L’innovazione deve avere le carte in regola

Se è vero che per gli uomini delle caverne l’obiettivo primario era la pura e semplice sopravvivenza, sempre minacciati dalle intemperie, dagli animali feroci e dalle enormi difficoltà nel procurarsi cibo e vestiario, è altrettanto vero che migliorare le loro condizioni di vita fu la ragione che li spinse ad inventare ogni giorno qualcosa di […]

Se è vero che per gli uomini delle caverne l’obiettivo primario era la pura e semplice sopravvivenza, sempre minacciati dalle intemperie, dagli animali feroci e dalle enormi difficoltà nel procurarsi cibo e vestiario, è altrettanto vero che migliorare le loro condizioni di vita fu la ragione che li spinse ad inventare ogni giorno qualcosa di utile: fu così che scoprirono il fuoco, costruirono il primo rudimentale arco, e idearono la ruota.
I nostri antenati non conoscevano certo la parola innovazione ma furono i primi a comprenderne l’importanza e a realizzarla, senza però il pericolo di distruggere un passato che ancora non esisteva.
Non credo quindi che l’invenzione della ruota o del fuoco abbia creato dubbi e scetticismo tra i cavernicoli o abbia addirittura trovato oppositori che temevano i pericoli che potevano derivare dal loro uso, come invece è avvenuto più e più volte nel corso della storia e ancora avviene nel mondo di oggi.
Chi non ricorda gli operai tessili inglesi che nei primi anni della rivoluzione industriale distruggevano i telai meccanici che pensavano avrebbero tolto loro il lavoro? E ancora oggi gli operai delle grandi industrie non sono forse tentati di fare altrettanto con i robot che potenzialmente potrebbero sostituirli nelle obsolete catene di montaggio?

Trump e il ritorno al carbone

Sono solo alcuni esempi delle numerosissime situazioni simili che troveremmo continuando questo viaggio nella storia.
Ma a volte non serve nemmeno volgere indietro lo sguardo: solo poche ore fa l’amministrazione Trump, con un clamoroso passo indietro, ha rinnegato l’accordo sul clima firmato a Parigi insieme ad altri 150 stati per favorire, a suo dire, le aziende e l’economia americana, arrivando ad ipotizzare persino un ritorno al carbone. Contro di lui ha immediatamente tuonato il governatore della California Arnold Schwarzenegger, paladino delle energie alternative, che lo ha accusato di voler distruggere il progresso e di contrastare l’attuale benefica rivoluzione verde, dimenticando che il primo obiettivo di un capo di stato è quello di proteggere il popolo che oggi muore a causa di ogni tipo di inquinamento: da quello dell’aria, a quello dell’acqua, a quello acustico.
C’è addirittura chi sostiene che la fine dell’era petrolifera avrebbe, dal punto di vista dell’innovazione, lo stesso effetto – ed impulso – della citata invenzione della ruota, consegnandoci ad una nuova era di grande prosperità.
Il progresso non solo non è sempre un nemico ma spesso può essere il migliore alleato di chi sa utilizzarlo al meglio.
Accadde con la guerra tra i piccoli negozi ed i grandi centri commerciali che qualche decennio fa cominciavano a fiorire dove i più illuminati e coraggiosi intravidero nella novità una opportunità unica spostando il loro negozio nelle gallerie dei centri stessi, sfruttando come perfetti judoka la forza degli avversari per ottenerne un beneficio. Oggi va in scena la versione 2.0 che vede in contesa i centri commerciali con le vendite on line.

La storia si ripete

Ma la storia è sempre la stessa e purtroppo si ripete senza insegnare granché.
Ma quali sono le regole per un’innovazione sana, consapevole e sostenibile che porti progresso e beneficio? Di cosa bisogna tenere conto? Di certo non è un’opzione cancellare il passato e guardare solo avanti, come nel mondo immaginato da Aldous Huxley nel suo “Brave New World”, dove il passato era stato del tutto cancellato in nome della stabilità della società, considerata come la condizione più desiderabile ma ottenuta attraverso il condizionamento degli individui con metodi scientifici del tutto immorali ma ritenuti necessari e quindi accettabili.

E allora che fare? Osare e perseverare in primis, seguendo l’esempio dei creatori di Skype che qualche decennio fa decisero di sfidare i big delle telecomunicazioni mondiali. Nonostante già nei primi anni Duemila Beppe Grillo ne parlasse nei suoi spettacoli facendo telefonare dal vivo gli spettatori a parenti ed amici dall’altra parte del mondo a costo zero, il cammino è stato lungo e periglioso. Solo da poco, infatti, Skype è divenuto uno strumento utilizzato dalla massa di internauti.

In secondo luogo non può mancare la capacità di accettare il fallimento e trasformarlo in lezione per migliorarsi continuamente: è la storia di un farmacista statunitense, il dottor John Stith Pemberton che l’8 maggio 1886 ad Atlanta, Georgia, brevettò un rimedio contro il mal di testa e l’astenia. Ma quel farmaco non ebbe successo ed il dottore vendette il brevetto. Nel 1919 l’industriale che aveva intravisto il potenziale del prodotto quotò in borsa la società che aveva lo stesso nome del prodotto: la Coca Cola Company.

Infine deve essere estremamente curata la comunicazione: purtroppo a volte la sola innovazione non è sufficiente e in azienda, come nel mondo della politica, molti progetti innovativi falliscono perché comunicati male, creando un terreno fertile per le obiezioni, figlie dell’istinto così umano di non abbandonare ciò che è noto per proiettarsi nell’ignoto. Quanti progetti aziendali non si riescono a realizzare perché i dipendenti, poco e male informati, li osteggiano con atteggiamenti poco collaborativi? Troppi, sempre troppi.

 

(Photo credits: unsplash.com/Samantha Sophia)

CONDIVIDI

Leggi anche

L’essenziale è ancora invisibile agli occhi?

Nel vocabolario la parola “essenziale” è definita “costitutiva dell’essenza, indispensabile”. Trascurando le altre accezioni, ad esempio nella moda o nel design, dove è sinonimo di sobrietà, la definizione parrebbe esaustiva e con poche possibilità di fraintendimento. Qualche dubbio però ci è sorto, negli ultimi mesi, quando questo aggettivo qualificativo è stato via via associato a […]

Seconda generazione: fratelli al 100%?

Perché chiudo l’azienda di famiglia? I miei figli non la vogliono. Con questo titolo il compianto Giuseppe Bortolussi presentava il paradosso del passaggio generazionale in Veneto nel Settembre del 2012, ancora nel pieno della grande crisi scoppiata nel 2008. Dall’essere un onore, una fortunata predestinazione, acquisire l’impresa di famiglia stava diventando un onere, un peso […]