio Work Life Balance.

Ma perché doversi affannare o preoccuparsi di trovare questo Santo Graal dell’equilibrio della vita privata con la propria attività lavorativa ?

Ci sono persone che sembrano supremamente felici solo quando lavorano, che rifiutano di andare in pensione e continuano ad essere attive e felici fino alla morte. Sicuramente hanno trovato il loro equilibrio proprio nel continuare a dedicare parte delle loro giornate al lavoro. Ma in realtà molto spesso in questi casi si sottintende una verità nascosta: essi non lavorano il 100% del tempo, sicuramente leggono, incontrano persone, si prendono cura di sé e della propria casa, organizzano il proprio tempo libero. Quindi si potrebbe dire che semplicemente hanno scelto di non smettere completamente di lavorare.

Paradossalmente, e qui riprendo alcuni dati della Oxford Economics, negli USA (ma come spesso accade anche in UE) , circa il 70% degli impiegati, infatti, lavora di gran lunga oltre l’orario normale e anche nei weekend; il 68% delle donne vorrebbe avere più tempo libero piuttosto che più soldi e, addirittura, l’80% degli uomini vorrebbe poter ridurre le proprie 50 ore di lavoro settimanale.
Desidèri che, però, non si traducono nella realtà e che degenerano molto spesso in frustrazione o peggio in alienazione dal mondo circostante.

L’assurdità di questo stato di fatto nonché modus operandi è che questo mondo “reale” di “workaholic” non traduce il proprio incessante lavorare in una produttività molto superiore a quella di altri contesti in cui si lavora meno (e molto spesso meglio). Questo perché un ambiente di lavoro, se caratterizzato da una certa alienazione e da lavoratori che si relazionano poco l’uno con l’altro, limitandosi a conversazioni brevi, su argomenti poco profondi, è destinato ad incidere negativamente sulla produttività dei singoli, inficiando anche la possibilità che quei “singoli” si sentano parte di un team e di un progetto.

Personalmente ritengo questo modo di pensare profondamente errato. Il lavoro e la vita privata sono parti fondanti della nostra esistenza, ovvio: per il nostro benessere psicofisico e per la riuscita del nostro percorso professionale è fondamentale conciliarli, farli convivere, trovare tempo e spazio per entrambi. L’obiettivo è spesso alla portata di mano, anche in situazioni apparentemente impossibili. Ci vuole coraggio, bisogna sapere guardare con lucidità alla propria vita in toto, sia personale che professionale e, se necessario, affrontare un percorso di cambiamento che molto probabilmente sarà lastricato di ostacoli e quindi di possibilità di errori, ma la vita stessa è un cammino ad ostacoli, dove il
primo molto probabilmente è di ricordarsi sempre che ognuno di noi ha un equilibrio tutto suo, diverso da quello degli altri.

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