Onde alla deriva

Quello in corso é indubbiamente lo sciopero più lungo mai indetto da Radio France (22 giorni consecutivi al momento della redazione di questo articolo). Questo argomento di attualità é il giusto pretesto per trattare un dilemma assai spinoso:  quando si tratta di servizio pubblico radio-televisivo come conciliare la qualità e la redditività? Se la prima é […]

Quello in corso é indubbiamente lo sciopero più lungo mai indetto da Radio France (22 giorni consecutivi al momento della redazione di questo articolo).
Questo argomento di attualità é il giusto pretesto per trattare un dilemma assai spinoso:  quando si tratta di servizio pubblico radio-televisivo come conciliare la qualità e la redditività?
Se la prima é sempre molto difficile da definire e da quantificare, la seconda é invece molto oggettiva e mette in campo dei numeri difficilmente contestabili e di sicuro interesse per chi governa, specie in periodo di crisi.

I fatti, secondo gli articoli apparsi sulle principali testate giornalistiche francesi in questi giorni

Il deficit globale di Radio France (gruppo costituito dalle sette emittenti France Inter, France Info, France Bleu, France Culture, France Musique, Fip e ‘Mouv), é stimato a 21,3 milioni per quest’anno.

La Corte dei Conti ritiene che Radio France debba essere riformata per uscire dalla sua crisi strutturale e nel suo rapporto formula numerose raccomandazioni (18) tra le quali spiccano le seguenti:

  • fusione delle 3 principali antenne del gruppo (France Inter, France Info et France Culture)
  • fusione delle orchestre (Radio France conta due orchestre sinfoniche e due cori).

Il piano strategico previsto dal presidente dell’emittente pubblica per accogliere queste raccomandazioni (e che prevede inoltre più di trecento esuberi) é stato rifiutato dai sindacati ed é all’origine del movimento di protesta tuttora in corso.

Va notato che il budget riservato al servizio non va di pari passo con la portata della sua «missione»: tra il 2014 e il 2017 si prevede che i finanziamenti dello stato francese per l’ « udio-visuel public» (canone escluso) passeranno da 292 milioni a 29 milioni.

La prima considerazione che si può fare é che il servizio fornito da radio e televisione pubblica sembrerebbe essere «sacrificabile», quasi di serie B rispetto alla sanità, o all’educazione percepiti invece dai cittadini come servizi irrinunciabili per i quali val la pena fare barricate piuttosto che cedere di un millimetro.

Ma qual é o quale dovrebbe essere la missione di un « servizio pubblico » radio-televisivo ?

Teoricamente, come affermato in una recente intervista rilasciata al giornale Les Echos dallo storico dei media Christian Delporte (professore all’università di Versailles e direttore della rivista  le Temps des médias ), il servizio pubblico radio-televisivo dovrebbe innanzitutto informare, educare e divertire. Inoltre dovrebbe favorire la creatività, permettendo la produzione di opere originali (slegate per quanto possibile alle logiche di mercato e dunque dell’audience [NdA]) e impegnarsi allo sviluppo delle tecnologie di produzione e diffusione. Dovrebbe orientare l’offerta ad un pubblico il più variegato e il più vasto possibile.

Purtroppo tra i cittadini francesi (ma il parallelo con l’Italia é inevitabile) é molto diffusa la sensazione che le emittenti statali forniscano un servizio politico piuttosto che pubblico. Ne é la prova il fatto che il 70% di questi sembrerebbe ritenere che il canone sia troppo elevato. Non oso immaginare quale sarebbe il risultato di un tale sondaggio fatto in Italia.

In effetti, anche se lo stato francese delega la nomina dei responsabili dell’ « audio-visuel » al CSA (Conseil Supérieur de l’Audiovisuel), i membri di quest’ultimo sono nominati dal Presidente della Repubblica e dalle Camere. Inoltre non é il CSA che fissa il budget ma lo Stato. In queste condizioni l’indipendenza é una chimera.

Come fare in modo che i cittadini percepiscano le trasmissioni radio televisive delle emittenti statali come un servizio di pubblica utilità ?

Il nodo é tutto qua. La percezione della scarsa qualità e indipendenza del servizio é alla base del circolo vizioso che spinge le emittenti statali verso il declino.

Se il servizio é percepito come non indispensabile, il canone sarà tenuto al livello minimo per non imbestialire i potenziali elettori. Si tenderà a limitare il ricorso alla pubblicità per identico motivo. Poi, a causa degli scarsi introiti, il budget messo a disposizione dallo Stato per impinguare le casse diventerà sempre più preponderante rispetto ai proventi dell’autofinanziamento. In periodo di crisi il budget statale verrà tagliato e la direzione delle emittenti non potrà che piegarsi al giogo imposto dalla politica. Il « servizio » fornito diventerà più scadente (o in ogni caso più « audience-addicted »), e la sensazione che di esso se ne possa fare ampiamente a meno diventerà sempre più diffusa.

Come uscirne?

Tanto per essere originali, anche qua in Francia si butta un occhio « Outre-Rhin » (vale a dire in Germania) per cercare un po’ di ispirazione. Qui il servizio pubblico (radio-televisivo o di altro tipo) sembrerebbe avere una vocazione più pluralista e democratica. L’indipendenza delle emittenti é sancito dalla Costituzione e il loro servizio é generalmente percepito come di interesse pubblico. Di conseguenza (ma qual é la causa o l’effetto, chi é l’uovo e chi la gallina ?) il canone é mantenuto su un livello più alto (intorno ai 18 euro al mese in media, contro gli 11 della Francia) e dal 2013 é obbligatorio per ogni « foyer » tranne per studenti che usufruiscono di borsa, disoccupati o portatori di handicap. Voilà…

L’unica consolazione per noi Italiani, popolo di poeti e cantautori (o era di navigatori ?) cullati dal Mediterraneo e destati solo dal risuonar dei campanili, é che mal comune, mezza radio !

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