L’emigrante e la miniera

Non è la fabbrica il luogo di lavoro che più volte è scenario nella musica leggera: troppo vicina, troppo familiare, troppo facilmente teatro di conflittualità a cui la canzonetta si avvicina raramente e con estrema cautela. C’è viceversa un altro luogo tanto lontano da essere nel contempo esotico quanto innocuo, o per meglio dire, le […]

Non è la fabbrica il luogo di lavoro che più volte è scenario nella musica leggera: troppo vicina, troppo familiare, troppo facilmente teatro di conflittualità a cui la canzonetta si avvicina raramente e con estrema cautela. C’è viceversa un altro luogo tanto lontano da essere nel contempo esotico quanto innocuo, o per meglio dire, le cui tragedie possono sfruttare tutti gli accenti del dramma, restituendo il pathos e facendo aggio sulla sofferenza dei lavoratori lontani senza trasformarsi e amplificare le paure e gli sforzi quotidiani: la miniera.

È datato 6 dicembre 1907 l’incidente di Monongah, nella West Virginia. Un’esplosione nella mniera di carbone della Fairmont Company innesca una reazione a catena che provoca un numero imprecisato di vittime: 362 secondo le stime della compagnia, quasi mille secondo successive ricerche documentale. Delle vittime, centosettanta sono italiane, quasi tutti provenienti dall’italia meridionale. Uno di essi, Giovanni Colarusso, ha appena dieci anni: nelle miniere sono spesso impiegati anche i bambini, in ragione della loro statura minuta che permette loro di infilarsi agevolmente nel poco spazio delle gallerie.

Più di vent’anni dopo, la tragedia è probabilmente fonte di ispirazione per Cesare Andrea Bixio e Bixio Cherubini, che in una delle loro composizioni più famose, il tango Miniera (1927) portata al successo da Daniele Serra, resa celebre da Luciano Virgili e Claudio Villa e interpretata da tanti altri, da Gigliola Cinquetti a Gianmaria Testa, fino a Simone Cristicchi, che l’ha inserita nello spettacolo di teatro canzone «Santa Fiora Social Club» insieme al coro dei minatori di Santa Fiora.

Si tratta di uno dei primi motivi a sfondo sociale, ambientato in un territorio lontano, dove « in ogni bettola messicana ballano tutti al suono dell’hawaiana». Il protagonista un «minatore bruno laggiù emigrato» impropriamente celebrato come «esiliato». Se l’esotismo è giustificato dal ritmo di tango, nella terza strofa la narrazione si fa drammatica e la miniera si rivela per il teatro della tragedia. Il minatore dal volto bruno, privo di una famiglia, si offre eroicamente di immolarsi per salvare i compagni. La canzone termina con un afflato triste, offrendo all’ascoltatore un inusuale, per l’epoca, spunto sulle difficili condizioni degli emigrati italiani.

Va l’emigrante ogn’or con la sua chimera
Lascia la vecchia terra, il suo casolare
E spesso la sua vita in una miniera

Non dissimile, ma dagli accenti poetici più moderni, è Una miniera dei New Trolls (1969), canzone che purtroppo ricorda altre tragedie che avevano coinvolto la comunità italiana all’estero, la più famosa delle quali, nel 1956, si era consumata nel complesso minerario belga di Marcinelle. L’aspetto esotico ed eroico scompare: il protagonista è un lavoratore che si rivolge alla sua famiglia. Ancora una volta struggente il contrasto tra la prima parte della canzone, dove la moglie del protagonista attende ogni sera il ritorno dell’amato con le sue mani «nere di fumo, bianche d’amore» e la seconda parte, dove l’uomo è coinvolto nell’esplosione.

paura, terrore,
sul viso caro
di chi spera
questa sera come tante
in un ritorno.

La miniera dei New Trolls è più vicina di quella di Bixio e Cherubini, non per la diversa distanza geografica ma per la tenerezza domestica espressa dai protagonisti: non più un eroe solitario in esilio ma una famiglia che ogni giorno teme per la vita dell’uomo, fino a vedere concretizzarsi la più grande delle sue paure.

Il tono è ancora diverso in La ragazza e la miniera di Francesco De Gregori, ultimo dei tanti lavoratori emigrati della galleria dei protagonisti del repertorio del «principe», dopo l’operaio di Pablo e il marinaio di L’abbigliamento di un fuochista: come quest’ultimo, anch’egli racconta la sua vita in una lettera alla madre. Gli emigrati di De Gregori sono in genere uomini soli, legati alla famiglia di origine da un mero scambio epistolare. Per il giovane protagonista, già pieno di rimpianti, la miniera è una seconda opportunità, e la sua vita lontana dal paese d’origine è allietata da una fanciulla che un giorno forse lo sposerà e da una vecchia canzone, che fa passare la tristezza di una vita la cui provvisorietà si può toccare con mano.

Dove tra la ragazza e la miniera apparentemente non c’è confine,
dove la vita è un lavoro a cottimo
e il cuore un cespuglio di spine

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