Ostinata vocazione pugliese

Ammetto di essere sempre stato schivo nei confronti delle bolle mediatiche. Non feci eccezione quando in questi ci rientrò Flavio Briatore che parlava della mia Puglia. Ignorai a lungo lo scroscio di articoli, blog e condivisioni sul tema, nella vana speranza che tornasse il sereno. Poi, al perdurar della tempesta, mi arresi e guardai quel […]

Ammetto di essere sempre stato schivo nei confronti delle bolle mediatiche. Non feci eccezione quando in questi ci rientrò Flavio Briatore che parlava della mia Puglia. Ignorai a lungo lo scroscio di articoli, blog e condivisioni sul tema, nella vana speranza che tornasse il sereno. Poi, al perdurar della tempesta, mi arresi e guardai quel video.

Quel che ho visto è un imprenditore, con un suo excursus personale proveniente da un preciso mondo – che non voglio giudicare ma che tutti possono approfondire – che ha espresso un personale parere sul sistema territoriale pugliese.

A me viene una precisa serie di considerazioni.

La prima. La più semplice.

La Puglia – benché molti sostengano il contrario – è una regione dell’Italia. La stessa Nazione nella quale Briatore aveva promesso di non investire mai più, nel 2012. La considerazione non è che Briatore si sia contraddetto, è che qui in Puglia siamo stati abbastanza bravi da fargli cambiare idea.

La seconda. La più ovvia.

Che Briatore ha guardato l’albero senza accorgersi della foresta. Perché il concetto di ricco da lui espresso non è onnicomprensivo. Analizzandolo da un punto di vista squisitamente di marketing, si riferisce in modo preciso a una piccola parte della popolazione che assume un particolare comportamento di consumo. È un comportamento postmoderno – nel senso che assume caratteristiche edonistiche e narcisistiche – è di tipo altospendente e lussuoso – nel senso che comporta acquisti di beni e servizi tanto costosi quanto spesso inutili. Questo comportamento è spesso reiterato in ambienti in cui vi sono persone ricche ma anche persone normali. La considerazione è che Briatore abbia parlato delle persone che osserva, conosce e percepisce come ricche, ignorando il resto della foresta.

La terza considerazione. La più triste.

Siamo noi pugliesi ad aver invitato Briatore a un convegno intitolato “Prospettive a Mezzogiorno” tenutosi a Otranto. Abbiamo portato un esponente di un preciso ambiente ad esporre il suo parere sul destino di un sistema territoriale enorme che, in quanto tale, è dinamico e si potrà evolvere secondo strade infinitamente diverse a seconda delle regioni e delle scelte. In questo scenario di infinite possibilità un imprenditore, proveniente da una certa cultura imprenditoriale e che si appresta a investire in Puglia, ha espresso la sua idea di strategia territoriale.

La considerazione è ovviamente che a molti pugliesi – e non solo – la visione di Briatore non sia piaciuta.

Ed è qui che non mi pento di essermi lanciato in un volo pindarico tra i meandri dei social, planando tra testate nazionali, blog, cascate di insulti provenienti da ogni versante e fazione a cavallo delle parole di Briatore. Questo fervore non è la conseguenza di uno scherno ma il sintomo di una vocazione. Una vocazione tanto romantica quanto economicamente significativa.

Il marketing territoriale è una branca della disciplina che interessa le strategie di crescita e sviluppo di un sistema territoriale. In un sistema abbiamo diverse variabili e sono tutte importanti per definire una strategia ma ce n’è una che adoro: la vocazione, appunto.

È definibile come la volontà sintetica di una popolazione: il valore atteso della felicità di ogni abitante. La vocazione di un sistema territoriale prescinde dalla logica economica, dai cicli politici e dalle tradizioni.

Rappresenta cosa una popolazione vuole essere nel ventennio successivo e forse più. È un concetto paurosamente democratico, capace di renderti estraneo in casa e cittadino in terra straniera.

Quando ci siamo indignati alle parole di Briatore abbiamo dato un chiaro segnale di cosa non sia la nostra vocazione. Ed io mi sono sentito a casa.

In Puglia siamo tolleranti e abbiamo una mentalità aperta ma non tolleriamo l’insolenza. Ad esempio in Puglia abbiamo tanti fast food di multinazionali eppure quando uno di questi aprì in pieno centro ad Altamura, fu costretto a chiudere in pochi mesi per mancanza di clientela. In altre parole non fu accettato. Fu un chiaro segnale, che rimbombò in tutto il mondo occidentale fin sulle principali testate delle grandi metropoli. Anche allora mi sono sentito a casa.

Venendo a noi, è ammirevole che imprenditori locali investano in attività che aumentano gli svaghi a 5 stelle e il divertimento sfrenato. Ma è vero anche che non siamo un luna park per consumatori lussuriosi che hanno voglia di inebriarsi nelle afose serate d’estate.

Siamo un sistema territoriale complesso, che nel silenzioso lavoro di ogni giorno, contro ogni irragionevole preconcetto di pigrizia e lentezza, cresce attraendo imprese e persone di ogni genere.

Siamo un’esperienza unica che fonda la sua competitività su una miscela esplosiva di bellezze naturali, patrimonio artistico, talento e tradizione enogastronomica. E nel Mezzogiorno non siamo gli unici.

Il Twiga non seguirà lo stesso destino di quel fast food in centro ad Altamura, ne sono convinto. Ma in Puglia non cambieremo per il Twiga.

Sono convinto che sia questa “la prospettiva per il Mezzogiorno” davvero interessante.

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