L’impiegato del buonumore sta di casa a Striscia

Ho versato il primo contributo Enpals nel 1984 quando – quindicenne – giravo i teatri italiani appresso a Gigi Proietti; dieci anni dopo ero un cabarettista, appena laureato in Scienze Politiche (con tesi sul cabaret come tecnica di satira politica), militante in un programma TV comico toscano oggetto di culto. Ben più di dieci anni […]

Ho versato il primo contributo Enpals nel 1984 quando – quindicenne – giravo i teatri italiani appresso a Gigi Proietti; dieci anni dopo ero un cabarettista, appena laureato in Scienze Politiche (con tesi sul cabaret come tecnica di satira politica), militante in un programma TV comico toscano oggetto di culto.

Ben più di dieci anni dopo – dunque con già venti anni di piazze, sagre, convention, concorsi di bellezza (non come partecipante, ma come presentatore, specifichiamo), provini, marchette, tv locali e nazionali, fregature sulle spalle – l’usura di questo lavoro si faceva già sentire. L’etichetta di “nuovo talento” aveva lasciato il passo a quella del “bravo che però non sfonda”; del resto molti dei colleghi con cui ero partito – Conti, Pieraccioni, Panariello – erano già “arrivati” e la gente per strada mi diceva: «Peccato perché anche te eri bravo». Quell’imperfetto già mi prepensionava, pur essendo ancora giovanissimo. Insomma, se nel settembre 2004 non fosse arrivata la chiamata di Striscia, io di lì a poco avrei smesso.

Sì certo, sei mesi prima era uscito il volume che, col senno di poi, mi avrebbe fatto svoltare: era la raccolta degli striscioni più esilaranti degli stadi italiani. Un’antica passione per il tifo sfociata prima in una vasta collezione di foto e infine nello spunto per un libro; idea proposta inutilmente a tutte le major editrici fino a quando Gino & Michele — i genitori di Zelig — decisero di pubblicarla, definendo la mia antologia “le formiche* del calcio”.

Sei ristampe, trecentomila copie, una recensione di Aldo Grasso in prima pagina del Corriere, un provvidenziale Costanzo Show, per alcune settimane “Giulietta è ‘na zoccola” (sic!) fu persino più venduto di Dan Brown. Ma nonostante il successo editoriale, dal punto di vista strettamente artistico, continuava a succedere poco. Prima dell’estate avevo proposto ai quattro venti il logico spin-off televisivo del libro ma inutilmente: i programmi che storicamente si occupavano di calcio stavano ripartendo e tutti senza nemmeno avermi dato un feedback.

Con Striscia non mi ero fatto avanti per un duplice motivo. Il primo è che ero già “rimbalzato” un paio di volte: avevo mostrato due idee, a mio avviso molto forti, a colui che poi — ironia della sorte — sarebbe diventato il mio autore, il quale non terminò neanche di vedere questi brevi numeri zero. Il secondo è che storicamente Striscia la Notizia non si era mai occupata di calcio “e un motivo ci sarà”, mi dicevo.

In effetti c’era, ma forse giocava a mio favore: banalmente non era stato mai trovato un modo giusto per parlare di pallone che fosse consono al linguaggio del programma. Finalmente furono loro a cercarmi. Mi trovarono — forse non a caso — impegnato in uno dei momenti più bassi della mia carriera: la domanda: “secondo te si può tirare fuori una rubrica che abbia lo spirito del libro?” mi fu posta infatti mentre ero a Vietri sul Mare, ingaggiato come comico a un matrimonio.

I primi tempi, il mio servizio del lunedì durava sì e no due minuti — contro gli oltre sei di oggi — ed era composto da una mera carrellata di striscioni. Ho dovuto faticare per riuscire a imporre anche le sconclusionate interviste ai passanti fuori dagli stadi; il botta e risposta coi tifosi era un meccanismo collaudato con successo per anni in un programma sportivo toscano e, se è vero che in seguito le gag on the road avrebbero  contraddistinto i miei pezzi al pari della goliardia da curva, è anche vero che a Striscia, sulle prime, non ne volevano sapere.

Il crescente successo e i discutibili divieti – arrivati sull’onda emotiva di pesanti fatti di cronaca e causanti un’assurda lotta agli strumenti “positivi” di tifo: tamburi, coreografie e striscioni, appunto – portarono la rubrica da un lato alla sua espansione temporale e dall’altro al variegarsi dei contenuti. L’integrazione con simulazioni, “gufate”, curiosità e strafalcioni pallonari comportò un necessario allargamento della squadra, fin lì composta soltanto da me.

Striscia, la redazione più grande d’Italia

Si dice spesso che Striscia ha la redazione più ampia d’Italia ed è vero: il programma vive di segnalazioni e specialmente al giorno d’oggi, coi telefonini, chiunque può trasformarsi in reporter occasionale. Credo però che pochissimi conoscano tutti i dettagli che portano alla messa in onda di un servizio come “Striscia lo striscione”.

Da una decina di anni sono affiancato da Andrea e Francesco, le mie “pupille”: mentre io nei weekend sono fisicamente fuori dagli stadi (e sottolineo il “fuori” per replicare a tutti coloro che mi dicono: «Beato te, chissà quante partite ti vedi…»: nessuna!): loro monitorano partite principali, programmi sportivi e social network in cerca di spunti comici.

A monte dei collaboratori personali, da sempre, c’è lo stoico avamposto di Sos Gabibbo: cinque persone attive sette giorni su sette per tutto l’anno, che smistano ai vari autori, inviati, collaboratori, le centinaia di segnalazioni giunte via e-mail o via Facebook (tuttavia continua ad arrivare ancora qualche fax!). Qui parte una prima valutazione: se reputo interessante un’imbeccata – ad esempio: “Guarda che tuffo fa Neymar al 22° di Barcelona-Valencia sul canale xy”), chiedo ai Gabibbi di catturarmi la sequenza in questione e di caricarmela in un server al quale posso accedere anche da casa. È lo stesso contenitore che riempiono i miei due boys coi “tagli” che reputano più efficaci.

“Quanto ci metti per fare un tuo servizio?”

Una certa ritrosia nel delegare e la tendenza a visionare quasi tutto, fanno sì che la domenica la mia cartella trabocchi di spezzoni. Se non sono troppo bollito dalla trasferta, inizio a scremare il mare magnum già la sera stessa, anche perché il lunedì la messa in onda non aspetta.

Dopo un paio d’ore di diretta in radio tanto per scaldarsi, alle 9.15 sono in sala montaggio: scaletto ciò che ho girato in esterna, proseguo la selezione dei vari input ricevuti mentre un’agenzia fotografica mi manda gli scatti più curiosi dagli stadi. Comincio così a “stendere” le cose più pregnanti, fino a ottenere un semi-lavorato di una decina di minuti. È lì che entra in gioco il mio autore – ogni inviato ne ha uno di riferimento – nel mio caso è Dario che aiuta a dare la sfrondata finale, a scrivere le battute delle varie sequenze, a distillare cioè la versione definitiva del servizio che a quel punto dovrò stampare, speakerare, sonorizzare con musiche ed effetti in un adrenalinico countdown. In caso di (rare) controversie, la “cassazione” è Antonio Ricci in persona.

Ora si capirà perché è complicato rispondere esattamente alla domanda: “Quanto ci metti per fare un tuo servizio?”. Il calcio moderno prevede partite tutti i giorni, i social annullano certe distanze e proprio per questo moltiplicano le segnalazioni in entrata e ogni soffiata — lo ricordo — va rintracciata, verificata e soppesata. L’enorme audience di Striscia mi ha reso estremamente popolare e mi costringe a una performance continua, per essere costantemente all’altezza tanto delle curve d’ascolto ottenute in questi anni in tv, quanto delle aspettative della gente comune nella vita privata, fino a sentirmi talvolta una sorta di impiegato del buonumore. Un’esposizione video e una penetrazione talmente potenti da aver pressoché “asfaltato” il mio peraltro non scarno curriculum precedente.

Nonostante la declinazione che ne fa la mia rubrica, poi, il calcio resta uno sport divisivo, ciò implica una capillare attenzione nel bilanciamento dell’ironia, sia nel confezionare il pezzo, sia nella vita comune, sia nella jungla dei social, dove calpestare una cacca – anche se trattasi di cacche web – è un attimo. Partite della Nazionale e Sanremo esclusi, l’essere da anni il punto più visto della TV comporta onori e oneri: questi ultimi fanno parte del pacchetto, cosicché non trascorrere da anni un weekend con moglie e figli continua a sembrarmi normale e pesa più che altro a loro.

Del resto sono ampiamente ripagato: non solo dai record, che restano allori vagamente immateriali, ma dall’essere benvoluto ovunque e da chiunque, persino da una galassia composita come gli ultras; dall’aver comunque creato una rubrica originale pur esistendo già altri programmi che trattavano il calcio col sorriso; ma soprattutto dal grande e non diffuso privilegio di aver fatto delle mie due grandi passioni, il tifo e la comicità, una vera professione.

 

* Le formiche nel loro piccolo s’incazzano (Torino, Einaudi, 1991) è il primo fortunatissimo volume, nel quale Gino e Michele, con Matteo Molinari, raccolsero le battute più belle del mondo.

(Photo credits: Sorrisi e Canzoni TV)

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