Il bello del volontariato

Quando oggi parliamo di volontariato c’è sempre più un inciampo linguistico. Oggi abbiamo un problema con la parola volontariato per due ragioni, la prima è che il fatto di agire volontariamente, nell’epoca del “tana liberi tutti”, nell’epoca dell’individualismo compiuto e della liberazione della libertà da ogni vincolo, l’atto volontario non segnala più nessun particolare valore. […]

Quando oggi parliamo di volontariato c’è sempre più un inciampo linguistico. Oggi abbiamo un problema con la parola volontariato per due ragioni, la prima è che il fatto di agire volontariamente, nell’epoca del “tana liberi tutti”, nell’epoca dell’individualismo compiuto e della liberazione della libertà da ogni vincolo, l’atto volontario non segnala più nessun particolare valore. Sino a quarant’anni fa sì, dire “faccio questa cosa perchè la scelgo io” era l’affermazione di un valore, ma oggi? Chi ti obbliga più a far qualcosa nell’epoca in cui siamo talmente liberi da non dover scegliere più nulla?

C’è anche un secondo problema, oggi “volontario” è anche il militante dell’Isis, c’è questa risonanza militare oggi in questa definizione che a me dà fastidio, non so a voi.

In ogni caso questa definizione del volontariato e volontario non dice più, o dice sempre meno, la ragione che muove il volontariato, il senso dell’essere volontari, la direzione di questa particolare forma di impegno. La scintilla che muove al volontariato non è più nominata da quelle parole. Non ne faccio una questione nominalistica, probabilmente non troveremo un altro nome e sarebbe stupido attardarsi a cercarlo, però è importante sapere ed essere coscienti che il valore di ciò che fa un volontario, il cuore delle sue azioni, non sta solo dentro la volontarietà del gesto. L’averlo fatto liberamente non basta, si fa tutto, più o meno, volontariamente (per fortuna).

Proviamo allora ad andare più a fondo, lasciamoci scavare dalla domanda sul senso dell’essere volontario, e volontario non in un’armata o in una serata in discoteca ma volontario che si fa incontro agli altri.
Possiamo accontentarci della definizione corrente di azione volontaria secondo cui quest’ultima sarebbe definita dalla spontaneità dell’azione; dalla non remuneratività delle prestazioni; dal beneficio arrecato ad una terza parte? La non remuneratività è un aspetto importante ma non basta. La non remuneratività può diventare facile paravento per fini non propriamente di gratuità (speranza di un posto di lavoro, o altro). In buona sostanza, il non pagamento delle prestazioni o, più in generale, la mancanza di ricompense (presenti o future) non assicura, di per sé, la gratuità, la quale è essenzialmente una virtù.

Il gesto gratuito nasce da una motivazione interiore intrinseca e davvero libera nel senso più profondo. A scanso di equivoci, ciò non significa affatto che l’assenza di remunerazione (pecuniaria o meno) non sia un requisito importante per definire la natura dell’azione volontaria. Significa piuttosto che l’assenza di remunerazione è solamente un indizio grazie al quale si intuisce se un dono è reale o solo apparente, ma essa non basta da sola a caratterizzare l’azione volontaria.

In un libro intervista che ho fatto non molto tempo fa al cardinale di Milano Angelo Scola, intitolato L’Amicizia come virtù civica (ed. Feltrinelli) mi aveva molto colpito una sua risposta che ci aiuta a capire: “Attenzione, il gratuito non è ciò che è gratis. Il gratuito è pensare, fare, realizzare un’opera perché è buona in sé, perché è bella in sé. Anteponendo il valore oggettivo dell’opera in sé e per sé”. Dire che la gratuità è una virtù significa comprendere che la gratuità non è mai l’esito ma l’origine di un’azione, è una mossa che si genera nella nostra interiorità.

Al tempo stesso, la gratuità non implica il disinteresse totale. Ogni azione nostra, ogni azione umana si muove da un interesse. Stiamo su questa parola: interesse, e scopriamo la sua etimologia dal latino: interesse essere in mezzo, partecipare, composto di inter – ovvero tra – e esse – essere.
Ecco l’interessante e poetica definizione della Treccani. “Interesse è allora un legame, una congiunzione che avvicina qualcuno a qualcosa o a qualcun altro. Simile ad arpione che aggancia e trae, simile a ponte che permette il passaggio, l’interesse è la variegatissima, inafferrabile cifra dell’unione fra l’io e il tu, tra l’io e il mondo intorno, che invita alla partecipazione e al coinvolgimento. Senza interesse l’uomo resta un’autarchica e squallida torre d’avorio, capace solo di osservazioni distanti e distorte; l’uomo ricco di interessi è invece ben calato nella sua realtà, nodo solido di rete”.

Ecco che allora il gesto gratuito implica un interesse, non un tornaconto, ma un interesse e al fondo dell’azione gratuita l’interesse è andare incontro all’altro, costruire relazione di fraternità.
La specificità del volontariato è allora la costruzione di particolari legami fra le persone, legami di fraternità.

Mentre l’organizzazione filantropica fa per gli altri, il volontario fa con gli altri. È proprio questa caratteristica che differenzia l’azione autenticamente volontaria dalla beneficenza privata, tipica della filantropia. Infatti, la forza del dono gratuito non sta nella cosa donata o nel quantum donato – così è invece nella filantropia, tanto è vero che esistono le graduatorie o le classifiche di merito filantropico – ma nella speciale cifra che il dono rappresenta per il fatto di costituire una relazione fraterna tra persone.

Sta in questo il principio generatore della socialità umana, l’azione volontaria è quella che pratica la difficile arte di trattare con rispetto il bisogno percepito dell’altro. La logica del dono gratuito, infatti, è basata sulla circostanza che il legame sostituisce il bene donato o comunque che il primo è più importante del secondo. Non è così, invece, nel dono non gratuito, cioè nel dono come regalo, dove ciò che conta è l’entità (o il valore) del bene donato. Ecco perché l’intento di arrecare beneficio ad altri, di per sé, non è sufficiente a caratterizzare l’autenticità dell’azione volontaria.

Ad alimentare relazioni di fraternità è proprio il dono gratuito. Nella reciprocità che nasce dal dono, l’apertura all’altro – un’apertura che può assumere le forme più varie, dall’aiuto materiale a quello spirituale – determina una modificazione dell’io che, nel suo rientro verso la propria interiorità, si trova più ricco per l’incontro avvenuto. Ecco, l’identità propria del volontariato è nel dono gratuito che genera reciprocità. L’uscita dell’io verso un tu di cui sempre si ha bisogno è allora ciò che definisce la gratuità dell’azione volontaria. Non riesco a definirmi se non sentendomi responsabile nei confronti del diverso da me.

L‘identità non è un culto ma una domanda, dice Julia Kristeva. In questo senso, ho sempre bisogno dell’altro. Donare gratuitamente a un altro è sempre donare se stessi ad altri, quale che sia l’oggetto che si dona. Donare una parte di sè.

[Credits immagine: Ambrose Heron, Fundraising for the Spring Walk su Flickr.com]

 

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