L’imperativo della trasparenza nella politica UE

Una maggior trasparenza delle proprie azioni e decisioni è al tempo stesso una necessità e un bisogno per ogni politico europeo. Quest’affermazione ci ricorda le sfide e i pericoli per chi fa il mestiere del parlamentare, tanto a livello nazionale che europeo, che sono insite proprio nel non saper ottemperare a questo principio, diventato oramai […]

Una maggior trasparenza delle proprie azioni e decisioni è al tempo stesso una necessità e un bisogno per ogni politico europeo. Quest’affermazione ci ricorda le sfide e i pericoli per chi fa il mestiere del parlamentare, tanto a livello nazionale che europeo, che sono insite proprio nel non saper ottemperare a questo principio, diventato oramai un vero e proprio imperativo professionale.

C’è una crescente attenzione da parte dell’opinione pubblica europea intorno ai principi della trasparenza e del divieto di conflitto di interessi con particolare riguardo alle attività svolte dagli europarlamentari e alle ragioni che giustificano il denaro speso o guadagnato nell’esercizio delle loro attività.

Le ONG e i gruppi di pressione a livello europeo, quali Corporate Europe Observatory, Friends of the Earth Europe e LobbyControl hanno sollevato più volte l’esistenza di conflitti di interesse in seno al Parlamento Europeo, mettendo in discussione la genuinità di alcune azioni politiche e il rispetto del mandato politico tout court.

Da un loro rapporto presentato pubblicamente era emerso che, ad esempio, a fronte di un certo importo mensile, la eurodeputata tedesca Birgit Collin-Langen (PPE), membro della Commissione europarlamentare per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare (ENVI), aveva introdotto alcuni emendamenti alla relazione “Emissions Trading Scheme” particolarmente favorevoli alla società RWE di cui era un membro del Consiglio di amministrazione.
Nonostante la eurodeputata tedesca abbia dichiarato che il suo incarico per la società non aveva mai compromesso il rispetto del suo mandato politico, Birgit Collin-Langen ha preferito lasciare il CdA per evitare “ogni apparenza di conflitto di interessi.” Eppure nel rapporto presentato non c’era stata alcuna indicazione che Collin-Langen avesse infranto la legge.

Altro caso è stato quello della europarlamentare francese Rachida Dati, ex ministro, accusata di conflitto di interessi da due ONG in seno alla Commissione Affari Economici e monetari e alla Commissione per l’Industria, la ricerca e l’energia per aver lavorato su temi quali l’armonizzazione delle politiche energetiche, il clima, le energie rinnovabili nel Mediterraneo, la tutela dei cittadini dai prezzi elevati dell’energia, il ruolo del gas in Europa e nel mercato interno, pur avendo un incarico presso Suez Gaz de France, la grande società di fornitura di gas e energia francese. Rachida Dati ha smentito affermando che non vi è stato “assolutamente alcun conflitto di interessi tra la mia attività di lavoro nel settore privato e il mandato come parlamentare europeo.”

Nel 2007, l’europarlamentare tedesco Rolf Linkohr è stato costretto a lasciare il suo seggio in Parlamento, dopo che non è riuscito a rispondere a una richiesta della Commissione di fornire i dettagli dei suoi rapporti con una società di lobby in ambito di energia.

Ha fatto grande scalpore lo scandalo cosiddetto “cash-for-emendaments” relativo al denaro ricevuto da alcuni parlamentari europei in cambio di emendamenti ad iniziative legislative. Dei parlamentari incriminati si è dimesso l’austriaco Ernst Stasser and Thaler, che è stato anche condannato al carcere, mentre l’eurodeputato della Romania Adrian Severin e l’eurodeputato spagnolo Pablo Zalba Bidegain hanno mantenuto il loro seggio in Parlamento.

La domanda legittima a questo punto è come possa coesistere il mandato di parlamentare con lo svolgimento di una attività di lavoro nel settore privato nello stesso ambito di azione dell’incarico politico senza che ciò non determini un potenziale conflitto.
A tal riguardo un eurodeputato francese ha dichiarato che “molti deputati lavorano per il settore privato, senza che ciò sia di per sé un problema.”

Viceversa, Corporate Europe Observatory afferma: “Noi non abbiamo la prova che il denaro ricevuto dai parlamentari europei direttamente proveniente da società o da gruppi di pressione abbia influito sulle loro decisioni e indotto a cambiare il modo di agire, ma il rischio sussiste e pertanto deve essere affrontato”.

ONG e gruppi di pressione chiedono alla politica e alle istituzioni europee controlli sempre più stretti e attenti sul conflitto di interesse degli europarlamentari e sulle presunte irregolarità, sostenendo che le norme attuali lasciano troppi margini di manovra agli interessi privati.
Anche le fonti di reddito dei parlamentari europei sono sotto i riflettori. Non a caso è stata istituita la Integrity Watch Platform quale strumento utile per verificare e monitorare il reddito dei parlamentari europei e le fonti della loro provenienza.

L’Organizzazione Corporate Europe Observatory sostiene che il fallimento del Parlamento Europeo nel rilevare eventuali errori nella dichiarazione finanziaria dei suoi membri è sintomo di supervisione scadente dell’istituzione e di un mancato rispetto del codice di condotta interno.
Proprio a seguito dello scandalo cash-for-emendaments, nel 2011, è stato istituito un comitato consultivo e adottato il codice di condotta.
L’articolo 3.3 del codice di condotta Parlamento Europeo stabilisce che “un conflitto di interessi esiste dove un deputato al Parlamento europeo abbia un interesse personale che potrebbe influenzare indebitamente la prestazione delle sue funzioni. Ogni deputato che ritiene di avere un conflitto di interessi adotta immediatamente le misure necessarie per affrontare il problema, nel rispetto dei principi e delle disposizioni del presente codice di condotta”.

Il comitato consultivo che sovrintende l’etica dei parlamentari esamina i casi e può adottare sanzioni nei confronti dei membri del Parlamento. Le sanzioni che potrebbero essere prese in considerazione sono da applicarsi in maniera crescente rispetto alla rilevanza dei fatti commessi, il rimprovero da parte del Presidente, la sospensione dell’indennità giornaliera (da 2 a 10 giorni) e, infine, la sospensione delle attività parlamentari.

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