Metti la mindfulness in work review

Sentirsi costantemente a proprio agio sul posto di lavoro può essere una sfida difficile. Il lavoro è stressante, non ha regole certe, può essere ingiusto. Soprattutto, nonostante l’impegno e gli sforzi, non è possibile controllarne ogni aspetto. Tuttavia, esaminando il lavoro da vicino e con onestà, si può riconoscere la vera natura della sfida affrontata […]

Sentirsi costantemente a proprio agio sul posto di lavoro può essere una sfida difficile. Il lavoro è stressante, non ha regole certe, può essere ingiusto. Soprattutto, nonostante l’impegno e gli sforzi, non è possibile controllarne ogni aspetto.

Tuttavia, esaminando il lavoro da vicino e con onestà, si può riconoscere la vera natura della sfida affrontata ogni giorno. Le difficoltà ci chiedono di rallentare e di prestare maggiore attenzione. Ma spesso, invece di rispondere con l’attenzione che la situazione richiede, si oppone resistenza. Si mettono paletti alla disponibilità, si reagisce con ostilità al commento di un collega, si smette di collaborare. Da questa resistenza nasce la frustrazione. Quando il livello di stress sale e ci si sente minacciati, si prendono decisioni condizionate da questo sentimento di fragilità. “People are unmoored”, asserisce Daniel Goleman, esperto di intelligenza emotiva e autore di diversi libri sull’argomento. “Le persone sono disancorate”. Ma disancorate da cosa?

Dal momento presente. Siamo incapaci di ancorarci al nostro “qui e ora” lavorativo.

Proprio qui, proprio adesso

Se ci prendiamo un momento per rallentare e riflettere sulle circostanze del lavoro, avremo l’opportunità di riconoscere che esso invita continuamente ad aiutare, ascoltare, connettersi. Incoraggia a essere impegnati, vivi e intraprendenti: proprio qui, proprio adesso.

Goleman, nel suo lavoro più recente sugli effetti benefici della meditazione, descrive il benessere come un “attivo, vigile, vibrante stato di aperta attenzione”. Il guru della psicologia positiva, Martin Seligman, lo descrive come flourishing – una immagine di rigoglio umano e piena fioritura spirituale.

Ma esiste un caso economico legato al benessere – anche spirituale – sul lavoro. Secondo una ricerca effettuata da Gallup nel 2015, il benessere consente all’azienda di trarre maggiori vantaggi dal coinvolgimento dei dipendenti (engagement). Secondo questo studio, i fattori chiave che influenzano la performance sono proprio il coinvolgimento e il benessere. A questo fine è stata impiegata una definizione di benessere che comprende cinque elementi essenziali e interrelati: significato personale, dimensione sociale, sicurezza economica, senso di appartenenza e salute fisica.

I ricercatori hanno comparato i lavoratori con alti livelli di benessere in tutti i cinque fattori, con altri che registravano buoni livelli in tre o meno di questi, e hanno scoperto che: le persone motivate, che registrano anche alti livelli di benessere in almeno 4 su 5, avrebbero il 27% di probabilità in più di dare una performance eccellente e il 45% di probabilità in più mostrerebbero alti livelli di adattabilità al cambiamento.

Anche l’impatto sul costo crudo del personale è risultato formidabile. Riguardo ai lavoratori con alti livelli di benessere, si è rilevato il 59% in meno di probabilità che cerchino lavoro altrove nei successivi 12 mesi, e il 30% di probabilità in più che non perdano alcun giorno di lavoro per scarsa salute, in qualsiasi mese, facendo il 70% in meno di assenze durante il corso dell’anno.

Coltivare il benessere in work review

I leader d’impresa possono fare una differenza sostanziale includendo principi di benessere nei programmi di engagement dell’azienda. Si potrebbe incoraggiare la partecipazione a iniziative apposite fin dal momento in cui si settano le reciproche aspettative sul lavoro. Non sarebbe rivoluzionario riconoscere i lavoratori per i loro risultati anche riguardo al benessere organizzativo? È quanto già accade in alcune aziende di successo. Esatto: sto suggerendo di includere il goal-setting del benessere nelle work review. 

Nella ricerca del benessere in azienda deve esserci una condivisione di responsabilità, a prescindere dal ruolo. Che reazione avrebbe un dipendente se il suo manager gli chiedesse: “C’è un aspetto del tuo benessere che posso supportare?”.

Tuttavia, sostiene la professoressa Sarah Stewart-Brown della UK NHS, “nessuno può darti benessere, sei tu che devi agire in tal senso”. L’unico modo per ottenerlo è costruirlo dentro di sé.

Come possiamo assumerci la responsabilità del nostro benessere? Daniel Goleman suggerisce che “possiamo iniziare questo processo allenando la nostra mente. La mindfulness costituisce un allenamento potente per darci maggior controllo sulla nostra attenzione”. Con questo training mentale si ottiene una maggiore abilità di focalizzarsi su ciò che si desidera. “Quando facciamo pratica, reindirizzando coscientemente la nostra attenzione”, aggiunge Goleman, “questo ci dà un maggiore controllo, che ci consente di sentirci meno vulnerabili alle sollecitazioni esterne, così il benessere cresce, e lo stress, la frustrazione e l’aggressività diminuiscono”.

La mindfulness in azienda

Già nel 2009, al termine di un percorso sperimentale di training di mindfulness presso l’azienda Davines di Parma, si è riusciti a quantificare alcuni effetti positivi della pratica. La ricerca, svolta somministrando il test MHQ (Minnesota Hospital Questionnaire), ha evidenziato nei lavoratori che avevano praticato mindfulness per otto settimane:

  • una diminuzione del 31,03% della somatizzazione (trasferimento a livello somatico di disturbi psichici);
  • una diminuzione del 31,25% della depressione (tristezza, calo di interesse, rallentamento dei processi mentali);
  • una diminuzione del 27,59% delle isterie (influenzabilità, eccessi emozionali);
  • un aumento del 21,13% della positività e del benessere.

Gli effetti positivi della pratica si moltiplicano se associati a un apprendimento nel campo dell’intelligenza emotiva, e a loro volta ne innalzano i livelli.

Attenzione ed emozioni

Sempre Goleman afferma: “Quando parliamo di regolare l’attenzione per creare più scelta, stiamo anche parlando di emozioni”.

Attenzione ed emozioni sono interconnesse nel cervello. Sono le emozioni che determinano cosa è più importante per noi, dove troviamo il nostro significato personale per ciò che facciamo. Ecco perché, per dare un senso al lavoro, occorre coinvolgere le emozioni.

Rallentare e osservarsi consente di chiedersi cosa sta accadendo dentro di noi e qual è l’emozione che proviamo. La pratica di mindfulness apre una finestra sulle emozioni, consente di osservarle, riconoscerle e ridare loro il giusto peso nelle decisioni, trovando un nuovo spazio di scelta. In questo spazio nascono l’autoconsapevolezza e l’empatia, e soprattutto cresce il potere personale. Così l’intelligenza emozionale, a sua volta, crea i presupposti per un’azione più consapevole all’interno di un’organizzazione. In questo modo potenzia la performance.

Possiamo riconoscere il lavoro, con tutte le sue complicazioni, come un invito a svegliarci e a vivere la nostra vita in modo pieno e onesto. Se siamo davvero noi stessi nel mondo attuale, diventiamo vigili, aperti e abili in modo del tutto naturale.

Accogliere con consapevolezza le sfide del lavoro significa accettare l’invito allo sviluppo personale che la vita propone ogni giorno. Qualunque sia l’occupazione – sia essa difficile, stimolante, confusa o routinaria – possiamo smettere di percepirla come un territorio ostile. Ma per farlo è necessario cambiare il proprio atteggiamento in profondità: invece di resistere, occorre rallentare e aprirsi. Questa è la mindfulness dalla quale l’azienda può trarre vantaggio competitivo, e in cui ciascuno può trovare appagamento e maggiore serenità sul lavoro.

 

Photo by Estée Janssens on Unsplash

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