Le tentazioni del Governo Renzi di intervenire nelle attività economiche

Questo è lo spazio dedicato al nostro contest. L’appuntamento è ogni quindici giorni: il vincitore del contest precedente darà il tema per quello successivo. Inoltre, l’autore dell’articolo vincitore sarà invitato a partecipare alla successiva riunione di redazione. Non resta che tirare fuori le vostre opinioni, commentate entro il 6 luglio in massimo 2.000 battute e […]

Questo è lo spazio dedicato al nostro contest. L’appuntamento è ogni quindici giorni: il vincitore del contest precedente darà il tema per quello successivo. Inoltre, l’autore dell’articolo vincitore sarà invitato a partecipare alla successiva riunione di redazione.

Non resta che tirare fuori le vostre opinioni, commentate entro il 6 luglio in massimo 2.000 battute e spedite tutto all’email: senzafiltro@fiordirisorse.eu

La vincitrice dello scorso numero è stata Francesca Parisi.  Ecco il tema che Francesca ha scelto per il prossimo numero: “È giusto che aziende private competano e si sostituiscano ai programmi pubblici?”

 

Dopo l’accordo su Cassa Depositi e Presiti, arrivato dopo un cambio di rotta di Renzi su discussioni durate settimane, resta probabilmente ancora in sospeso la domanda della Corte dei Conti che da mesi evidenziava la necessità di definire la nuova “mission industriale” della società pubblica che gestisce 250 miliardi di risparmi postali degli italiani: la Cassa è una banca o la longa manus del governo?

I nuovi vertici della Cassa Depositi e Prestiti farebbero bene a guardarsi dalla tentazione di sostituirsi ai privati, perché non si capisce a cosa serva un’istituzione pubblica che può fare solo le stesse cose che farebbe un investitore privato. L’intervento diretto dello Stato nell’attività economica è infatti giustificata solo in presenza di «fallimenti del mercato», cioè situazioni in cui il mercato, autonomamente, non riesce ad utilizzare le risorse in modo efficiente.

Tra gli altri obiettivi che riguardano il presente, lo Stato dovrebbe lasciare anche l’interesse verso le startup: il suo compito non è finanziare nuove idee. Per questo esistono investitori abbastanza bravi, ne abbiamo un esempio osservando quanto accade nella Silicon Valley. Compito dello Stato è  invece creare le condizioni per cui essi investano di più in Italia, ad esempio con norme che facilitino l’innovazione anziché proteggere le rendite che sono messe in pericolo da nuovi servizi e nuovi prodotti, esattamente come nel caso Uber.
Questo è un caso. Ma guardiamo anche all’altro, cioè al suo esatto opposto, ovvero quando le aziende private cominciano a competere con i programmi pubblici: non si tratta più solo di spazi vitali come il welfare, ma anche di quelli come le infrastrutture, i servizi, l’istruzione, la collocazione del lavoro e molti altri. Spesso si legge di progetti realizzati o realizzabili da parte delle imprese con cifre e tempi molto inferiori rispetto a quelli che impiegherebbe la macchina pubblica, raggiungendo risultati che richiederebbero appunto fondi smisurati e lunga burocrazia.

Sembrerebbe tutto molto conveniente, eppure se escludessimo la politica dal sociale, abbattessimo i monopoli di Stato e affidassimo tutto al mercato, cosa accadrebbe? Quali e in quanta misura perderemmo diritti e garanzie? Cosa si potrebbe fare per aggirare l’ostacolo dell’inefficienza della PA e trovare un buon compromesso con i servizi di cui i cittadini hanno bisogno e le risposte che arrivano dal privato? Ma, soprattutto, potrebbe essere questa una ricetta per uscire dalla famosa “crisi” che l’Italia attraversa da troppi anni?

 

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