Qual è la domanda?

I due protagonisti del film Questione di cuore, di Francesca Archibugi con Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, si conoscono condividendo la stessa stanza d’ospedale, i due sono molto diversi tra di loro, sceneggiatore (in crisi) il primo, carrozziere di borgata il secondo, dunque il primo un lavoro fortemente intellettuale e il secondo decisamente tecnico […]

I due protagonisti del film Questione di cuore, di Francesca Archibugi con Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart, si conoscono condividendo la stessa stanza d’ospedale, i due sono molto diversi tra di loro, sceneggiatore (in crisi) il primo, carrozziere di borgata il secondo, dunque il primo un lavoro fortemente intellettuale e il secondo decisamente tecnico e manuale. L’incontro tra il lavoro manuale e intellettuale. L’aspetto interessante che ognuno educherà l’altro per alcuni sfere della vita. Cosa interessa a noi? Qual è l’eredità che ci lascia il film utile al nostro obiettivo? Antonio Albanese come sceneggiatore costruisce soggetti, i personaggi, profili per i film, per poter far tutto ciò, l’interrogativo ricorrente è: Qual è la domanda?

Quando parliamo di come cambia il mondo del lavoro, Qual è la domanda? Possiamo parlare ancora di lavoro, di mercato, di profitto? …mi ripeto, qual è la domanda? Di cosa parliamo, quando parliamo di economia?
Una volta avevamo Charlot e Tempi Moderni, oggi abbiamo il computer, non cambia molto, forse non dovremo chiamarlo più lavoro, ma attività?! Giorgio Fuà (Ancona 1919-2000) ci ricorda che: “il lavoro è uno degli aspetti positivi della vita il consumo è secondario rispetto al lavoro. La creazione può dare molta più soddifazione che la distrazione, divertirsi è distrarsi, cioè fare qualche cosa al di fuori di un’altra. Il lavoro può essere vissuto con passione e si dovrebbe anche cambiare nome al lavoro, se questo termine si associa ancora all’idea di “guadagnerai il pane con il sudore della tua fronte”.
L’economia postindustriale, basata sul sapere e sull’innovazione, ha una tendenza intrinseca molto forte verso l’agglomerazione geografica, quindi, il futuro è determinato dal passato, e il successo porta altro successo, mentre l’insuccesso condanna ad altri insuccessi (path-dependency).

In passato i buoni impieghi e i salari elevati erano legati alla fabbricazione su larga scala di prodotti manifatturieri, oggi, i buoni lavori e i buoni salari sono sempre più connessi alla realizzazione di nuove idee, nuovo sapere e nuove tecnologie.

Il futuro di questo cambiamento continuerà, probabilmente accelererà. Il trattamento matematico del cambiamento di accelerazione ha posto gli space scientist di fronte a problemi teorici precedentemente mai incontrati.
La cartina economica del lavoro sta cambiando molto velocemente e radicalmente. Nuove economie come i B.R.I.C.S. (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e economie emergenti M.I.K.T. (Messico, Indonesia, Corea del Sud e Turchia). Una competizione nuova. Una nuova conoscenza del mondo.

Le dinamiche di lungo termine che stanno ridisegnando il mondo del lavoro ci portano a: leggere un nuovo modo di intendere il lavoro, indossare nuovi lenti per poter vedere la nascita di nuovi lavori, solitamente a promuovere il cambiamento è la deviazione da qualche norma e il cambiamento desiderato si ottiene applicando l’elemento opposto a quello che ha prodotto la deviazione, è questo principio che mi ha portato a ricordare la battuta del filosofo Berkeley “prima solleviamo la polvere e poi diciamo di non poter vedere” quindi il passo successivo è imparare a imparare la nuova organizzazione del lavoro e lavorare a un nuovo approccio mentale.
I gruppi sociali maggiormente colpiti sul fronte occupazionale sono gli stessi che hanno tratto i maggiori benefici in quanto consumatori (paradosso dell’era della globalizzazione).
Tutto questo ha portato che non abbiamo più la ricerca di lavoro, ma la creazione di nuovi lavori.

Il lavoro non è più legato a un luogo fisico preciso, ci staremo avvicinando, forse, al ragionamento presentato da Italo Calvino all’Università di Harvard alle Charles Eliot Norton Poetry Lectures, nel 1985, partendo da una base sicura che il millennio che ci siamo lasciati alle spalle abbia visto nascere ed espandersi le lingue moderne dell’Occidente e le letterature che di queste lingue hanno esplorato le possibilità espressive, cognitive e immaginative che troviamo raccolte nelle Lezioni Americane, toccando i punti di: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità.

È il gusto della scommessa che determina tante delle cose che facciamo: è l’atteggiamento imprenditoriale unito all’atteggiamento di partecipazione alla comunità. In questi ultimi anni nelle zone industriali in particolare sono nati spazi di coworking, risultato di un cambiamento di mentalità dei lavoratori autonomi e delle professioni intellettuali per uscire dall’isolamento tipico di chi lavora improprio che si sposa con una forte cultura della rete: Condividere è il monito della nuova organizzazione del lavoro.
Condividere oppurtunità lavorative, una forte mentalità collaborativa e di partecipazione.

In Italia sono aperti oltre duecento spazi di coworking, con una diffusione maggiore nel centro-nord.
Il Cowo Manifesto della rete cowo project, di Massimo Carraro ci aiuta a capire in sintesi la filosofia aziendale che li accomuna:
1. “Coworking”, senza le persone che lo praticano, è solo una parola.
2. Rendiamo il lavoro un’esperienza migliore, grazie alla condivisione quotidiana di spazi e conoscenze.
3. I coworkers non sono clienti. Sono professionisti che lavorano con te.
4. Facciamo parte di una community allargata, e dialoghiamo.
5. Nel nostro modello, la relazione viene prima del business.
6. I nostri skills professionali sono costantemente migliorati dalla community.
7. Non crediamo nella competizione, e questo ci rende estremamente competitivi.
8. Il coworking gode della migliore strategia di marketing che si possa immaginare: la felicità.
9. Il coworking è sempre l’inizio di qualcosa.
10. “Coworking is a labour of love” (Tara Hunt).

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